| IL CAPITELLO DEDICATO ALLA MADONNA
 Al 
			punto quattro delle disposizioni impartite dai funzionari vescovili, 
			a seguito della visita effettuata a Dermulo nel 1649,  si 
			legge, “Che il Capitello contiguo alla strada imperiale venghi 
			rinnovato, ò totalmente distruto”. E' questa la prima citazione 
			ufficiale del capitello, sia come costruzione che come toponimo. Non 
			c'è alcun dubbio che si stesse parlando dell'attuale capitello, in 
			quanto era l'unico in muratura sul territorio di Dermulo e in questo 
			contesto, pure ben localizzato, essendo come si disse, "attiguo alla 
			strada imperiale". 
			
			 
 
 
			Quindi ritengo che il capitello votivo dedicato alla Madonna, fosse 
			stato costruito a spese di tutti i vicini di Dermulo e non a caso, 
			fosse stato scelto il luogo più rappresentativo, ovvero dove nelle 
			adunanze di regola, venivano prese le decisioni comunitarie. Per 
			quanto riguardo l'anno di costruzione in mancanza di riferimenti 
			possiamo solo esporre delle ipotesi. Assodato che la costruzione 
			derivi da un ex voto a seguito di una calamità, possiamo affermare 
			con una discreta sicurezza che la sciagura più frequente in passato 
			sia da riconoscersi nella peste. Il morbo imperversò svariate volte 
			anche nelle nostre zone, tra il 1632 e 1634 colpì tutto il Trentino 
			e anche a Dermulo ci furono dei morti. Ritengo però poco probabile 
			che il capitello sia stato eretto in tale occasione, in quanto nello 
			spazio di circa vent’anni, (tale era il periodo intercorso fra la 
			fine della pestilenza e la rilevazione della visita vescovile del 
			1649) non poteva essere ridotto in condizioni così disastrose. Per 
			cui possiamo ragionevolmente supporre che la costruzione sia 
			avvenuta anteriormente al 1600. Un'altra forte pestilenza flagellò 
			il Trentino nel 
			1575, della quale abbiamo testimonianza diretta in un documento del 
			notaio Antonio Cristani di Rallo. Lo scritto datato 31 ottobre 1578 
			tratta di una vendita che la comunità di Taio si accingeva a fare al 
			nobile 
			Giorgio Crivelli, ivi abitante. Nella premessa si evidenzia, come la comunità, nel 
			1575 magnopere fuit oppressa morbo contagioso, 
			che provocò numerosi morti e un indebitamento della stessa, per cui 
			considerando anche il momento carestioso, si decise la 
			vendita di alcuni beni. 
 
 Negli 
			anni Novanta del Duemila il capitello è stato ristrutturato a causa 
			delle 
			sue cattive condizioni. In quell'occasione fu ricostruito il tetto di legno che 
			era fatiscente e venne rifatto l’intonaco che si era scrostato in vari 
			punti. Nelle parti lasciate scoperte dalla caduta dell'intonaco, si potevano osservare 
			almeno tre stratificazioni dovute ad interventi 
			eseguiti in precedenza. Lo strato più profondo lasciava trasparire 
			dei lacerti di affresco, per cui è possibile che tutte le pareti 
			fossero affrescate. Successivamente gli affreschi vennero nascosti 
			con una tinta azzurra ed infine 
			ricoperti con uno strato di calce.[3] [1] Una pestilenza nella prima metà del Quattrocento sterminò gran parte degli abitanti di Fondo. Le famiglie superstiti in numero di 7 si recarono in pellegrinaggio al santuario di Santiago di Compostela in Spagna. A ricordo di tale viaggio si dipinsero degli affreschi sulle case di chi vi aveva partecipato. (Alberto Folgheraiter “I dannati della peste” pag. 164) [2] Nel 1630 nel tentativo di fermare la peste in pubblica regola i vicini di Pinzolo e Baldino promisero di costruire una chiesa. La chiesa non fu costruita ed il voto fu convertito ad un meno dispensioso restauro di un altare della chiesa parrocchiale. (Alberto Folgheraiter “I dannati della peste” pag. 136) [3] Del nostro capitello accenna brevemente Adolfo Menapace nel libro “Capitelli in Val di Non”, dove a pag. 52, si afferma erroneamente che sia di costruzione ottocentesca. 
 
 
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