LE PAGINE PERDUTE

 

Nella narrazione dei fatti storici è sempre d’obbligo la citazione delle fonti da cui si sono tratte le notizie, le quali, a seconda dell’argomento della ricerca, possono essere più o meno corpose. In questo scritto prendo in considerazione le fonti primarie, ovvero i documenti originali custoditi negli archivi. Considerando l’elevato numero dei notai operanti nei secoli scorsi, e la conseguente mole di scritti prodotti dei quali erano obbligati tener copia, si dovrebbe, potenzialmente, essersi conservato un immenso patrimonio. La realtà purtroppo è ben diversa, la stragrande maggioranza di documenti sono infatti andati irrimediabilmente perduti a causa di molteplici fattori, quali guerre, incendi, e altri eventi fortuiti. Oltre a ciò, ha contributo l’incuria delle persone, inconsapevoli del valore storico, economico e sociale di queste carte, a volte considerate inutile vecchiume e, quando non buttate, utilizzate come accendifuoco o, come affermato da Desiderio Reich, arrotolate e utilizzate per gioco. Per quanto riguarda il territorio noneso, di raccolte di atti notarili antecedenti al XVI secolo è rimasto ben poco, ovvero qualche annata dei due notai Tomeo di Tuenno e Vito di Dambel. In questi atti sono menzionati decine di notai locali e che quindi avranno prodotto moltissime scritture andate irrimediabilmente perse. Per la zona centro-anaune, il notaio di cui si sono conservati gli atti più antichi, oggi consultabili presso l’ASTn è Gottardo Gottardi (1545-1597) di Rallo.
Di alcuni notai si trovano atti sporadici nei vari archivi comunali e parrocchiali. Anche nel nostro piccolo paese erano presenti dei notai. Il più lontani nel tempo, ser Prandino e Vender fu Negro sono testimoniati verso la metà del Trecento; nel Cinquecento invece operarono a Dermulo diversi notai della famiglia Inama, quali Gaspare figlio di Marino, Vittore I, Salvatore III figlio del predetto Vittore, Giovanni figlio di Antonio VIII e Antonio II figlio del predetto Gaspare. Giovanni poi, si trasferì a Coredo mentre Antonio II a Lavis. Alla metà del Cinquecento esercitò il notariato anche Filippo Cordini e intorno al 1560 Ferdinando Barbacovi figlio di quel Romedio che si era trasferito da Taio a Dermulo negli anni Trenta del Cinquecento. Ferdinando che fu attivo fino a circa il 1610, aveva però trascorso diversi anni a Castel Thun dove, oltre a svariati documenti redatti per i castellani, si conservava anche un libro (danneggiato) dei suoi protocolli, oggi consultabile presso l’Archivio Provinciale di Trento. Negli ultimi anni della sua vita si era trasferito a Tres. Se si fossero conservati gli atti di questi notai dermulani, saremmo venuti in possesso di una miniera di informazioni, ma purtroppo così non è stato. Per le fonti successive al cinquecento riguardanti Dermulo, è stato di fondamentale importanza la consultazione degli atti conservati presso l’ASTn. In particolare i protocolli dei notai che avevano operato a Taio (a Dermulo non vi era più la presenza di notai in questo periodo) e in altri paesi limitrofi. Anche in questo caso, benché si siano conservati moltissimi documenti di notai attivi a Taio dalla seconda metà del Seicento fino ai primi anni dell’Ottocento, (Bergamo, Demedis, Concini, Barbacovi) mancano del tutto i documenti redatti dai notai delle famiglie Panizza e Chilovi e ciò ci ha sicuramente privato di una grande quantità di informazioni. Fra i Panizza, il notaio più lontano nel tempo fu sicuramente Pietro i cui documenti sporadici, datati a partire dal primo decennio del Seicento, si incotraano nell’archivio parrocchiale di Taio. Seguirono le sue orme anche il figlio Ferdinando e il nipote Pietro Lorenzo. Per quanto riguarda i Chilovi, si trova il primo rappresentante nella persona di Romedio, a partire dagli anni Trenta del Settecento, ma ce ne furono sicuramente altri.
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Entrando nello specifico, sugli archivi che riguardano la zona di Dermulo, ovvero l’archivio parrocchiale e comunale, di documenti antecedenti al XVII secolo è rimasto ben poco. Delle venticinque pergamene sicuramente presenti alla fine del Settecento nella sacrestia della chiesa dei SS. Filippo e Giacomo, attualmente se ne è conservata solo una del 1503, inerente il contratto per la costruzione del campanile della chiesa. Fortunatamente prima che si volatilizzassero erano state inventariate (anche se con diversi errori), per cui ne conosciamo almeno il contenuto sommario. Certo è che, le informazioni ricavabili da un regesto, (per di più non stillato con moderni canoni e con diversi errori di vario tipo) non sono paragonabili con quelle che si avrebbero potendo leggere il documento originale, ma, se l’alternativa è il nulla, ci si deve accontentare. Le pergamene erano già sparite ad inizio Novecento quando Karl Inama aveva visitato l’archivio alla ricerca di notizie sulla famiglia Inama. Infatti l’Inama, nel vecchio manoscritto sulla storia di famiglia, non ne fa nessun riferimento. Quindi quando il pievano di Taio don Nicolò Rosa nel 1918 fu incaricato dal comitato preposto all’inventarizzazione e regestazione dei documenti presenti nelle chiese di Dermulo, Tres e Taio, per quanto riguarda Dermulo, non trovò sicuramente le venticinque pergamene. Posso ipotizzare che la sparizione fosse avvenuta nel Settecento, quando i preziosi documenti furono trasportati a Taio per dare seguito alla loro regestazione, almeno la quale, fortunatamente, è ancora disponibile. Non so se effettivamente la migrazione dei documenti da Taio a Dermulo, sia stata dettata dall’intenzione di redigere un inventario, o invece da un’ingerenza dell’arciprete don Valentino Chilovi. Si deve infatti a lui l’iniziativa di tale azione, che forse aveva lo scopo di preservare le carte non ritenendo sicura la sacrestia di Dermulo, anche per la mancanza di un sacerdote stabile in paese. Poi sappiamo invece come sia finita! Oppure, conoscendo l’astio e l’arroganza con cui don Chilovi si poneva nei confronti dei dermulani, potrebbe aver deciso di trasportare l’archivio a Taio, per ribadire la sua autorità. Un indizio di quanto appena affermato, lo troviamo in un documento del 1715, con il quale si era cercato di ricomporre alcuni contrasti sorti fra don Chilovi e la comunità. Fra le varie cose, non c’era chiarezza su un legato lasciato alla comunità dalla famiglia Pret, per cui si stabilì che l’arciprete Chilovi, avrebbe dovuto ricercare il documento in questione, leggerlo e spiegare ciò che effettivamente fosse stato disposto dai Pret. I regolani di Dermulo affermarono che tale documento era stato trasportato a Taio da don Chilovi e pertanto, spettava a lui il compito di reperirlo. Non sappiamo da quanto tempo fosse a Taio e se poi il documento fu effettivamente rintracciato. Io ritengo di no, non essendoci nessun riscontro in merito. Possiamo invece affermare, anche se nell’atto del 1715 si parla di un singolo documento, che in realtà il trasferimento avesse interessato tutte le pergamene. Se diamo fede però a quanto scritto nel titolo del regesto, ossia, che i documenti si trovavano nella sacrestia della chiesa di Dermulo e che la data di redazione si doveva collocare nell’ultimo quarto del secolo XVIII, dobbiamo convenire che le pergamene (e forse gli altri documenti, se trasferiti con queste) fossero poi state ricollocate nella loro ubicazione originale. Infatti la data di regestazione era sicuramente posteriore a quella del primo trasferimento,[2] e, presumo, che il compiltatore, se i documenti fossero già stati a Taio, non avrebbe scritto “….documenti che si ritrovano nella sagrestia della chiesa di Dermullo…” ma bensì “…documenti appartenenti alla chiesa di Dermullo…”. Chiedendosi il motivo per cui su venticinque se ne è preservata solamente una, l’unica risposta plausibile è che fossero state conservate in luoghi diversi.
Desta meraviglia anche la totale mancanza di pergamene nell’archivio parrocchiale di Taio, che stride con la corposità di quello di Tres pur sempre appartenente con Dermulo alla pieve di San Vittore. Questo ci fa capire che il numero di pergamene perdute fu davvero rilevante. Proporzionalmente, se erano venticinque a Dermulo e oltre trecento a Tres, possiamo ipotizzare per Taio, un numero non inferiore alle cento. Non ho notizie certe in merito, ma credo che una così grande quantità di documenti persi, sia dovuta ad un evento importante, quale un incendio che ne avesse provocato la distruzione o la dispersione e successivo deperimento.
Nell’archivio parrocchiale di Taio, a differenza di Dermulo, non sono presenti nemmeno i documenti originali del Sei-Settecento, di cui si trova menzione negli urbari. Ciò potrebbe avvalorare l’ipotesi che tutte le pergamene di Dermulo, tranne quella relativa alla costruzione del campanile, fossero state conservate nella canonica di Taio e quindi fossero deperite assieme ai documenti di quella. Fra l’altro non c’è più traccia dell’antico urbario della chiesa di Santa Maria, riportante informazioni sulla gestione dei beni della chiesa a partire dal 1609. Quest’ultimo libro era presente in tempi relativamente recenti, essendo stato visto da Tullio Panizza, direttore della Biblioteca Comunale di Trento negli anni Trenta del Novecento. Non escluderei anche che alcuni documenti si siano resi irreperibili per colpa di qualche studioso che dopo averli prelevati dalla loro sede non gli aveva più riportati.
Riguardo ad altri documenti inerenti Dermulo, l’assenza più eclatante è la carta di regola della comunità. Non parliamo della carta antica redatta nel 1471, ma di una carta di regola “qualsiasi” successiva, seicentesca o settecentesca, di cui sicuramente era dotata la comunità. Oltre al fatto ragionevole che la comunità, nei secoli successivi al XV, non avrebbe potuto reggersi solamente sui dicianove articoli della regola antica, alcune notizie ci rassicurano sull’esistenza di una Carta di Regola più recente. E’ del 1710 infatti, la comunicazione al principe vescovo di Trento con la quale si giustificava il ritardo dell’invio del documento da sottoporre ad approvazione, perché si doveva farlo ricopiare, in quanto lacero. In un documento dei Libri Copiali del 1759, si dice che veniva riconfermata e approvata la carta di regola di Dermulo; e infine, la citazione nell’atto di un’assemblea comunale del 1788, dell’articolo 50 della carta di regola violato da un vicino.
Alla domanda di dove si possa reperire un esemplare della carta di regola di Dermulo, quindi, possiamo rispondere solo con delle congetture, non essendo mai stata inventariata in nessun archivio, dove invece sono presenti quelle di altre comunità. Una copia esisteva sicuramente a disposizione dei regolani che dovevano farla applicare e rispettare, e sulla quale si confrontavano, a seguito degli eventi che lo prevedevano. Quindi con l’abolizione di questi regolamenti avvenuta per mano di Napoleone nel 1807, la carta potrebbe essere stata conservata in casa degli ultimi regolani, ovvero Giacomo Endriocher e Mattia Mendini. La comunità infatti non possedeva un archivio proprio e i documenti erano conservati assieme a quelli della chiesa, quindi nella sacrestia oppure in casa degli amministratori pro tempore. Poi in questo caso, chissà, la “carta” potrebbe aver seguito il destino degli altri documenti di famiglia. Qualche altro esemplare dovrebbe essere pervenuto al principe vescovo di Trento, ma dagli inventari di archivio non risulta la presenza. Il luogo più probabile dove potrebbe essere conservata una copia della carta di regola è l’archivio di Castel Bragher, considerato lo stretto rapporto fra i castellani e la comunità di Dermulo di cui gli stessi Thun erano regolani maggiori (e dopo un certo periodo anche vicini). Un’ulteriore possibilità, non ancora esplorata, è l’archivio del Ferdinandeum di Innsbruck.
Dell’archivio pievano di Taio, oltre alle già citate pergamene, è andato perso il libro dei nati e battezzati dal 1711 al 1735, per cui ben ventiquattro anni di nascite sono rimaste nel buio ed hanno condizionato la precisione della ricostruzione genealogica delle famiglie di Dermulo e Taio. Il registro era mancante già al momento della microfilmatura negli anni Ottanta del Novecento, per cui potrebbe essere andato perduto durante il trasferimento dalla vecchia, alla nuova sede canonicale di Taio. Se non erro, mi sembra che tale registro fosse invece presente intorno al 1900, se Karl Inama vi aveva attinto con date di nascita complete relative a membri della famiglia Inama nati in quel torno di anni.
Un altro registro risalente alla seconda metà del XVI secolo e inerente principalmente ad atti di matrimonio, benché presente, risulta gravemente danneggiato e quindi, purtroppo, quasi inutilizzabile. Un colpo di fortuna mi ha permesso però, di ricavare dal registro un’interessante informazione sulla famiglia Emer di Dermulo, ossia il nome della cittadina Gunzenhausen, in Baviera, da dove Giovanni Emert era partito.
Fin qui ho elencato le mancanze più eclatanti, ma purtroppo risultano irreperibili qua e là anche altri documenti che avrebbero dovuto essere presenti in archivi ben più importanti.
Presso l’ASTn nella sezione Atti dei Notai sono conservati i documenti di vari notai operanti in Trentino. Gli atti sono in questo caso veramente copiosi, naturalmente, mi sono limitato a considerare quelli che più probabilità potessero contenere notizie su Dermulo, ovvero, principalmente i notai che operarono a Taio e poi quelli nelle zone limitrofe quali Coredo e Tres. I notai di Taio di cui sono conservati gli atti erano appartenenti principalmente alle famiglie Barbacovi, Bergamo, Concini, Mezzi (Demedis). Anche qui mancano alcune annate di qualche notaio, ma come già esposto, mancano purtroppo, tutti gli atti di altri notai coevi che operarono a Taio. Mi riferisco in particolare ai vari Panizza e Chilovi.
Il rammarico più grande, però, rimane per quei documenti di cui è assodata l’esistenza, perché inventariati o regestati, e quindi teoricamente reperibili con facilità, ma che invece sono risultati introvabili. Di seguito darò un elenco di tali atti.
Del censimento per i fabbisogni di grano ordinato nel 1620 in tutte le pievi nonese, per diverse di loro, fra le quali purtroppo quella di Taio, non esiste riscontro. Il cruccio è ancora maggiore avendo avuto la possibilità di visionare l’omologo documento redatto per la pieve di Tassullo. E’ chiara la grande quantità di dati che si sarebbero potuti ricavare per quel periodo, relativi ai nominativi dei capifamiglia, parentele, numero di componenti, situazione economica, consistenza delle case, ecc. Grazie ad altre fonti ho in parte supplito a questa mancanza, ma sicuramente sono rimaste moltissime zone d’ombra.
Nel libro “Tuenno nelle sue memorie” l’autore Enrico Leonardi, compilò un elenco di notai operanti a Tuenno, dei quali riporta alcune fonti dove i medesimi erano citati. Fra questi, a pagina 182, appare Antonio Bertolini fu ser Bertolino de Serafinis, che secondo il Leonardi avrebbe dovuto apparire in un’adunanza di regola della comunità di Dermulo avvenuta nel 1562, o forse aver verbalizzato la stessa regola. La citazione è corredata da un riferimento della fonte, in questo caso la Biblioteca Comunale di Trento. Ebbene, seguendo le indicazioni per reperire il documento, che potenzialmente potrebbe essere stato molto interessante, la ricerca ha dato esito negativo. In questo caso ritengo che il Leonardi avesse fatto un errore nello scrivere la fonte, (indicata con dei riferimenti numerici). Non si è arrivati ad una conclusione nemmeno provando a correggere un ipotetico scambio fra i numeri di riferimento, per cui esprimo il dubbio che le tre cose citate dal Leonardi (“1562-Dermulo-Regola”) potrebbero essere slegate fra di loro, e in questo caso, magari “la Regola” e il “1562” nulla centravano con Dermulo.
Una fonte inaspettata di notizie, viene a crearsi, allorchè nella consultazione dei documenti, si trova riferimento ad altri atti notarili riguardanti l’argomento trattato. Ciò in special modo se esistono le raccolte degli atti di detto notaio. Mi è capitato però, in almeno tre o quattro occasioni, che del notaio a cui si faceva riferimento fossero conservati gli atti, ma in modo incompleto, ovvero mancasse il faldone dell’annata cercata, oppure, se presente, non si riuscisse a reperire il documento specifico.
In conclusione, si può ben dire che per la storia sul paese di Dermulo ci sia a disposizione molto materiale, ma la mia curiosità e la voglia di aggiungere altre informazioni, o completare e confermare quelle già in mio possesso, mi porta verso una continua ricerca di documenti, per cui accertarne la loro eventuale irreperibilità, mi lascia spesso con l’amaro in bocca.



[1] Gli archivi privati, specialmente se appartenenti a famiglie nobili o distinte, risultano essere quelli in genere meglio conservati e custoditi. (Se consideriamo ad esempio gli archivi della Famiglia Thun, distribuiti nei vari castelli anauni e non solo. L’acquisizione di Castel Thun da parte della Provincia di Trento ha consentito di inventariare, catalogare e di conseguenza di poter fruire, di questo importante archivio, (stessa cosa per Castel Valer). L’inventario e la regestazione è stata eseguita anche per le pergamene del castello di Castelfondo e per quelle nell’archivio di stato di Decin in Repubblica Ceca, dove si era stabilito un ramo della famiglia Thun. Per l’archivio di Castel Bragher invece, che per le fonti relative a Dermulo, sarebbe di primaria importanza, ne è stata esplorata solo una piccolissima parte. 

[2] Pur mancado una o forse due pagine, cronologicamente l’ultimo atto inventariato è del 1743, per cui possiamo ipotizzare che ce ne fossero stati altri ancora per qualche anno successivo.