LA CASA N° 9-10-11-12
- casa al Castelét o ai Massenzi
(Oggi Via Eccher n. 2 e 4 e via S. Giustina n. 31 e 35) P.E. 24, 25, 26, 27
LE PRIME NOTIZIE
Alla righe 31 e 32 della pergamena elencante i beni di spettanza vescovile
insistenti sul territorio di Dermulo nel 1275, si legge: “Item unam peciam terre
cassalinam cum domo super se habente et cui cohaeret ab una parte Dominus et ab
alia parte via et quam teram casalinam et domum possident Sonus et Bosolus…”
Questa casa facente parte del “mansso Casali”, uno dei quattro masi in cui erano
suddivisi tali beni, risulta essere l’unica costruzione presente nell’elenco e
sicuramente la si può riconoscere in quella che nei secoli successivi fu
denominata al Castel, al Castelet o ai Massenzi. Dopo i due affittuari Bosolo e
Sono, la casa e i suoi beni di pertinenza, alla metà del Trecento furono dati in
locazione a Bonamico figlio di Benedetto di Campo. Suo nipote, tale Feltrino fu
Nicolò, era ancora affittuario nel 1387.
La casa sorgeva in posizione prominente e solitaria, proprio come un castello e
fra le molte sue denominazioni si incontra anche “la casa in capo la villa”.
Oggi si fatica a percepire questa situazione di isolamento, ma essa si delinea
chiaramente, osservando la vecchia mappa catastale del 1856. Nei quarant’anni a
cavallo fra l’Ottocento e il Novecento la zona è stata oggetto di un
significativo sviluppo, con l’erezione di nuove costruzioni, l’apertura di nuove
strade e la posa di binari che hanno completamente stravolto il paesaggio
originario. La casa agli albori del Trecento non raggiungeva sicuramente le
dimensioni odierne che invece sono frutto di progressive aggregazioni
susseguitesi col passare degli anni. Nella seconda metà dell’Ottocento, come le
altre case del paese, è stata interessata ad un’espansione in altezza e anche a
non trascurabili lavori di ristrutturazione documentati da vecchi disegni e da
molte testimonianze fotografiche. Queste ultime sono legate allo sviluppo di
quella zona che agli inizi del Novecento era divenuta la più importante di
Dermulo e di conseguenza la più immortalata dai fotografi.
Nel 1909, quando la parte
Endrizzi fu acquistata da
Candido Inama, la casa aveva solo un piano e
l’entrata era prevista anche dal somasso posto a nord, così come erano a
nord gli accessi alle altre unità abitative. Nella parte sud, sopra il terrazzo,
si possono vedere ancora oggi i fori lasciati dagli alloggiamenti delle travi
che ci permettono di valutare la quota del vecchio tetto. Fino al 1909, in luogo
del terrazzo, spioveva un tetto che nella parte iniziale era sormontato da un
piccolo balcone. In una vecchia foto, ritraente il lato ovest della casa Odorizzi,
si possono pure intravedere dei fori lasciati vuoti dalle travi; se ne deduce
che il tetto era originariamente ad un’altezza inferiore. Inoltre su una gran
parte della parete manca l’intonaco, indice di una costruzione recente. Da
raffronti sulla descrizione di questa parte di casa, come si vedrà più avanti, è
stato possibile datare questi lavori fra il 1892 e il 1899. Il processo
di innalzamento ha riguardato anche altre parti del caseggiato, infatti
comparando altre due foto, si può notare che in quella più datata, osservando da
ovest, la parte obliqua sotto il profilo del tetto della casa ex
Endrizzi, ha uno spessore maggiore rispetto alla foto più recente. Si notano
inoltre gli alloggiamenti da dove spuntavano le travature della vecchia
copertura, prima dell’innalzamento della casa realizzato nel 1909. Tali fori,
nella foto più recente, non sono più visibili e lo spessore della parte obliqua
si presenta assottigliato. Questo prova l’elevazione della parte di casa a
sud-ovest dell’abitazione ex
Endrizzi. Un altro innalzamento importante ha riguardato, infine, la parte a
ovest e quella a nord-ovest a ridosso della casa di Pompeo Odorizzi.
la linea gialla
evidenzia la pianta della casa odierna la linea rossa evidenzia la pianta della casa più antica. |
Nella parte est della ex casa n.11 adiacente alla strada, esisteva fino agli
anni Venti del Novecento un piccolo cortile visibile anche in alcune delle foto
più vecchie. Nel cortile si elevava una scala di pietra che innalzandosi in
direzione est-ovest permetteva di raggiungere un balcone al primo piano e quindi
di accedere all’appartamento. Dal cortile, dove era dislocata una concimaia, era
poi possibile raggiungere la stalla posta al piano di sotto. Adolfo Odorizzi di
Rallo, che aveva aperto un negozio di generi alimentari nel
somasso posto a est, vedendo aumentare
il suo lavoro, decise di trasformare l’adiacente cortile al pian terreno in una
più ampia struttura dove esporre e vendere alimentari. Per fare questo furono
eretti due muri perimetrali e sul soffitto piano trovò posto un terrazzo.
Qualche anno più tardi sopra il terrazzo furono costruiti altri locali di
abitazione, fino alla totale scomparsa degli spazi originari.
Da un documento del 1892 apprendiamo un’altra notizia
interessante, e cioè dell’esistenza di un ponte (el pònt) che
saliva al somasso e di una stradella che collegava la strada
erariale con il detto ponte. Dalla presenza di un
ponte evinciamo che il livello del terreno a nord della casa, era
più basso di quello riscontrabile oggigiorno. Infatti, esso declinava dal bordo
della strada erariale in direzione est-ovest. La stradella adducente al
ponte sicuramente non corrispondeva a quella, che presentemente a sud
della casa porta al piazzale di
Renzo Chistè, per il motivo che la detta strada non
si dipartiva una volta, e non si diparte al presente, dallo stradone erariale ma
bensì dalla strada comunale. Altra prova che si stava parlando di un altro
percorso è che l’acquirente della parte di casa n. 10, che si trova a nord del
colomello, non avrebbe avuto nessun
interesse a levare il passo su una strada che lui non utilizzava. Concludendo,
si potrebbe ipotizzare, quindi, prima dei vari stravolgimenti, l’esistenza di
una stradina che forse, partendo più a nord, nei pressi della
ex casa Manzoni o odierno
Victory, e costeggiando l’orlo della
scarpata, si portasse al suddetto ponte e somasso.
Questa stradina non era adiacente alla casa perché comunque, avendo
Giacomo Endrizzi il
diritto di passo sul somasso, in qualche modo doveva pur raggiungerlo, e
non c’era altro modo se non costeggiando il lato a nord della casa.
I LOCALI DELLA CASA
La casa, che in antico era strutturata per accogliere una sola famiglia, nel
prosieguo degli anni fu poco per volta ampliata tanto ché, almeno dal
Settecento, vi avrebbero potuto vivere quattro nuclei familiari. Questa
caratteristica si presentò anche successivamente per cui nell'Ottocento al
colomello furono assegnati, in senso
antiorario, partendo dall'entità posta a sud-est, vale a dire quella che
originariamente fu degli
Endrizzi, i quattro numeri 9,10,11 e 12. Naturalmente
le quattro unità abitative avevano diversa ampiezza ed erano suscettibili di
variazioni negli anni;
piano terra: otto locali (cinque
revolti, una stalla, una cucina, e una
camerina), due cortili. (Possiamo aggiungere altri due locali per la
porzione di
Domenico Massenza).
primo piano: otto locali (tre cucine, tre
stue, un andito e una camera). (Possiamo aggiungere almeno un’altra
cucina e una stua per la porzione di
Domenico Massenza).
Somasso
piano superiore: tre stanze, stradughe
e sopra queste il tetto.
Nel 1787 è data anche la seguente descrizione: a basso una
pezzetta di cortile separato e segnato
con termini, un rivolto terreno e
cucina a soffitta; in alto una camera pure a soffitta esistente sul
somasso comune, col coperto sopra fino
all’aria, avente questo bisogno di essere riparato; questa porzione di casa, pur
soggetta al gafforio della mensa vescovile, non doveva corrispondere alcuna
tassa. Nel 1818 un'altra parte di casa era composta da “una stufa, cucina e solaro aderente a essa, e coperto sopra a
questi fino all’aria e un avvolto al pian terreno”. La parte di
Giovanni Massenza numerata con il
12, nel 1867, era formata solamente da due piccole stanze sovrastanti il
somasso, al di sopra delle quali spioveva il tetto. La parte numero 9, nel
1878, era costituita al pian terreno da un avvolto e una stalla, al primo piano
una camera e una cucina e al secondo piano la soffitta, sovrapposta ai detti
locali. Per raggiungere la camera e la cucina si aveva il diritto di passo sul
somasso. La casa n. 11, così come descritta nel 1848, era composta al
pian terreno da un cortile, un vòlto ad uso stalla, un altro vòlto
a uso cantina, il portico ad uso di andito, al primo piano: stufa,
cucina, e una camera, al secondo piano spreuza e altre comodità e
coperto fino all’aria. Della stessa casa nel 1861 sono descritti più
dettagliatamente i due piani superiori e cioè: al primo piano un
saletto, che immette in un locale ad uso di stufa, in un altro ad uso di
cucina, ed in un altro, detto ad uso di dispensa. Al secondo piano, una
camera sopra la stufa, aia sopra il saletto, e stradulli che
comprende tutti gli soprascritti locali, come da segni fatti e coperto fino
all’aria. Nel 1892, quando
Daniele Inama acquistava la
casa, per se ed i fratelli
Beniamino e
Giuseppe, è data la
seguente descrizione: piano terra: portico in comune con gli eredi di
Teresa Endrizzi, una stalla e piccolo avvolto. Primo piano: sala di
ingresso, due salotti e due camere e sopra questi, spleuzali e tetto fino
all’aria. Ancora del medesimo edificio, che a partire dal 1876 veniva numerato
con il 10, abbiamo un'altra descrizione redatta nel 1899, in occasione della
divisione fra i due fratelli
Daniele e
Giuseppe Inama. In questo
contesto la casa è accreditata addirittura di quattro piani, ma in realtà erano
solo tre; l’errore nasce dal fatto che vengono attribuiti al secondo piano i
locali che invece erano al primo. L'errore si è poi esteso agli altri piani. In
ogni caso la descrizione ci permette di datare approssimativamente fra il 1892 e
il 1899, l'avvenuto innalzamento di un piano, di cui abbiamo parlato più sopra.
La parte di Daniele era composta al piano terra da un avvolto a
mattina a cui confinano a est la strada, a sud Ester Endrizzi, a ovest e a nord
lo stesso dividente; la metà del portico a sera del suddetto avvolto fino al
pilastro della porta d’ingresso di detto portico; l’altra metà del portico in
linea retta dal pilastro della porta d’ingresso fino al pilastro della porta
della cantina, viene assegnata come si dirà più sotto al fratello condividente
Giuseppe. La rimanente
parte del portico dovrà rimanere libera per passo dei due fratelli
Daniele e
Giuseppe e sarà in
comunione. Nell’andito che esiste a settentrione dell’avvolto sarà costruita una
fogna del cesso, lasciando uno spazio libero di 1,50 per il passo di Giuseppe
per recarsi nella stalla, cantina e portico. La rimanente parte dell’andito a
mezzodì del passo a favore di Giuseppe, rimarrà proprietà di
Daniele. Al secondo
piano: la stufa, la cucina e il salotto e il somasso in comunione con il
dividente fratello
Giuseppe. La scala che
mette al terzo piano, rimarrà in comunione con i fratelli. Al terzo piano:
la camera sopra il somasso, il salotto sopra il somasso che serve il giro scale
sarà in comunione fra i due fratelli. Al quarto piano: le altane fino
all’aria, la linea di confine fra queste altane e la parte di
Giuseppe viene
determinata dalla muraglia che parte dal somasso e termina al terzo piano. Dal
terzo piano fino al coperto i due fratelli si obbligano di prolungare la
muraglia a comuni spese.
Daniele avrà il diritto di
costruire una scala a sue spese per portarsi al quarto piano, lasciando libero
passo al fratello
Giuseppe.
La parte di Giuseppe: al piano terra: una stalla e una cantina
e metà del portico come descritto sopra. Al secondo piano: il somasso ed
il cesso in comunione col fratello
Daniele e il diritto della
scala per salire al terzo piano. La scala resterà in comune. Al terzo piano
il salotto sopra il somasso in comune col fratello
Daniele, una camera ad uso
stufa, la cucina e il salotto. Per salire al quarto piano si farà una scala sul
proprio e avrà il diritto di costruire un cesso sopra quello del fratello
Daniele e finché non sarà
costruito potrà usare quello assegnato a
Daniele. Al quarto
piano: una camera e le altane fino all’aria, a cui confinano 1 la strada
erariale, 2 il fratello
Daniele
,3 4
Vittore Chistè.
Un’altra piccola parte di casa, divenuta proprietà
Chistè nel
1852, è così descritta: al pian terreno un avvolto e una corte, nella
corte col diritto di passo di
Antonio Battisti
e
Giovanni Massenza,
sia coi bovi che carri e pedone. Al secondo piano, una camera e un andito, e
soffitta sopra i detti locali e il tetto. Questa porzione di casa, era da
collocarsi nella parte sud dell'edificio, a ovest della rimanente casa
Endrizzi.
Negli anni si incontrano molteplici compravendite dei cosi detti
avvolti o
revoltelli terreni anche a
persone estranee alla casa.
In particolare, dei circa 6-7 locali presenti, tre, nella seconda metà del
Settecento, furono acquistati da Maria Domenica Moncher vedova di
Gregorio Endrizzi. Grazie a varie descrizioni e citazioni confinarie è stato possibile
individuare la loro posizione all’interno della casa, come si può vedere nella
sottostante figura.
Avvolto R.1
Nel 1751 questo locale apparteneva a
Giuseppe Tamè
e al momento della vendita
alla vedova Endrizzi, veniva specificato che era di nuova costruzione. Nel 1753
fu rettificata la vendita con un altro documento perché, come dice il documento
stesso, il venditore aveva omesso nell’atto di vendita precedente di specificare
la soggiacenza del locale al Gafforio per una minela di frumento. Venne pure
data facoltà alla parte acquirente di ricavare un altro locale sopra tale
avvolto alzando il tetto. Questa evenienza potrebbe essersi verificata e,
pertanto, ritengo un’ipotesi plausibile che questa porzione di casa sia finita
in mano ad Antonio Endrizzi che con Maria Domenica era imparentato. L’avvolto e
il relativo rialzo risultano così essere il primo embrione di proprietà nel
caseggiato. Sicuramente l’avvolto poi rimase in proprietà agli eredi di Antonio
e fu alienato nel 1910 assieme agli altri locali formanti la porzione di casa a
Candido Inama.
Avvolto R.2
Nel 1760 Maria Domenica vedova di Gregorio Endrizzi acquistava in permuta da
Domenico Massenza un revolto che
confinava da tre parti con lo stesso Domenico e da una con Giobatta Inama. Tale
locale, come si può vedere dallo schema, si trovava a fianco dell’odierna
stradina che dalla strada comunale conduce alla casa di Renzo Chistè. Dal
momento dell’acquisto ebbe vita autonoma passando in proprietà a Lucia Endrizzi,
figlia di Maria Domenica che lo possedette assieme al marito Maurizio Rensi. Nel
1795 Giovanni Battista fu Giacomo Inama lo ricevette in regalo dopo aver
acquistato tutta la sostanza di Lucia Endrizzi; dopo essere tornato ai Massenza,
e da questi nel 1818 ancora agli Endrizzi, finì definitivamente ai Chistè nel
1852.
Avvolto R.3
L’avvolto risulta già di proprietà di Maria Domenica vedova Endrizzi nel 1773,
anno della vendita a Giovanni Emer. In tale circostanza è così descritto
un revolto terreno soggetto al Gafforio ma senza pagare nessuna tassa a
cui a mane strada imperiale, meridie Giuseppe Tamè, settentrione e sera il
compratore Emer. Da chi e quando avesse acquisito il locale Maria Domenica
non è dato sapere, ma è molto probabile che fosse appartenuto alla famiglia
Tamè.
Altri avvolti e porticati
Nel 1890 è citato un avvolto ad uso cantina localizzato sotto il somasso.
Si specificava che era posto nella parte a settentrione della casa 10 e che
possedeva una finestra. Tale finestra ritengo guardasse verso il Pissaracel. Lo
stesso avvolto a uso cantina è quello citato nel 1848, quando
Giacomo Endrizzi cedeva la casa n.
11, una stalla e la cantina al fratello
Pietro. Il portico in
comune, pure riportato nello scritto del 1848, sarà ceduto a completo uso di
Daniele Inama nel 1892,
accordando però a
Giacomo Endrizzi, l’utilizzo della
scala per portarsi nella sua casa n. 9. Il portico ad uso andito, così
come era chiamato, si trovava sul lato est, ed è menzionato anche nella
divisione fra i fratelli
Giuseppe e
Daniele Inama nel 1899. Da
questo si accedeva alla cantina ed ad una stalla. Un altro portico, è citato e
appare anche nel disegno di ristrutturazione della casa n. 11, nell'anno 1910.
Questo locale era localizzato nella parte sud della casa, sotto l'odierno
terrazzo e dava accesso all’avvolto R.1.
I PROPRIETARI E GLI AFFITTUARI DELLA CASA
Come sopra accennato la casa fu proprietà dell’episcopio di Trento, antico
retaggio dell'anno 1218, e fu sempre locata, assieme ad alcuni terreni, con la
formula dell’affitto perpetuale. I primi possessori/affittuari di cui si ha
notizia furono Bosolo e Sono, tenutari della casa nel lontano 1275. Nel 1346 è
invece Bonamico figlio del fu Benedetto di Campo che con la sua famiglia abiterà
nella casa sicuramente fino agli albori del Quattrocento. Di Bonamico conosciamo
il figlio Nicolò, il quale lascerà a sua volta il posto al figlio Feltrino.
Almeno dal 1425 abitava nella casa la famiglia di Odorico detto Duca originario
di Coredo. I Duca rimasero a Dermulo per tre generazioni per poi essere
sostituiti dai Frisoni, pure di Coredo. Da quanto si rileva dal rinnovo di
investitura del 1490, i Frisoni erano già in possesso della casa almeno da venti
anni, quindi subito dopo la comparsa di Bartolomeo Duca nella carta di regola di
Dermulo del 1471.
Giovanni
Battista I e
Fabiano II
occuperanno la casa ereditata dal padre Tommaso, per cui troviamo il primo a sud-est (A.1) e
il secondo a sud-ovest (A.2). Fra il 1640 e il 1645
Fabiano II vendette a Giovanni Emert, la sua porzione di casa (A.2). Dopo il 1660
troviamo nella
parte di casa che fu di Tommaso II, Tommaso III (A.1) e
Giovanni Emer (A.2).
Sul finire del Seicento quindi, nel caseggiato troviamo abitare con le
rispettive famiglie
Vittore Tamè
(A.2),
Giovanni Battista Massenza (A.1) e i fratelli
Bartolomeo
(B.2)
e
Giovanni Domenico Massenza
(B.1). Essi, come consuetudine, pagavano
annualmente la tassa gafforiale alla mensa vescovile relativa alla casa e ad
alcuni terreni, che ammontava a 3 stari di frumento, 2 stari di siligine e 3
stari di spelta.
LA PARTE DI VITTORE TAME’ (A.2)
L’esigua casa di
Vittore Tamè, come abbiamo visto sopra,
proveniva dal suocero Giovanni Emer. Essa, posizionata nella parte sud-est del
caseggiato, (a sud della parte di
Giovanni Battista Massenza), era costituita al
piano terra da un avvolto, da una cucina sopra di questo e poi da una
stua alla quale era sovrapposta una
stanza che a sua volta aveva sopra il tetto.
Dopo la morte di Vittore nella casa
prese posto il figlio Simone, il quale nel 1742 donava alla figlia Maria
Domenica una stanza "su in alto esistente nella casa su in zima ai Massenzi".
La stanza era posta sopra la stua di detta casa ed era
“fabbricata, intorno da muraglie e sopra
di legno”.
Simone prescrisse che in caso di vedovanza della moglie Maddalena, Maria
Domenica avrebbe dovuto dividere il locale con la madre, finché questa fosse in
vita e a condizione che lei rimanesse nubile. Nel caso in cui Maria Domenica
avesse preso marito, i suoi due fratelli,
Vittore e
Giuseppe, sarebbero entrati in possesso della stanza, incassando però il
dovuto prezzo. Tale stanza pervenne poi al fratello
Giuseppe che nel 1750 la vendette a
Giovanni Battista Inama, possessore della
porzione di casa adiacente. La stanza probabilmente non fu venduta integra ma
solo nella sua porzione più a nord, dove infatti, da confini del 1753 risultava
la presenza di un nuovo muro divisorio fra la proprietà Inama e
Tamè.
Vittore morì prematuramente nel 1744 all'età di 35 anni, seguito nel 1751
dalla moglie Caterina, per cui l’abitazione pervenne al fratello Giuseppe.
Giuseppe Tamè dopo la prima metà del Settecento, pressato dal cronico problema
dei debiti, cedeva alcuni locali della casa, in particolare nel 1750 un
revolto
terreno soggetto al gafforio a
Domenica vedova Endrizzi e una stanza
in alto sopra la stua, a
Giovanni Battista Inama. L’avvolto era
stato costruito da poco ampliando la casa verso sud, e nel contratto di
compravendita si specificava che la parte compratrice avrebbe potuto elevare il
tetto sopra il locale, purché la costruzione non oscurasse il lume della
finestra della camera posta sopra la stua.
Non si può escludere che Maria Domenica avesse effettivamente alzato il tetto e
ricavato un altro locale sopra l’avvolto e che nei primi anni dell’Ottocento
questa porzione di casa fosse pervenuta, per compra o in altro modo, in mano di
Antonio Endrizzi, suo parente. Se così fosse, sarebbe stato questo il primo
embrione della proprietà di questa linea Endrizzi nel caseggiato, al quale si
sarebbe aggiunta poco dopo la rimanente casa
Tamè, nel frattempo transitata al
suocero Innocente Massenza.
Nel 1782
Giuseppe fu costretto ad alienare la casa di abitazione, al conte Giovanni
Vigilio Thun di Castel Bragher, per un debito di 100 Ragnesi che aveva nei suoi
confronti. Il Thun poi gliela riconcesse in affitto per tutta la sua vita
natural durante. Dopo la morte di
Giuseppe il figlio
Antonio, circa nel 1803, abbandonò la casa di Dermulo e raggiunse Brescia.
Quindi, questa piccola porzione, che nel 1780 misurava solamente 9 pertiche,
dovrebbe essere stata acquistata da Innocente Massenza, se intorno al 1807
risultava nelle disponibilità della figlia Teresa, poi moglie di Antonio
Endrizzi. In questa occasione, o forse tramite l’ipotesi sopra riportata, l’Endrizzi
entrò per la prima volta nella casa e nel 1818, grazie a una donazione del
suocero Innocente, ampliò le sue disponibilità abitative. Almeno dal 1822, si ha
notizia che
Antonio Endrizzi teneva aperta nella casa una
bèttola; tale attività,
poi continuata dal figlio Giacomo e dal nipote Desiderato, era svolta nella
grande camera contigua alla strada principale.
LA PARTE DI GIOVANNI BATTISTA MASSENZA (A.1)
Giovanni Battista II, figlio di Tommaso III, ricevette tutta
la casa in eredità dal padre in quanto lo zio Giacomo abitante a Cortaccia, vi
aveva rinunciato. Giovanni Battista morì nel 1702 e la casa divenne proprietà
della figlia
Marina,
la quale nel 1715 sposò
Bartolomeo
Inama, detto
Tomelin.
In quell’occasione Bartolomeo abbandonò la casa paterna
al di là del rì e si trasferì in casa della moglie. Nel 1759 alla
morte di Bartolomeo, la casa passava al figlio
Giovanni
Battista il quale nel 1750 e 1751 ne ampliava la
superficie,
acquistando alcuni locali posti nell’adiacente casa di
Giuseppe Tamè. Nel 1772
il muraro
Giovanni
Battista Inama, essendosi trasferito a Favogna, cedeva la
casa a Romedio Chilovi di Taio per l'importo di 200 Ragnesi. In questa circostanza vengono
enunciati i confini:
a est la
strada imperiale, a sud
Giuseppe Tamè, a ovest e a nord Domenico Massenza. Il confine nord si
riferiva al terreno più tardi individuato dalle p.f. 183 e 184. Della casa è
data la seguente descrizione:
“contiene
a basso un cortile, una stalla a revolto, e un altro revolto terreno, in alto un
somasso una stufa con suo fornello e cucina, un’altra stanza sopra la stufa, e
coperto fino all’aria” (si noti
come questa descrizione corrisponda perfettamente a quella fatta a fine
Ottocento nel catasto, quando apparteneva a Giovanni Inama detto Zanet. Inoltre
si evince che nell’Ottocento, dall'unica stanza sopra la stufa furono ricavati tre
locali). Nello stesso anno don Gaspare Chilovi, plausibilmente erede di Romedio,
la vendeva a Giovanni Emer per 250 Ragnesi. Nel 1773 Giovanni Emer acquistava da
Maria vedova di Gregorio Endrizzi "un
revolto
terreno soggetto al Gafforio ma senza pagare nessuna tassa a cui a mane strada
imperiale, meridie Giuseppe Tamè, settentrione e sera il compratore Emer, per 23
Ragnesi"
(questo revolto
R.3 era senza dubbio il locale sottostante il vecchio negozio Odorizzi).
Giovanni Emer dal 1778 al 1787 fu masadore
al maso Betta, per cui la casa rimase disabitata, e tale rimase, anche al termine
della locazione, in quanto Giovanni risiedette nella casa n. 24. Dopo la sua
morte, avvenuta nel 1803, le due case furono ereditate dai tre figli, Romedio,
Pietro e Giovanni; quest’ultimo in particolare divenne proprietario della casa
al Castelet, dove abitò, anche se non in modo continuativo, con la moglie
Domenica Vender. Dal matrimonio fra
Giovanni
Emer e Domenica, nacquero vari figli, ma solo una di nome
Barbara raggiunse l’età adulta e dopo la morte dei genitori divenne proprietaria
della casa. Barbara nel 1838, dopo essere convolata a nozze con Bartolomeo Huber
di Mezzolombardo, alienò la casa ad
Antonio
Endrizzi.
Antonio
possedeva altre porzioni del caseggiato e con la nuova acquisizione ampliò
considerevolmente la sua proprietà disponendo delle case più tardi numerate con
il 9, 10 e 11, vale a dire più di metà caseggiato. (A e B.2.2)
LA PARTE DI BARTOLOMEO MASSENZA (B.2)
Bartolomeo Massenza aveva
generato solo una figlia,
Lucia Margherita che nel 1715 divenne moglie di
Giovanni Mendini. Dopo il matrimonio gli sposi
abitarono in questa casa. Nel 1740, rimasta vedova,
Lucia Margherita occupò la casa con i figli
Bartolomeo e Giovanni Mendini. Quest'ultimo lasciò
Dermulo, mentre Bartolomeo nel 1749 si trasferì nella
casa
Guelmi, in qualità di affittuario dell'omonimo maso.
Nel 1750
Lucia Margherita cedeva la casa al cugino
Luca. La casa è descritta nel seguente modo: “a
basso, un revolto sotto il somasso, altro sotto la stufa, una camerina a
soffitta sotto la cucina; in alto, una stufa a soffitta con il fornello, una
cucina a revolto piano, un andito verso settentrione, la metà del somasso e sue
stradughe, con coperto fino all’aria”.
LA PARTE DI GIOVANNI DOMENICO MASSENZA (B.1)
Come accennato, la parte di Giovanni Domenico proveniva dall’eredità del padre
Luca I. Dopo la morte di
Giovanni Domenico la casa pervenne al figlio
Luca II, che nel frattempo si era trasferito a Rallo.
Successivamente la casa fu suddivisa fra i due figli di Luca II, Domenico e
Giuseppe, ma mentre il primo tornava in paese, il secondo rimaneva a Rallo.
LA PARTE DI GIUSEPPE MASSENZA FIGLIO
LUCA II (B.1.1)
Alla morte di Giuseppe, avvenuta intorno al 1775, i suoi figli, trasferitisi da
Rallo in quel di Brescia, decisero di alienare i loro beni a Dermulo, fra i quali
anche la casa.
L'acquirente fu
Giacomo Emer il quale, sposatosi con
Maddalena Ziller ed emancipandosi dal padre Cristano, visse però per poco tempo
nella nuova casa. Infatti la sua morte prematura avvenuta nel 1777, lasciò
vedova Maddalena con una figlioletta di appena un anno. Cristano Emer, padre del
fu Giacomo, divenne nell'immediato tutore della nipote, ma anche proprietario
della casa. Della porzione di casa abbiamo la descrizione data nel 1787 quando
essa ritornò in mano Massenza:
"a basso una pezzetta di cortile separato
e segnato con termini, un rivolto terreno e cucina a soffitta; in alto una
camera pure a soffitta esistente sul somasso comune, col coperto sopra fino
all’aria, avente questo bisogno di essere riparato."
Nel 1779 il Regolano
Maggiore di Dermulo, Alfonso Widmann, dovette intervenire per ricomporre una
lite sopravvenuta fra
Cristano Emer, quale tutore della nipote
Anna Maria, e
Domenico Massenza.
LA PARTE DI DOMENICO MASSENZA FIGLIO DI LUCA II
(B.1.2)
Domenico, lasciando Rallo, si era stabilito a Dermulo circa nel 1745, dove si sposò e visse
assieme alla sua famiglia. Nel 1760 vendeva un avvolto a
Maria Domenica Endrizzi, il quale avvolto
poi passò al genero
Maurizio Rensi. Lucia, moglie del Rensi, nel 1798 lo regalò a
Giovanni Battista fu
Giacomo Inama di Brescia. La donazione avvenne a completamento della vendita di
tutta la sostanza posseduta da Lucia a Dermulo. Nel relativo documento si dice
che per accedere al revolto si doveva attraversare il portico, gravato di
diritto di passo a favore di
Domenico Massenza ossia
Giovanni Inama. (Quest’ultimo nome mi lascia un po’ perplesso, non so se il
notaio si fosse sbagliato a scrivere il cognome e in tal caso doveva trattarsi
di Giovanni Massenza, oppure, fosse effettivamente Inama e in questo caso invece
si trattasse di Giovanni Francesco. Anche in altri documenti c’è qualcosa di non
molto chiaro che farebbe pensare ad una proprietà Inama, in particolare dei Rodari,
in questa casa. Questo anche tenendo conto del terreno al Capitel che era
sicuramente proprietà Inama in quel periodo. Infine ci sarebbe la possibilità
che si trattasse dello stesso Giovanni Battista Inama possessore dell’avvolto).
Infine il locale (R.2), che gli indizi confinari ci permettono di porre nella
porzione della casa (B.2.2), pervenne ad
Innocente Massenza che nel 1818 lo
cedette al genero
Antonio Endrizzi. Nel 1750, come visto sopra,
Domenico acquisì la casa
(B.2) della cugina Margherita e, nel 1787, la porzione (B.1.1)
che fu di
Giacomo Emer
da suo padre
Cristano. In questo modo
Domenico e suo figlio Innocente ridivennero proprietari di tutta la casa
che fu del loro avo Luca I. Innocente, infatti, risultava già possedere
separatamente dal padre Domenico delle porzioni di casa. Alla morte di
Domenico
la casa fu suddivisa fra due dei suoi cinque figli,
Giovanni e
Innocente. La parte di Giovanni (B.2.1), sita nel centro del caseggiato, era
molto esigua, essendo formata solamente da due stanze localizzate sopra il
somasso. Dopo la sua morte avvenuta intorno al 1820, la casa rimase
disabitata in quanto i suoi figli Barbara e
Giovanni, si trovavano al
Maso Rauti con i relativi coniugi, in qualità di affittuari. Nel 1860
Giovanni Massenza risulta
proprietario della P.E. n. 25, che, come appare dalla mappa di quell'anno, era
racchiusa dalle due P.E. n. 24 e n. 26. Nel 1867 la casa di Giovanni Massenza
passerà in proprietà del nipote
Vittore Chistè. La casa di
Innocente, invece, localizzata verso il Pissaracel (B.1), fu suddivisa fra
le sue figlie, per cui
Teresa moglie di
Antonio Endrizzi, divenne proprietaria di una parte notevole di essa. Vennero
assegnate delle porzioni anche ad Innocenza Massenza, poi moglie di
Luigi Battisti e alla sorella Caterina moglie di Pietro Larcher. La parte di casa
numerata con il 9 fin dal 1830 fu protagonista delle traversie finanziarie del
suo proprietario
Giacomo Endrizzi.
Antonio nel 1818 aveva ricevuto dal suocero
Innocente Massenza, un’altra porzione
di casa che poi suo figlio
Giacomo venderà a
Vittore Chistè nel 1852 (B.2.2). Al tempo della donazione la casa era costituita
da una stufa, una cucina e solaro, e, cosa molto importante, il diritto
di passo sul somasso.
I PROPRIETARI DELLA CASA DOPO LA SECONDA META' DELL'OTTOCENTO
Il giorno 8
dicembre 1853 dalla soffitta dell’abitazione di
Giacomo Endrizzi si sprigionava un
incendio che, propagandosi a tutto il
colomello, provocava un danno di 2200 Fiorini
abusivi. Per il suo spegnimento furono
necessarie quasi quattro ore e, i sinistrati, essendo la casa diventata
inagibile, furono ospitati dagli altri paesani. A innescare l’incendio fu un
orfanello di 5 o 6 anni che dimorava presso l’Endrizzi, il quale confessò di essersi impossessato dei “fulminanti”
e di aver dato fuoco a del materiale in soffitta. Il bambino colpevole, anche se
non citato per nome, dovrebbe essere stato
Carlo Endrizzi, nipote di Giacomo,
orfano di entrambi i genitori, in quanto il padre
Pietro morì qualche mese
prima che il figlio vedesse la luce nel 1848 e la madre nel 1851. In quell'anno
la casa era posseduta da
Giacomo Endrizzi (A-B.2.2), Antonio Battisti (B.1.2),
Vittore Chistè (B.1.1) e Giovanni Massenza (B.2.1), ma solo i primi tre vi
abitavano con le rispettive famiglie, mentre il Massenza era
masadore al
Maso Rauti. L’unica
abitazione assicurata contro gli incendi risultò quella di Vittore Chistè.
La casa di Giacomo Endrizzi derivava dall’eredità del padre Antonio che, come
visto più sopra, aveva ampliato la sua proprietà iniziale (A.2) (ex casa
Tamè e forse
una porzione appartenuta a Maria Domenica Endrizzi) prima con una donazione del
suocero Innocente Massenza nel 1818 (B.2.2) e poi con l’acquisto della parte di
casa venduta dagli eredi di Giovanni Emer nel 1838 (A.1). Come vedremo in seguito,
la porzione di casa avuta dal suocero Innocente sarà alienata a Vittore Chistè
nel 1852, mentre quella di provenienza Emer
fu ceduta nel 1843 ai suoi figli
Giacomo
e
Pietro,
il quale Pietro, acquisendo nel 1848 la parte del fratello, ne divenne unico
proprietario. Poco dopo Pietro passò a miglior vita, seguito alla fine del 1851
dalla moglie Caterina, per cui i figli orfanelli
Giovanni
e
Carlo
la acquisirono in eredità;
poco dopo
Giacomo
la riacquistava ai suoi nipoti e nel 1861 la vendeva a
Giovanni Inama
detto
Zanét.
Nel 1876
Giacinto,
Leopoldo
e
Desiderato Endrizzi
figli di
Giacomo,
riacquistavano la casa da
Giovanni Inama,
per il prezzo di 242 Fiorini. Infine nel 1892 per la situazione debitoria di
Giacomo Endrizzi la casa fu messa all’asta e
Daniele Inama,
figlio del sopra citato Giovanni, ne procedeva all’acquisizione anche a nome dei
fratelli
Giuseppe
e
Beniamino.
Il prezzo fu stabilito in 520 Fiorini. In seguito la casa appartenne ai due
fratelli
Daniele
e
Giuseppe
(sicuramente fino al 1903) e poi solo al primo, che acquistò la parte del
secondo. Negli anni Venti del Novecento la parte che fu di Giuseppe Inama (A.1.2),
ovvero i locali di abitazione al piano terra e il
somasso piccolo, passarono in mano ad Adolfo Odorizzi di Rallo che
ricavò in quest’ultimo locale un negozio di generi misti e coloniali. La scala
presente in fondo al citato somasso,
che permetteva di raggiungere il secondo piano, fu smantellata e ne fu costruita
un’altra nell’andito esterno, in direzione est-ovest che si raccordava con il
poggiolo del secondo piano. Anche questa fu però demolita dopo il 1930, quando
Adolfo Odorizzi acquisì la restante parte della casa (A.1.1) dalle figlie del fu
Daniele Inama detto Zanet e, ampliando il negozio, andò ad occupare il vecchio
cortile presente nella parte adiacente allo stradone.
Vittore Chistè entrò per la prima volta nel caseggiato al Castel in
seguito all’acquisto di una porzione di casa da Giacomo Endrizzi, nel 1852
(B.2.2). In seguito il Chistè procedette ad altre acquisizioni, in primis, dopo
l’incendio del 1853, acquisì la porzione che fu di Antonio Battisti (B.1.2) che
probabilmente gli eredi non furono più in grado di ristrutturare.
Poi nel 1867 le
proprietà dello zio
Giovanni Massenza, (B.2.1) tanto che
nelle sue mani si era concentrata circa la metà del caseggiato. Per molti anni a
seguire la parte di Vittore Chistè non subì altre variazioni, fino a che nel 1902
passò in mano al figlio Pietro.[4]
Rimane ora da descrivere il destino della casa che fu la prima
proprietà della
famiglia Endrizzi
in questo
colomello (A.2). Essa fu la meno
interessata dalle traversie di Giacomo, ma nonostante ciò, nel 1878 ci fu un
cambio di proprietà in favore del cognato Bartolomeo Stratta che da Taio sembra
si sia trasferito nella casa di Dermulo, dove rimase almeno fino al 1890.[5] Dopo tale data presumo che Desiderato figlio
di Giacomo si fosse adoperato per il riacquisto, interessando la famiglia della
moglie Ester. Infatti la casa risultava essere di proprietà di Ester Recla,
quando nel 1909 veniva ceduta assieme all’orto e al
broilo a
Candido fu Giuseppe
Inama per l’importo di
2000 Corone.
Così gli
Endrizzi lasciarono definitivamente il caseggiato dopo più di cento anni di
permanenza e si trasferirono nella nuova costruzione che nel frattempo,
Desiderato aveva eretto poco più a nord (futuro albergo Victory), e dove nel 1910,
iniziò l’attività di albergo e osteria.
PERSONE EFFETTIVAMENTE PRESENTI NELLA CASA * | |||||||
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casa 9 |
casa 9,10,11,12/A |
casa 9 |
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Antonio Frison |
Tommaso Massenza |
Luca Massenza |
Giacomo Endrizzi (v) |
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N.N. (m) |
Ursula N. (m) |
Lucia Valemi (m) |
Caterina Chilovi (m) |
Barbara Cristan (m) |
Teresa Massenza (m) |
Assunta Barbacovi (m) |
|
Leonardo Frison (f) |
Fabiano Massenza (f) |
Gio.Domenico Massenza (f) |
Maria Massenza (f) |
Domenico Massenza (f) |
Maria Inama (f) |
||
Antonio Frison (f) |
Giobatta Massenza (f) |
Ursula Massenza (f) |
Luca Massenza (f) |
Giovanni Massenza (f) |
Pietro Endrizzi (f) |
Remo Inama (f) |
|
Baldassarre Frison (f) |
Giacomo Massenza (f) |
Bartolomeo Massenza (f) |
Lucia Massenza (f) |
Vigilio Massenza (f) |
Giacomo Endrizzi (f) |
Fiorina Inama (f) |
|
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Francesco Massenza (f) |
|
Giulia Endrizzi (f) |
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Attilia Inama (f) |
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Giovanni Massenza |
Tommaso Massenza |
N. Massenza |
Bartolomeo Stratta |
Ida Inama (f) |
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Maria N. (m) |
Marina Inama (m) |
|
Teresa Battisti (m) |
casa 10 |
Fortunata Endrizzi (m) |
Elviro Inama (f) (a) |
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Luca Massenza (f) |
Giobatta Massenza (f) |
Cristina Massenza (f) |
Rachele Stratta (f) |
||||
Anna Maria Gregori (m) |
Caterina Massenza (f) |
Rosa Stratta (f) |
|
||||
Giovanni Emer |
Margherita Massenza (f) |
Teresa Massenza (f) |
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Ester Stratta (f) |
casa 10 |
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Ludovica Cordini (m) |
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Antonio Battisti (f) |
Desiderato Stratta (f) |
|||
Gio. Antonio Emer (f) |
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Teresa Battisti (f) |
Pietro Stratta (f) |
Annunziata Tavonatti (m) |
|||
Maria Caterina Emer (f) |
Maddalena Gasperini (m) |
N.N. |
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Angelina Inama (f) |
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Vittore Tamè (f) |
Teresa Brida (m) |
Casa 9,10,11,12/B |
Maria Inama (f) |
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casa 11 |
Anna Inama (f) |
|||
Gisella Inama (f) (a) |
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Domenica Massenza (S) |
Ursula Inama (m) |
Domenica Vender (m) |
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Marina Tamè (f) |
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Pietro Chistè (f) |
Adolfo Odorizzi |
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Domenica Tamè (f) |
casa 12 |
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Rosina Visintainer (m) |
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Caterina Tamè (f) |
nessuno |
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Maria Odorizzi (f) |
|||
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Anna Tamè (f) |
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|
casa
11 |
||||
|
Maddalena Ziller (v) |
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Pietro Chistè (a) |
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Anna Maria Emer (f) |
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Caterina Angeli (m) |
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Pio Chistè (f) |
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Lina Chistè (f) |
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Gelinda Chistè (f) |
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Leo Chistè (f) |
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Amedeo Chistè (f) |
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Silvio Chistè (f) |
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Primo Chistè (f) |
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Vittoria Chistè (f) (a) |
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* Per gli anni 1554, 1620 e 1670 le persone non sono quelle effettivamente presenti ma solo quelle di cui si è avuta contezza. Il nominativo sottolineato corrisponde al capofamiglia. Le seguenti abbreviazioni indicano i rapporti di parentela con il nome sottolineato: m sta per moglie, f. per figlio/a, fr per fratello, S per sorella, v per vedovo/a, p per padre, M per madre, s per suocero/a, n per nipote, z per zio, N per nuora e c per cognato/a. Per il 1780, i nomi dei proprietari provengono dal Catasto teresiano presso l’A.S.T. Per il 1921 si è preso in considerazione il censimento di tale anno presso l’A.C.D. Inoltre, e solo per questo anno, sono state evidenziate le persone assenti con la lettera a. Per gli anni rimanenti i nomi dei capifamiglia e/o il numero degli occupanti la casa, sono stati desunti da vari documenti consultati presso A.C.D., A.P.T. e A.D.T. Per l'anno 1620 non si ha la certezza matematica che le persone elencate siano quelle effettivamente presenti. |
[1] Il documento citante tale situazione ossia il Liber dell’Ortemburg, è del 1387, ma da altre evidenze si è capito che faceva riferimento agli anni 1340-1350.
[2] Essendo quindi il documento del 1490 un rinnovo di investitura, la datazione della precedente investitura teoricamente avvenuta 19 anni prima, andrebbe a collocarsi circa nel 1471. Dal nominativo di Sigismondo Thun citato come confinante e ricopiato tal quale assieme agli altri anche nelle investiture successive (1527) è stato possibile datare la prima investitura intorno al 1465. (Infatti nelle investiture successive avrebbe dovuto comparire Simone Thun figlio di Sigismondo)
[3] Il sarto Giovanni Emert di origini bavaresi era giunto a Taio forse grazie ai conti Thun. Nel 1639 si sposava con Caterina Alberti, nipote di don Giovanni Pietro Alberti, pievano di Taio e poi raggiungeva Dermulo.
[4] Pietro, padre di Vittore Chistè e masadore al Maso Rauti, aveva preso in moglie Barbara Massenza figlia di Giovanni. Pietro morì improvvisamente a Pressano nel 1832 e il suo posto al maso fu preso dal cognato Giovanni. La vedova Barbara, con i due figli Pietro e Vittore, quindi abitò in affitto nella casa n. 22. Barbara tornò probabilmente nella casa al Castelet solamente nel 1852, quando il figlio Vittore Chistè ne acquisì una porzione da Giacomo Endrizzi.
[5] In verità non è del tutto chiaro se lo Stratta, in occasione dell’acquisto, si fosse trasferito a Dermulo oppure avesse continuato a vivere a Taio. Suo figlio Giulio comunque nel 1921 abitava a Dermulo in affitto nella casa n. 7-8, per cui che anche suo padre vivesse a Dermulo sembra molto plausibile.
Case Mappa delle case Introduzione Foto della Casa n. 9-10-11-12 Cronologia della casa n. 9-10-11-12