LA CASA N° 23 - Casa al Plazzòl - Casa al Capitel - Casa dei Cordini
 

(Oggi Via C. Eccher n. 12 e 14) P.E. 20, 21

 

 

        
 

L'ORIGINE DELLA CASA

Questa casa, assieme alle vicine n. 24 e 25, apparteneva alla famiglia Cordini, ma fra tutte, fu la prima antica residenza. Il primo Cordini ad abitavi fu senz'altro Nicolò figlio di Antonio, trasferitosi da Taio intorno al 1450 e documentato ancora vivente nella regola del 1471. Grazie ad un documento del 1446, siamo in grado di dire anche chi fosse la moglie di Nicolò, ovvero una tale Margherita, figlia (o nipote?) di Delaito di Dermulo. In tale atto è citato Antonio figlio del fu Cordino di Taio che, a nome del figlio, assisteva la nuora Margherita nella vendita di un prato in Predaia. La donna veniva  identificata come una nipote di Delaito di Dermulo. Questa circostanza ci dice che, con altissima probabilità, la casa dove poi gli sposi Nicolò e Margherita andarono ad abitare a Dermulo, fu la futura n. 23. Fino a qui come detto, possiamo considerare queste ipotesi quasi come certezze, ma un ulteriore passo a ritroso si potrebbe fare, considerando lo spezzone di genealogia riguardante i così detti "Delaiti". Come si può notare dallo schema qui a fianco, la ricostruzione genealogica porta addirittura a Bonaconta, capostipite degli Inama, per cui non possiamo escludere che la futura casa n. 23, fosse stata la prima casa Inama a Dermulo, ancora più antica, quindi, della casa n. 26-27.

L'edificio presenta alcune particolarità, come l’accenno di torre nella parte a sud-est e gli stipiti delle finestre di costruzione massiccia sulla facciata est; sulla parete a nord, prima della recente ristrutturazione erano visibili le tracce di un affresco e una feritoia murata. Il dipinto, oramai appena percettibile, raffigurava probabilmente un soggetto religioso. Il piazzale nelle vicinanze della casa, e nella brutta stagione la casa stessa, era il luogo ufficiale destinato per la Regola della comunità. La casa n. 23 è raccordata alla vicina casa n. 24, mediante un arco che dà accesso alla cort, la quale in passato era consortile ad entrambe le case. Il nucleo principale della casa era sicuramente quello posto a est, vicino alla strada pubblica e poi successivamente la costruzione fu ampliata verso ovest. Già nel Seicento la casa si estendeva su una superficie corrispondente a quella odierna ed erano presenti almeno tre unità abitative che convenzionalmente denominiamo porzione 1, porzione 2 e porzione 3. Per quanto riguarda la struttura interna della casa, ci è giunta una parziale descrizione nel 1561, riferita all'abitazione di Vigilio Cordini, individuabile nella porzione 2. All'inizio del Cinquecento la famiglia Cordini era cresciuta considerevolmente, per cui Delaito, figlio di Nicolò I Cordini si trasferì nella vicina casa n. 24. Questa, assieme alla casa n. 25, alla casa n. 23, ai vicini orti, prati e broili formava un "distretto" in mano alla famiglia Cordini.

 

LA CASA FINO ALLA FINE DEL CINQUECENTO

E' indubbio che il primo Cordini ad abitare nella casa fu Nicolò marito di Margherita, trasferitosi da Taio intorno al 1450 e documentato ancora vivente nella regola del 1471. Casa n. 25Nel 1503 risultava già morto, per cui nella casa presero posto, con le loro famiglie, i tre figli Giovanni, Antonio e Delaito. Nella casa n. 24, come detto sopra si era trasferito Delaito. Molto probabilmente quest'ultimo o forse suo figlio Pietro, aveva costruito la casa che nel 1554 era denominata "Casa nova dei Cordini", riconoscibile nella futura casa n. 25, e sicuramente posseduta ed abitata da Pietro Cordini. Quindi sul finire del Quattrocento nella casa n. 23 avevano preso posto le famiglie dei fratelli Giovanni e Antonio II.

Antonio II, probabilmente il figlio maggiore, abitò nella casa del padre n. 23, (porzione 3) nei pressi della quale più tardi, quando apparteneva al figlio Simone I Cordini, si svolse l'assemblea regolanare nel 1554. Assieme a Simone trovò posto anche la famiglia del fratello Nicolò II. Simone I poco dopo si trasferì a Taio, dove ottenne il diritto di vicinato e dove i suoi figli Antonio III e Filippo nel 1570, parteciparono all'assemblea per la redazione della carta di Regola. La casa di Dermulo fu acquisita dal cugino Baldassarre I, figlio di Nicolò II. La parte di casa che fu di Nicolò II dopo la sua morte avvenuta intorno al 1560, pervenne al figlio Baldassarre I, il quale aveva acquisito in precedenza la parte del fratello Antonio IV trasferitosi a Tassullo.

La parte di Giovanni corrispondeva alla porzione centrale e a quella verso ovest della casa. Ciò si rileva da un documento dove la casa di suo nipote Vigilio, detta "casa del Villi" (porzione 2), si presenta ben delimitata dai confini i quali ci permettono di stabilire che la parte più a est, presso la strada pubblica (porzione 3), apparteneva a Baldassarre I Cordini, mentre quella a ovest (porzione1) a Giovanni Antonio, fratello di Vigilio. Di Giovanni si conoscono quattro figli: Cristoforo, Pietro, Corradino e Bertoldo, ma solo il primo abiterà nella casa paterna (porzioni 1 e 2) poi occupata, come detto sopra, dai suoi figli Giovanni Antonio e Vigilio. La casa di Vigilio, prima del 1561, passò nelle disponibilità di Castel Valer a causa di un debito insoluto, ma poi ritornò in mano allo stesso Cordini. La progenie degli appena citati Giovanni Antonio e Vigilio, però, sembra terminare con loro, infatti dopo il 1578 non si hanno altre notizie. La loro casa sarà acquisita da Baldassarre I che, sul finire del Cinquecento, ne risulterà l'unico possessore.

Di Baldassarre I ci risultano nati due figli: Tommaso che si era trasferito a Taio, dove morì nel 1629 e Nicolò III che invece proseguì la discendenza a Dermulo, occupando la casa paterna. Nicolò III acquisì per disposizione ereditaria di Martino Cordini, la vicina casa n. 24 che nel 1608 era molto deperita al punto di essere definita murozia. Nicolò III morì nel 1629 e per l'ultima volta, la casa ebbe un unico possessore, vale a dire suo figlio Baldassarre IV.

 

LA CASA DOPO LA MORTE DI BALDASSARRE IV

Alla morte di Baldassarre IV avvenuta nel 1636, la casa fu suddivisa fra i quatto figli Simone II, Nicolò V, Giovanni Antonio II e Stefano Carlo. Per cui intorno al 1650 nella casa vivevano Simone II con la moglie Maddalena Pollini, Nicolò V con la moglie Marina Sartori e le due figlie Antonia ed Elisabetta e probabilmente Antonia Panizza, vedova di Baldassarre IV, con i figli non ancora maritati: Maddalena, Elisabetta, Giovanni Antonio e Stefano Carlo. Stefano Carlo di li a poco si sarebbe  trasferito e stabilito definitivamente a Graz in Stiria, mentre Giovanni Antonio si allontanò dal paese senza dare più sue notizie. Le due figlie Maddalena ed Elisabetta si sposarono rispettivamente con Giovanni Antonio Bergamo di Taio e con Giovanni Francesco Arnoldi di Nanno. Maddalena rimasta vedova ritornò poi a Dermulo nella casa paterna, dove visse con il secondo marito Giovanni Moratti di Tuenno almeno dal 1681.

Nel 1662 siccome Nicolò V, assente da molti anni dalla patria, aveva lasciato più di 400 Ragnesi di debiti insoluti, si procedette al pignoramento di diversi beni, fra i quali una parte di casa detta "la casa del Storn", del valore di 50 Ragnesi. Detta casa con buone probabilità dovrebbe essere stata quella acquisita dal nonno Nicolò III da Martino Cordini, per cui possiamo riconoscerla nella futura n. 24. Detta casa sembra essere finita in mano al cugino di Nicolò V, ossia Giovanni Antonio Panizza. La stessa sorte dovrebbe essere toccata alla parte di casa eventualmente posseduta nel caseggiato n. 23.[1]

Intorno al 1680 Stefano Carlo che come detto viveva in Austria, aveva beneficiato della sua sostanza la nipote Antonia, figlia del fratello Nicolò V, la quale si era unita in matrimonio con il fabbro Matteo Bertolasi di Cles. Antonia ed il marito Matteo erano entrati così in possesso di una parte di casa n. 23. Gli eredi di Nicolò V (le due figlie Antonia e Elisabetta con i rispettivi mariti) parteciparono anche alle suddivisioni della casa di Giovanni Antonio Cordini.

Infatti nel 1690 gli eredi di Giovanni Antonio, constata la sua assenza da Dermulo che perdurava da più di quarant'anni, lo ritennero morto e passarono alla divisone della sua porzione di casa. A Giovanni Francesco Arnoldi di Nanno, vedovo di Elisabetta Cordini e sorella di detto Giovanni Antonio, pervenne un avvolto; al fratello Simone II un piccolo avvolto, la cucina e la camera di assi; a Matteo Bertolasi, genero del fu Nicolò V, (anche come beneficiato da Stefano Carlo Cordini) la metà della stua, la cort, un portico e un piccolo avvolto; a Ludovico Bombarda altro genero del fu Nicolò V, l'altra metà della stua. Tutti i predetti locali furono assegnati con ingressi e varie ragioni e con l'obbligo per tutti, tranne Giovanni Francesco Arnoldi, di mantenere ben coperto il somasso. Questa parte di casa, come si evince dall'elencazione dei confinanti, corrispondeva alla porzione 3. Simone II invece viveva assieme alla moglie Maddalena Pollini ma senza figliolanza nella porzione 1.

 

L'ACQUISIZIONE DELLA CASA DA PARTE DEI MENDINI E DEI PANIZZA

Alla fine del Seicento, il dominio Cordini sulla casa al Plazzol era in fase di declino ed i Mendini e Panizza, con acquisizioni e permute, avevano iniziato a dividersi il caseggiato.

I Mendini vi entrarono per la prima volta nel 1684, quando acquisirono da Matteo Bertolasi la parte di casa che fu di Stefano Carlo Cordini. Tale porzione risultava così formata: il ponte, il somasso, il saletto, la camera grande, l'avvolto fra la detta camera, i stradugari e tetto sopra i detti anditi e la cantina sotto il somasso; inoltre il cortile verso la scala per la quale si sale in alto, detta scala, due avvolti e latrina. Le acquisizioni continuarono nel dicembre del 1690 quando, per la somma di 32 Ragnesi, i fratelli Giacomo II e Antonio VI Mendini comprarono da Matteo Bertolasi alcuni locali della casa (metà cortile e portico) appartenuti a Giovanni Antonio Cordini. Nel documento, si dice che queste parti di casa erano "verso la via imperiale", per cui si trattava della porzione 3. Nel 1693 Simone Cordini poco prima di morire, vendette un avvolto a Antonio VI Mendini. Tale atto ci ha permesso di identificare con sicurezza la porzione 1, come appartenente al predetto Simone II. E' probabile che Simone II avesse venduto prima del 1684, un'altra parte di casa (porzione 2) a Giovanni Antonio Panizza di Taio. Infatti fra i confinanti negli anni successivi, sono menzionati gli eredi di Giovanni Antonio Panizza e ciò sta a significare che l'attore della compravendita fu proprio Giovanni Antonio e che tale azione non poteva essere avvenuta dopo il 1684, perchè in quell'anno passò a miglior vita. Nel 1693 Antonio VI Mendini, cedette metà della casa acquisita nel 1690 con il fratello Giacomo II da Matteo Bertolasi, al reverendo don Pietro Panizza.

Nel 1695 i locali pervenuti cinque anni prima ad Elisabetta e Claudia Bombarda figlie di Ludovico, furono ceduti a don Pietro Panizza per la somma di 28 Ragnesi. Si trattava di metà di una stua e una quarta parte di una saletta (questa non menzionata nel 1690) che confinava da tre parti con la stua e la saletta del compratore Panizza e dall'altra con la via comune (porzione 3). Ricapitolando, ai primi anni del Settecento don Pietro Panizza assieme al fratello Giovanni Andrea, possedeva la parte di casa riconoscibile nella porzioni 1 e 2, mentre Giacomo II Mendini possedeva la porzione 3.

Il 26 luglio 1717 don Pietro Panizza vendette questa parte a Antonio VII Mendini, figlio del succitato Antonio VI per il prezzo di 300 Ragnesi. Nello stesso momento Antonio VII Mendini diede in permuta la casa al cugino Giacomo III che quindi divenne proprietario di quasi tutta la futura casa n. 23. Della restante parte abbiamo notizia nel 1727, quando il suo proprietario, don Filippo Antonio Panizza, cedette questa sua porzione di casa descritta come diroccata a Giacomo III Mendini. Evidentemente una porzione di casa Panizza era pervenuta in qualche modo a don Filippo Panizza, pur non essendo parente così stretto dei discendenti di Giovanni Antonio.

 

LA CASA NEL SETTECENTO

Come detto sopra, almeno dal 1727 Giacomo III Mendini dovrebbe essere stato l'unico proprietario della futura casa n. 23, nella quale però non abitava, alloggiando come il padre Giacomo II nella casa Guelmi in qualità di  livellario.[2] Al termine della locazione, quindi circa verso il 1742, Giacomo III prese dimora nella casa al Plazzòl, dove nel 1745 redasse testamento beneficiando della proprietà della casa i due figli minori Romedio Maria e Gioachino. Dopo tale data, non sappiamo chiaramente cosa sia successo. Giacomo III che nel 1745 appariva prossimo alla morte, visse fino al 1763, mentre il figlio Gioachino morì appena diciottenne nel 1754, per cui probabilmente la casa rimase nelle disponibilità di Romedio Maria. Quest'ultimo, almeno da quanto appare nel Catasto Teresiano, abitava nella casa n. 21, dove plausibilmente si trasferì dopo il matrimonio avvenuto circa nel 1750. La futura casa n. 23 quindi, dopo la morte di Giacomo III, rimase vuota e per molti decenni non apparirà citata nemmeno negli atti notarili. Nel Settecento, i Mendini conservarono sicuramente il possesso, sulla stragrande maggioranza della casa, tuttavia sembra che ci fossero state delle parti appartenenti ad altre persone. In questo senso sono da collocare delle notizie frammentarie che ci informano su una presenza extra Mendini nella porzione 3: da almeno tre documenti (1794, 1798, 1804) si intuisce che tale porzione, in precedenza si era ritrovata nelle disponibilità di Cristano Emer. Il motivo fin’ora rimane oscuro, ma forse fu dovuto ad una non ben specificata sentenza assessorile della quale si ha menzione nel 1759 e che fu sfavorevole a Giacomo Mendini. Possiamo intuire che detta  sentenza avesse riguardato problemi di eredità, forse in relazione a Gioachino o  Giacomo Antonio II, rispettivamente figlio e fratello di Giacomo III.[3] Nel 1779 in occasione del matrimonio del primogenito Giuseppe, Romedio Maria e Anna asserirono che avendo molta figliolanza, in casa non c'era posto per i novelli sposi e, per questo motivo, concedevano loro di poter abitare nella casa del maso in quel di Tavon. Ciò stava a significare che nonostante la famiglia avesse posseduto diverse abitazioni in paese, nessuna in quel momento era in grado di ospitare gli sposi. I motivi sono da ricercare nella non agibilità delle case che verosimilmente potremmo attribuire allo stato di diroccamento dell'adiacente casa n. 20 e pure delle porzioni 1 e forse 2 della casa 23. Per quanto riguardava la porzione 3 della stessa casa n. 23, dobbiamo concludere che essa in quel frangente non era disponibile perchè non di proprietà. Infatti il richiamo specifico alla "casa derivata dagli Emer", fatta in documenti datati tra il 1798 e il 1813, per contraddistinguere la porzione 3 della casa ne è prova eloquente. Siamo comunque in grado di dire con buona approssimazione che Romedio Maria ed Anna ritornarono nella futura casa n. 23 intorno al 1783. La prova di ciò la troviamo nella registrazione della nascita del primo figlio di Giuseppe e Domenica Ghina, nato a Dermulo nel 1783, dopo che avevano lasciato Tavon. E' palese, infatti, che nella casa n. 21 in quell'anno ci fu un avvicendamento fra Romedio Maria e il figlio Giuseppe. Nel testamento redatto nel 1804, Anna vedova di Romedio Maria aveva riservato la porzione 3 al figlio Romedio. Nel 1813 Anna redasse un nuovo testamento per mano del notaio Pietro de Mediis di Taio. Il notaio in quel contesto asseriva di aver compilato il documento "nella stufa avente lume da una finestra guardante verso mattina e nella pubblica strada esistente nella casa marcata col numero 17, situata in Dermulo frazione di Taio, distretto II, Cantone di Denno, Dipartimento dell' Alto Adige". Dalla descrizione del notaio, si capisce inequivocabilmente che si stava parlando della porzione 3 della casa n.23.
Nel 1782 troviamo abitare nella casa anche Bartolomeo Mendini che sicuramente, non molto tempo prima risiedeva nella casa n. 1, dove era affittuario e dove aveva lasciato il figlio Mattia con la medesima mansione.

 

LA CASA NELL'OTTOCENTO

Dopo la morte di Romedio Maria avvenuta nel 1798, la casa fu suddivisa fra i figli Giacomo (Giacomo Antonio V), Romedio II e Vigilio, mentre al figlio maggiore Giuseppe era stata assegnata la casa n. 21. Inizialmente nelle divisioni, la parte ad est era toccata a Vigilio e Romedio II, mentre quella ad ovest a Giacomo. Da una notizia del 1820, con la quale Giacomo Mendini di Taio assicurava sua nuora Domenica per la dote portata in famiglia, si apprende che Giacomo in precedenza era divenuto proprietario di tutta la casa, dopo aver acquistato dai suoi fratelli Vigilio e Romedio II, la porzione ad est. Riferita al 1820, abbiamo la descrizione della casa che nelle divisioni pervenne a Giacomo, ovvero la porzione 1: revolto, stalla, stabbio, stufa e cucina, due camere e saletta. Nel 1813 Anna Schadler, vedova di Romedio Maria Mendini, dettò il testamento al notaio Pietro Demediis, il quale specificò che lo stava redigendo, nella parte a est della casa (porzione 3) che si disse appartenere a Giacomo Mendini, per cui l'acquisto dai fratelli era già stato compiuto almeno da quella data.

Nel 1824 Giacomo e la consorte Domenica decisero di assegnare tutti i loro beni ai tre figli: don Giacomo IV, Romedio IV e Giuseppe II. A Romedio IV che in quel momento era pretore ad Asiago, fra i vari beni toccò la casa n. 23, gravata da servitù nei confronti dello zio Romedio II. Non si è capito bene a che titolo Romedio II abitasse la casa, potrebbe essere stato un usufrutto gratuito, ma da altri scritti invece sembrerebbe che dovesse corrispondere un affitto. Nel 1828 Romedio II in occasione del matrimonio di suo nipote Romedio V fu Vigilio con Lucia Inama, oltre a varie donazioni, diede ospitalità agli sposi in casa sua. Nel 1836 dopo la morte di Romedio II fu Romedio Maria, erano sorti degli screzi fra Romedio V fu Vigilio Mendini, erede dello zio Romedio II e don Giacomo Mendini procuratore di suo fratello Romedio IV Mendini, consigliere a Zara. Il motivo del contendere fu il cattivo stato in cui era stata lasciata la casa goduta dal fu Romedio II, per cui era stato stimato un danno di 55 Fiorini. Romedio V saldò il debito e nello stesso anno si trasferì con la famiglia nella casa n. 13-14. Nella casa, subito dopo, prese posto Bartolomeo Mendini che trasferì pure dalla casa n. 24, la sua attività di bettoliere e vi rimase fino alla morte sopravvenuta nel 1859. Dopo Bartolomeo subentrò come affittuario il genero Romedio Endrizzi che la occupò fino al 1872, quando la proprietaria decise per la vendita della casa.

La parte di casa a ovest già dal 1812 era abitata da Vittore Brida originario di Tres, manente di Giacomo (Giacomo Antonio V) Mendini. Il consigliere Romedio IV Mendini moriva nel 1838, lasciando erede della casa n. 23 il suo unico figlio Camillo. Nel 1854 moriva anche Camillo che era sposato da appena quattro anni con Caterina Cireselli, senza aver avuto prole. Nel 1856 tutti i beni del fu Camillo, pervennero nella misura di ¾ allo zio don Giacomo Mendini e ¼ alla vedova Caterina, nel frattempo rimaritata con il medico Daniele Danieli di Mezzocorona. Riguardo alla casa di Dermulo si fecero due porzioni, di cui la prima toccò per sorte a Caterina (porzione est, ovvero porzione 3), la seconda a don Giacomo (porzione ovest, ovvero porzione1 e porzione 2).

La parte verso est (porzione 3) toccata a Caterina Cireselli era così costituita:

Al piano terra: la porta d’ingresso alla corte in comune con la seconda porzione, il mantenimento sarà pure comune; la porzione di corte all’entrata che continua sino ai termini fissi che la dividono dalla seconda porzione; e la porzione di portico a mattina fino alla croce fatta in vicinanza dello stipite sinistro della porta della caneva.

Il voltino a volto reale e la caneva a soffitto.

La stalla e lo stabbio a mattina in continuazione alla prima per entrare nella quale sarà aperto l'uscio a mezzodì sulla corte della seconda porzione su cui avrà libero passo e ripasso a pedone e con animali disgiunti per la stalla e stabbio. Dovrà poi otturare il presente uscio e finestra.

Al Primo Piano:

la porta d’ingresso con la seconda porzione e comune mantenimento.

La proprietà della metà del somasso a mattina sulla quale esiste la porta e quindi è aggravata dal libero passo a favore della seconda parte sia a pedone che con carri e bestiame sciolto, per altro esso sommasso è diviso in quanto al poggiare carri ed altro ma quando si tratta di battere ed al tempo dei fieni sarà in comune.

Il ? a settentrione che ha l'uscio sulla porzione di somasso della seconda parte e quindi avrà il libero passo e ripasso per andare a quello e così pure per buttar giù per il così detto gorgoz, fieno, mistura e altri foraggi. Il volto, la stufa, la cucina guardanti la strada. Saletta che ora mette dal somasso al poggiolo guardante in corte e la camera che gli stà in confine a sera, qui enunciata camera dalla porta del somasso sarà aperto un uscio regolare e costruita che con pianerottolo metta colla comodità possibile al portico il qual lavoro sarà sostenuto da ambe le porzioni e indi mantenuto in comune. L'uscio dovrà avere una larghezza di 4 piedi e 6 di altezza sulla qual misura sarà fatta la scala. Per l'occupazione del sito colla detta costruzione questa parte non avrà diritto ad indennizzo. La scala che conduce la secondo piano sarà di sua assoluta proprietà la quale dovrà postare stabilmente ove ?

Al secondo Piano:

La camera posta a mattina

Tutti gli anditi, are e stradulli col tetto fino all’aria e alle croci fisse sui legni a settentrione. A questa porzione è assegnato il broilo contiguo alla casa postole a settentrione, compreso il piccolo sedime vicino alla porta d’ingresso e la porzione di orto a settentrione diviso da termini e questo avrà l’entrata dalla strada della Pontara.

Questa parte di casa, orti e broilo confina 1 con le strade, e così 4, 2 eredi di Romedio Emer, 3 con la seconda Porzione. Il tutto viene valutato avere un minor valore della seconda parte di Fiorini 60.

La parte verso ovest (porzione 1 e porzione 2) toccata a don Giacomo Mendini era così costituita:

Al piano terra: la porta d’ingresso è comune con la prima parte e anche il mantenimento. La porzione di corte a sera dai termini che la divide dall’altra fino al muro dell’orto. La porzione di portico a sera che comincia dalla croce fatta vicino alla porta della caneva. In questa parte di portico e precisamente rasente il muro a mattina della stalla assegnata alla prima porzione sarà eretta una scala con pianerottolo che sbuca nel somasso la quale serve a comune vantaggio per cui sarà anche costruita e mantenuta come anche l'uscio e la spesa ripartita. Il sito che rimarrà sotto la scala e pianerottolo apparterrà alla seconda porzione. Il volto a volto reale con la stalla e stabbio contiguo a sera con l'attuale accesso. La corte di questa porzione è aggravata dal libero passo e ripasso a pedone e con bestiami sciolti a favore della prima porzione per andare alla stalla.

Al Primo Piano:

la porta d’ingresso in comune con la prima porzione e anche il mantenimento. Con diritto di accesso per la parte di somasso appartenente alla prima porzione. Questo somasso è diviso quanto al poggiare, in quanto poi al battere ed al tempo dei fieni è in comune. Siccome questa porzione ha diritto d'ingresso e ritorno sulla porzione di somasso della prima porzione, così viene fissato che essa prima parte non possa lasciar impedito ne di giorno ne di notte il libero passo con carri e pedoni. Questa porzione di somasso è gravata verso la prima del passo per recarsi a gettare dal gorgoz foraggi e altro in qualunque tempo e così del pari dell'accesso al necessario. Sul somasso sarà aperto l'uscio che mette alle scale da erigersi il quale uscio sarà eretto nella situazione avanti detta.

Il saletto sovrastante i due stabi, ove questa porzione dovrà collocare le scale che mettono al secondo piano.

La stufa cucina e cesso a sera.

Al secondo Piano:

La stanza e cucina a sera. Tutti gli anditi, are e stradulli col tetto fino all’aria e alle croci.

A questa porzione è assegnato l’orto parte a mezzodì dell'altra porzione d'orto con accesso a quello dalla parte della corte.

Questa porzione di casa e orto confina 1 con la prima porzione , 2 eredi di Romedio Emer 3 con dot. Widmann 4 con la prima porzione. E tutto valutato fu calcolato valere più della prima porzione 60 Fiorini.

 

Nel 1873 don Giacomo Mendini vendette per 611 Fiorini Austriaci la sua porzione di casa, compreso l’orto a sera e il cortile a mezzodì, a Lorenzo fu Valentino Inama. Nel documento si specificava che la cameretta giacente a mattina della cucina e a sera del salotto della porzione di casa di Andrea Eccher, apparteneva alla porzione di casa del venditore, essendo alla stessa stata incorporata chiudendo l’uscio che metteva sul salotto Eccher, dopo la redazione del documento del 1856. La famiglia Brida intanto, rimasta nella casa per più di sessant'anni come affittuaria e manente dei Mendini, si trasferiva nella casa n. 1, comperata da Lorenzo agli eredi di don Carlo Martini nel 1871. Nel 1894 Lorenzo Inama Valentin, trasferì al figlio Demetrio la metà indivisa della sua casa di abitazione al n. 23, compreso l’orto a sera e cortile a mezzodì, per la somma di 300 Fiorini. L'altra metà apparteneva a Fiorenzo Inama, fratello di Demetrio che emigrato in America non diede più sue notizie, per cui la sua parte pervenne ai suoi tre fratelli: Demetrio, Anna e Angela. Demetrio negli anni Trenta del Novecento divenne l'unico possessore della porzione di casa 1 che dopo la sua morte, avvenuta nel 1937, fu ereditata dalla sorella Angela, moglie di Giuseppe Kaisermann di Mezzolombardo. Nel 1938 Angela vendette la casa ai figli di Eugenio Eccher: Candido, Paolo, don Lorenzo e Riccardo. Infine quest'ultimo, nel 1954, acquisendo e permutando altre parti di casa dai fratelli, divenne l'unico proprietario della porzione 1, poi passata al figlio Guido.

La porzione 3 (ormai unificata con la 2 e così contraddistinta) della casa n. 23 invece, fu venduta nel 1873 da Caterina Danieli ad Andrea Eccher per il prezzo di 350 Fiorini. Andrea terminava di pagare la casa nel 1886 e nello stesso anno, sottoponeva la casa ad ipoteca per un prestito di 260 Fiorini avuto da Celeste Mendini di Cavalese. Nel 1913 dopo la morte di Andrea Eccher, la casa fu ereditata dai tre figli: Fortunato, Riccardo ed Emanuele. La parte di Emanuele morto nel 1918 fu ereditata dal fratello Fortunato che così divenne proprietario dei 2/3 della porzione 2. Nel 1948 tale possesso pervenne al figlio di Fortunato, Luigi. Una terza parte della porzione 2 (vecchia porzione 3) che era pervenuta ad Eugenio, nel 1952 fu suddivisa fra tutti i suoi numerosi eredi ed infine acquisita da Guido Eccher.

Nel catasto del 1910 abbiamo una descrizione dettagliata della casa che risultava divisa nel seguente modo:

Porzione 1. a pianoterra una cantina, due stalle, un avvolto e portico a sud della casa, a primo piano una stufa, cucina, due camere, salotto e cesso verso sera; a secondo piano una cucina, una stufa, due camere ed un salotto verso mezzodì sera ed un’aia verso settentrione e cesso verso sera; la porzione di sottotetto con corrispondente copertura verso sera della casa.

Piano terra Casa 23 PrimoPiano casa 23 Secondo Piano Casa 23 

Porzione 2. a pianoterra una cantina, due stalle, un avvolto e portico verso mattina della casa; a primo piano una stanza, un salotto, una stufa, una cucina, una camera ed altra stufa verso mattina mezzodì della casa e cesso in fondo al somasso verso settentrione; a secondo piano tre stanze, un legnaio ed aia verso mattina della casa; la porzione di sottotetto con corrispondente copertura, pure verso mattina.
Il somasso di primo piano è consortile fra ambedue le porzioni.

 

 

PERSONE EFFETTIVAMENTE PRESENTI NELLA CASA *

Anno 1554

Anno 1620

Anno 1670

Anno 1710

Anno 1780

Anno 1830

Anno 1880

Anno 1921

Simone Cordini

Nicolò Cordini

Simone Cordini

Giovanni Desiderati

disabitata

Vittore Brida

Lorenzo Inama (v)

Demetrio Inama

N.N. (m)

Maddalena N. (m)

Maddalena Pollini (m)

Maddalena Sicher (m)

 

Caterina Gregori (m)

Demetrio Inama (f)

Silvia Zambiasi (m)

Filippo Cordini (f)

Agata Cordini (f)

Stefano Carlo Cordini (fr)

 

 

Maria Brida (f)

Fiorenzo Inama (f)

Addolorata Inama (S) (a)

Antonio Cordini (f)

Elisabetta Cordini (f)

Giovanni Antonio Cordini (fr)

 

 

Giacomo Brida (f)

Anna Inama (f)

Augusta Inama (S) (a)

 

Antonia Cordini (f)

 

 

 

Lorenzo Brida (f)

Addolorata Inama (f)

Anna Inama (S) (a)

Giovanni Antonio Cordini

 

 

 

 

Caterina Brida (f)

Angela Inama (f)

 

N.N. (m)

Baldassarre Cordini

 

 

 

Anna Brida (f)

Augusta Inama (f)

Eugenio Eccher

 

Antonia Panizza (m)

 

 

 

 

 

Irene Tamè (m)

Nicolò Cordini

 

 

 

 

Romedio Mendini

Andrea Eccher

Abramo Eccher (f)

N.N. (m)

 

 

 

 

Lucia Inama (m)

Teresa Stancher (m)

Candido Eccher (f)

Baldassarre Cordini (f)

 

 

 

 

Romedio Mendini (z)

Emanuele Eccher (f)

Beatrice Eccher (f)

Antonio Cordini (f)

 

 

 

 

 

Blandina Eccher (f)

Lorenzo Eccher (f) (a)

Ursula Cordini (f)

 

 

 

 

 

Ambrogio Eccher (f)

Andrea Eccher (f) (a)

 

 

 

 

 

 

Eugenio Eccher (f)

Paolo Eccher (f) (a)

Vigilio Cordini

 

 

 

 

 

Fortunato Eccher (f)

 

N.N. (m)

 

 

 

 

 

Anna Eccher (f)

Riccardo Eccher

 

 

 

 

 

 

 

Luigia Inama (m)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Fortunato Eccher

 

 

 

 

 

 

 

Maria Inama (m)

 

 

 

 

 

 

 

Teresina Eccher (f)

 

 

 

 

 

 

 

Emma Eccher (f)

 

 

 

 

 

 

 

Luigi Eccher (f)

 

 

 

 

 

 

 

Celestina Eccher (f)

 

 

 

 

 

 

 

Francesco Eccher (f) (a)

 

 

 

 

 

 

 

Emanuele Eccher (fr)

 

 

 

 

 

 

 

Blandina Eccher (S) (a)

 

 

 

 

 

 

 

 

* Per gli anni 1554, 1620 e 1670 le persone non sono quelle effettivamente presenti ma solo quelle di cui si è avuta contezza. Il nominativo sottolineato corrisponde al capofamiglia. Le seguenti abbreviazioni indicano i rapporti di parentela con il nome sottolineato: m sta per moglie, f. per figlio/a, fr per fratello, S per sorella, v per vedovo/a, p per padre, M per madre, s per suocero/a, n per nipote, z per zio, N per nuora e c per cognato/a. Per il 1780, i nomi dei proprietari provengono dal Catasto teresiano  presso l’A.S.T. Per il 1921 si è preso in considerazione il censimento di tale anno presso l’A.C.D.  Inoltre, e solo per questo anno, sono state evidenziate le persone assenti con la lettera a. Per gli anni rimanenti i nomi dei capifamiglia e/o il numero degli occupanti la casa, sono stati desunti da vari documenti consultati presso A.C.D., A.P.T. e A.D.T.

 

 

[1] Non si può escludere che Nicolò V, avesse abitato e posseduto solamente la futura casa 24 assegnatali dal padre Baldassarre IV, e quindi non avesse avuto proprietà nella casa 23 che invece apparteneva ai suoi fratelli Simone II, Stefano Carlo e Giovanni Antonio. Infatti i possessi successivi relativi ad Antonia ed Elisabetta figlie di Nicolò V, non sono a lui imputabili ma derivati dalla donazione di Stefano Carlo, e dall'eredità di Giovanni Antonio Cordini. Dell'eredità di Giovanni Antonio, Antonia oltre alla parte spettante assieme alla sorella Elisabetta in quanto eredi del padre Nicolò, percepì anche la quota che sarebbe appartenuta allo zio Stefano Carlo.

[2] Molto probabilmente, almeno dal 1709 al 1723, nella casa abitò in affitto il molitoris Giovanni Desiderati di Coredo assieme alla moglie Maddalena Sicher. Di questa presenza si trova traccia nei registri parrocchiali e in un documento notarile del 1710.

[3] In un documento del 1798 del notaio Giovanni Matteo Widmann di Coredo, viene prospettata una situazione non molto chiara riguardo ad un contenzioso fra il notaio Baldassarre Bergamo di Taio e gli eredi di Cristano Emer. Il motivo del contendere sembra essere stata l'eredità di Anna Caterina Conci, moglie di Giuseppe Widmann e suocera di Cristano Emer e di Baldassarre Bergamo. Nel documento di chiarisce che dell'eredità era rimasta solo una parte di casa semidiroccata a Dermulo. Dopo il matrimonio avvenuto nel 1732 Teresa Margherita Widamann e Cristano Emer vissero per un periodo a Taio per poi intorno al 1740 trasferirsi a Dermulo con al seguito i coniugi Widmann. Questi ultimi forse vissero in una parte di casa 23 (porzione 3) fino alla morte, avvenuta per Giuseppe nel 1745 e per Teresa nel 1753. Ed è forse ereditando la casa dai Widmann che Cristano ne venne in possesso per poi alienarla ai Mendini.

 

 

 

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