LA CASA N° 2 - 3- alla Crosara o Inama di sopra

(Oggi Via Eccher n. 22 e 26 e Via Strada Romana n. 8) P.E. 9, 10, 11, 12

 


                          I PIANI

 

Le case 2-3 costituiscono la parte più a nord del grande caseggiato alla Crosara, sorto a monte dell'antica via che attraversava il paese. Possiamo supporre che queste e la n.1 fossero le progenitrici del colomello, ovvero costruzioni isolate che solo in un secondo momento, tramite l'espansione rispettivamente a sud e a nord, si sono poi unite per formare un blocco unico. La prova di questo processo espansivo la troviamo nella casa n.4 che, incastonata fra le predette case, è a sua volta formata da due distinte costruzioni adiacenti, probabilmente trasformate in abitazione dalla loro primitiva funzione di casale. La casa n.4 è rimasta immutata in altezza durante i secoli, perciò presentemente possiamo farci un'idea di quanto fossero alte le case confinanti. Le stesse case 2-3 però sono il risultato di un’aggregazione di vari blocchi abitativi. Possiamo riconoscere l'abitazione primitiva nelle porzioni E e F alle quali poi via via sono state aggiunte altre parti. Queste due porzioni fino alla prima metà dell'Ottocento erano molto in relazione e mostravano chiaramente l'utilizzo da parte di un unico proprietario.

 

RAPPRESENTAZIONE SCHEMATICA DELLA CASA N. 2-3

 

 

Sull’angolo nord-ovest sporgeva un rimasuglio di costruzione che presagiva l’esistenza di un arco di collegamento fra la casa n. 3 e quella n. 5, creando quindi un cortile fra le due case con entrata dall’Androna.[1] Il cortile è citato in un documento del 1554 dal quale apprendiamo che esso apparteneva agli eredi del fu Simone Pret. E' pure specificato che attraverso tale cortile avevano il diritto di passaggio i proprietari di quella che qui ho chiamato, porzione F. A tale porzione, oltre che dal cortile posto a ovest presso la via comunale, si poteva accedere appunto da est, salendo per il pont e attraversando il somasso. Quello che nel 1554 era detto "cortile dei Pretis" e poi successivamente contrassegnato come via consortale, quindi appartenente ai proprietari ivi residenti, fu in seguito stranamente ricondotto a proprietà comunale.

 

DESCRIZIONE DELLA CASA AGLI INIZI DEL NOVECENTO

Le ristrutturazioni effettuate nel secolo scorso hanno stravolto parecchio l’aspetto originale, ma essendo ancora vicine alla nostra epoca se ne è preservata ancora memoria. La porzione a nord-ovest era meno alta rispetto a quella adiacente ed il tetto spioveva verso l'Androna anzichè verso est. Sul lato est del caseggiato un classico pònt saliva al somasso che dava comunicazione alle varie unità abitative. A destra del pònt insistevano due concimaie con altrettante corti che immettevano in due distinte stalle e, inoltre, un così detto cesso a caduta pertinente alla porzione A. A sinistra del pònt, nella cort, si potevano vedere altre due concimaie intervallate dal sentiero d’accesso ad altre stalle e vouti pertinenti alle porzioni A e E. All'angolo formato dal lato est e dal lato sud si poteva notare un altro cesso a caduta proprietà della porzione E. Il lato sud era ed è tuttora per metà senza finestre, in quanto anticamente vi era stata accostata una parete della casa n. 4, e per circa l'altra metà, è occupato da un cortile cinto da muri. Al cortile si accedeva entrando dalla strada pubblica attraverso un arco costruito in pietra. Il lato ovest non presentava altre peculiarità fatta salva un'altra apertura in prossimità dell'angolo nord-ovest, oggi ridotta a piccola finestra, che dava accesso ad un locale in certi documenti denominato bottega. Il lato nord confinante con l'Androna presentava un portico di accesso prospiciente all'arco gotico della casa n. 7-8. Questa parte sembra sia stata costruita posteriormente al resto della casa. La considerazione deriva dal fatto che dalla porzione C è possibile osservare, sulla parete di confine con la porzione F, delle aperture oggi tamponate che risultano essere state delle finestre. Altro indizio è che il livello dei piani di questa porzione non è lo stesso di quello ad essa vicina.
Per meglio inquadrare la situazione ho suddiviso il caseggiato in sette porzioni che, a parte la D (somasso comune), costituivano le varie unità abitative nel secolo scorso. In epoca successiva a questa suddivisione ho reperito la relativa mappa catastale, per cui è stato qui aggiunto un numero che contraddistingueva quella specifica porzione nel catasto. La porzione G in realtà non si può considerare una vera e propria unità abitativa, essendo costituita solamente da una camera e da un avvolto sovrapposto.

PORZIONE A (3)
Dalla prima porta che si poteva scorgere sulla destra appena entrati sul somasso
, si accedeva all’abitazione della così detta casa Panizia.
[2] La porta, prima della ristrutturazione degli anni Sessanta del Novecento, occupava la parte più a sinistra dell’attuale entrata del magazzino. Alcune notizie fanno ritenere che questa parte, nel Seicento, fosse stata adibita a stabbio e quindi, la sua trasformazione in abitazione, sia stata cosa relativamente recente. Aprendo la porta e salendo alcuni scalini, ci si immetteva su uno stretto corridoio sulla cui parete destra si aprivano altre due porte: la prima permetteva di accedere alla cucina, la seconda a una camera. La cucina, secondo la testimonianza di chi la vide, era tutta annerita dal fumo a causa del focolare aperto e aveva due finestre che guardavano sulla strada consortale. Una di queste finestre era di dimensioni più ridotte ed in sua corrispondenza c'era un focolare. La camera invece aveva una sola finestra verso l'Androna. Salendo il pont, sulla destra, si poteva notare la caratteristica costruzione dello sterquilinio, ossia il "cesso a caduta". Al secondo piano si accedeva tramite una scala in legno appoggiata parallelamente alla parete sud del somasso, entrando a sinistra. Se invece si entrava a destra si raggiungevano gli anditi della porzione E con la quale detta scala era in comproprietà. Il primo locale della porzione A, sovrapposto al somasso, era adibito a fienile ed era aperto fino al tetto. La parte in muratura sopra il portone di accesso del pònt, aveva uno ammanco ed il tutto era poi tamponato con assi di legno. Sullo stesso piano, in corrispondenza della sottostante camera e cucina, c’era un camerone che riceveva luce da una sola finestra posta sul lato est. Dal fienile tramite una scala a pioli si raggiungeva il locale ad uso soffitta, posto sopra il camerone. Sotto i locali di abitazione c'erano due stalle che però non appartenevano a questa porzione ma bensì alla porzione B e C. Erano pertinenti di questa porzione invece, i locali sotto il somasso ai quali si accedeva tramite la cort a sinistra del pònt. Più precisamente tra il lato sud del pònt e la concimaia, un sentiero portava all'uscio del portico. Sulla sinistra di questo avvolto si apriva la porta della stalla, poi quella del deposito dello strame e in fondo la porta della cantina. Nel 1780 la porzione apparteneva a Giacomo Inama e nel 1860 le fu assegnato il numero di P.E. 12.

PORZIONI B e C  (2) e (1)
Queste porzioni possono essere riconosciute come le più "giovani" del caseggiato, in quanto addossate alle altre in un periodo successivo. Le porzione B e C a seconda del periodo considerato, si ritrovano riunite sotto un unico proprietario oppure come entità autonome. Al piano terra, entrando cioè nel portico dal lato nord in fondo all'Androna, si notava sulla destra un locale, in certi documenti detto la bottega, e che per qualche periodo fu anche suddiviso tramite un muro. Poi una stalla, una cantina, pure questa tramezzata, e un avvolto. La cantina dal 1756 al 1769 era stata ceduta alla famiglia Mendini, totalmente estranea al caseggiato. Nel 1802, presumibilmente lo stesso locale, fu acquistato dalla famiglia Inama residente nella vicina casa 26-27. Salendo in direzione est-ovest la scala in muratura appoggiata al lato nord, si giungeva in una saletta al piano superiore
.[3] Su questo piano si aprivano tre locali: una cucina e una camera appartenenti alla porzione C e un altro avvolto senza finestre. In quest'ultimo locale era presente un focolare aperto e il forno per cuocere il pane. Ho ragione di ritenere che tale forno non fosse pertinenza della porzione C, ma della B, o addirittura di altre porzioni della casa. Dalla prima citata saletta, tramite alcuni scalini si saliva ad un altra saletta, detta anche somasso piccolo (somassòt), dal quale si arrivava ad una ulteriore saletta che dava accesso ai quattro locali della porzione B. Verso sud, in parte sopra il somasso grande, c'erano due fienili. Al somassòt era possibile accedere anche dal somasso principale, scendendo alcuni scalini. Sul lato ovest in corrispondenza delle cucine, sia al primo che al secondo piano, sporgevano due poggioli. Infine con un'altra scala si raggiungeva il terzo piano che non aveva locali ma era adibito a soffitta. Le porzioni B e C possedevano anche due stalle fisicamente sotto la porzione A. Il muro divisorio delle due stalle correva parallelo all’Androna. Grazie ad una descrizione confinaria possiamo stabilire con certezza che la porzione C era proprietaria della stalla adiacente all'Androna e quindi di conseguenza la porzione B, possedeva quella più interna, verso il pont. Entrambe le stalle avevano le porte d'accesso e le relative concimaie sul lato est della casa. Il livello del pavimento dell'odierno locale è disposto molto più basso di come era in origine, in quanto con la ristrutturazione è stata asportata una grande quantità di roccia. Nel 1780 la porzione B apparteneva a Baldassarre Inama e misurava 15 Pertiche, mentre la porzione C ne misurava 10 ed era di Giovanni Inama. Nel 1860 entrambe le porzioni erano contraddistinte dal numero di P.E. 11.

PORZIONE D
Dal somasso grande raggiungibile per mezzo del pont, si accedeva alle varie unità abitative. Ogni porzione di casa possedeva in esclusiva proprietà una sua parte di somasso, più o meno estesa e ben delimitata da segni convenzionali incisi sui muri e sui travi. Spesso però queste confinazioni non preservavano da discussioni e liti per il suo utilizzo, in quanto i proprietari più interni, possedevano il diritto di passaggio per le proprietà più esterne, per cui l'accesso doveva rimanere sgombro. Ad esempio per raggiungere la porzione G, il proprietario doveva passare sulla proprietà delle porzione A e E. Quindi spesso la proprietà di una parte di somasso era in realtà abbastanza inutile, dal momento che non vi si poteva riporre niente in modo stabile. Sul somasso si potevano compiere le varie operazioni che il mondo agricolo in quell'epoca prevedeva, quali la trebbiatura del grano, lo sminuzzamento del fieno, la sfogliatura del granoturco, ecc. Il problema naturalmente si acuiva in occasione di compravendite e per tale motivo, nel 1809 si ritenne utile la redazione di un documento che ribadisse la suddivisione del somasso e le servitù a cui era soggetto. Fino agli anni Sessanta del Novecento era possibile notare una grande trave di legno che attraversava metà del somasso in direzione est-ovest, la qual trave era sorretta nella sua parte iniziale da una grossa colonna pure di legno. Sul somasso procedendo in senso antiorario si incontravano le seguenti aperture: uscio di accesso alla porzione A, porta che immetteva al piccolo somasso (detto anche somassetto) delle porzioni B e C, porta per accedere alla porzione G, porta per la porzione F, apertura che tramite una scala permetteva di raggiungere la stalla e gli avvolti della sezione E, ed infine la porta dell'appartamento E. Queste due ultime aperture furono predisposte dopo le divisioni del 1834. Inoltre si elevavano delle scale e precisamente in senso antiorario: una scala a pioli mobile per raggiungere l'avvolto G, scala in legno che appoggiata in parallelo sul lato ovest, permetteva di salire in direzione sud-nord, alla soffitta della porzione F (predisposta dopo le divisioni del 1834) e scala in legno appoggiata in parallelo sul lato sud, che permetteva di salire in direzione ovest-est, ai locali delle porzioni A e E. Nel 1860 il somasso è contraddistinto dal numero di P.E. 10.

PORZIONE E (4)
All'appartamento della sezione E si accedeva tramite una porta posta sul somasso, in corrispondenza della sopra accennata scala. Questa porta sembra sia stata aperta in seguito alla divisione del 1834 fra i fratelli
Giovanni e Giacomo Inama. Quindi è probabile che prima di allora, questa porzione avesse l'accesso non dal somasso, ma sul lato a mattina della casa, tramite il poggiolo che sorgeva in luogo dell'odierno terrazzo. Al termine del poggiolo, verso sud, sporgeva un cesso a caduta. L'unità abitativa comprendeva una camera, una saletta e una cucina. Sopra l'appartamento c'era la soffitta, alla quale si accedeva da una scala sul somasso. Nella cort esisteva una concimaia confinante con le pertinenze della casa n. 4; a lato della concimaia, un sentiero conduceva alla porta d'ingresso dei locali al piano terra. Dalla porta esistente all'estrema sinistra ci si portava attraverso un corridoio alla cantina e alla stalla. In fondo al corridoio un vecchio passaggio, oggi ostruito da un muro divisorio, permetteva di raggiungere gli avvolti della porzione F e quindi il cortile (la cort dela Liseta); invece tramite una scala di legno appoggiata parallelamente alla parete ovest, si saliva al somasso. Non è escluso che la citata porta sulla parete est, vicina alla casa n.4, non fosse in passato esistita e che invece ci fosse un portico aperto direttamente collegato al cortile (cort dela Liseta) della porzione F. Già al tempo delle prime divisioni fra i fratelli Giacomo e Vittore figli di Silvestro Inama, esisteva una certa promiscuità fra i locali delle due porzioni; sicuramente Giacomo deteneva gran parte della sezione F, ma non un piccolo andito, il portico e la cantina posti nella porzione E. Nel corso del Settecento, i nuovi proprietari della porzione F, acquisirono alcune parti di locali che erano in comproprietà con i possessori della porzione E, mantenendo però sempre il diritto di servitù per "torchiare" e raggiungere la sopra nominata cantina. L'attuale situazione di netta separazione, si è creata solo dopo il 1834, quando le due porzioni E e F, fino ad allora entità unica, furono suddivise fra i fratelli Giovanni e Giacomo Inama. La stalla si trova fisicamente sotto il piano della casa n. 4, perchè in antico di sua pertinenza. Già nel 1819 la stalla era passata in mano a Giacomo fu Giuseppe Inama, in garanzia di un debito che Giuseppe Tamè aveva contratto con Giacomo per l'acquisto di un terreno a Campovecchio. Evidentemente però era ritornata in mano Tamè almeno fino al 1833, anno in cui lo stesso Giuseppe Tamè, l’aveva ceduta ai fratelli Giacomo e Giovanni fu Giacomo Inama per 40 Fiorini e 3 Stari di granoturco. In quell'occasione venne permesso ai nuovi proprietari di aprire due usci nei muri, uno verso il corridoio a nord della stessa stalla, l'altro a est, sbucante nel cortile della porzione di casa F, allora proprietà di entrambi i fratelli. Quest'ultima porta, non so se sia mai stata aperta, ma in caso lo fosse stato, fu poi tamponata fino a ricavarne una finestra. Invece fu sicuramente ostruita l'apertura sul lato est che permetteva ai vecchi proprietari Tamè di raggiungere la stalla dalle loro pertinenze. Nel 1780 la porzione apparteneva a Giacomo Inama e nel 1860 le fu assegnato il numero 9 di P.E., lo stesso della porzione F. L'acquisizione della stalla dai Tamè si rilevò molto utile nel contesto della divisione della casa, in quanto la sezione E ne sarebbe stata priva.

PORZIONE F (5)
A sinistra in fondo al somasso, una porta dava accesso alla porzione di casa F e da una scala parallela alla parete ovest si accedeva alla soffitta della medesima porzione. Di questa porzione era appannaggio il cortile circondato da muri posto a ovest, da cui si accedeva al portico. Da qui poi si poteva entrare, procedendo in senso orario, ad un avvolto, una stalla e una cantina. Dal portico prima delle divisioni del 1834 era possibile entrare nell'avvolto della porzione E, e da qui, salendo la vicina scala di legno, portarsi sul somasso. Al menzionato cortile oltre che dal portone principale si poteva accedere da una porta più piccola. In corrispondenza di questa, una scala di legno portava al piano superiore (mezzopiano) che conteneva tre locali: una camera, una cucina e una saletta. Salendo poi per un'altra scala ci si portava a livello del somasso, dove un altro appartamento (primo piano) conteneva altri tre locali identici a quelli sottostanti. Entrando dal somasso si accedeva ai predetti locali tramite un corridoio tondeggiante. Dalla cucina si poteva uscire sul poggiolo di legno posto sul lato ovest. Nel 1780 questa porzione apparteneva a Giovanni Mendini e misurava 42 Pertiche, dopo il 1860 le fu assegnato il numero 9 di P.E.

PORZIONE G (4)
Sulla parete ovest, in fondo al somasso sulla destra, scendendo tre scalini si entrava in un locale costruito a volto massiccio, ricordato fino ai giorni nostri come "la ciamera dela nona Anzelica". Sovrapposto a questo un altro andito, detto vout dele ponte al quale si accedeva pure dal somasso, mediante una robusta e larga scala a pioli. Invece sotto alla camera, poco rialzato rispetto al pianterreno, si trovava un altro vout. Questi tre locali, rispetto agli altri appartamenti della casa sono stati oggetto di compravendite autonome e, a seconda dell'epoca, sono stati aggregati ad una o all'altra porzione. Si arguisce che la loro costruzione fu indipendente rispetto ai vicini locali anche per il fatto che insistevano su livelli diversi (mezzopiano). La camera oggi proprietà di Antonio Inama, presentava tre aperture che a seconda della porzione acquirente, venivano tamponate o riaperte. Nel 1780 il locale superiore apparteneva a
Giovanni Inama mentre i due inferiori a Giacomo Inama. Questi locali con molta probabilità corrispondevano a quelli acquistati nel 1687 da Vittore Inama a Lucia Valemi, vedova di Luca Massenza.

 

 

1554

 

 

I PROPRIETARI DELLA CASA

 

Assieme alla numero 26-27, alla 1 e alla 7-8, [4] la 2-3 è una delle prime case abitate dalle famiglie Inama di Dermulo. La prima notizia che ci permette di identificare la casa risale al 1554, quando Giacoma, vedova del notaio Vittore Inama, vendeva una parte di detta casa ad Anna Cordini di Dermulo. Quindi la casa fu del marito Vittore, al quale potrebbe essere pervenuta in eredità dal padre Salvatore, oppure da lui acquistata da qualche altro membro della famiglia. Nel documento del 1554 la casa è descritta come casa di muri e legnami con stufa, cucina, canipa, stalla, cortile e forno alla quale confinava a mattina Giovanni del Nardo (Inama), a meridione gli eredi del fu Gaspare Inama, a sera la via comune e a settentrione gli eredi di Giovanni Inama, Matteo Filippi (Inama), e gli eredi di Simone Pret. I confini citati ci permettono di riconoscere la parte di casa venduta, con quella che nello schema ho contraddistinto con lettera F, anche se non posso escludere potesse comprendere qualche parte della sezione E. Si poteva accedere alla casa anche da mattina, passando attraverso il cortile della famiglia Pret, che oltre alla casa più antica n.7-8, possedeva anche la porzione  A della casa 2-3.

I nomi dei membri della famiglia Inama confinanti nel succitato documento, ci permettono di ipotizzare che il caseggiato fosse entrato nelle disponibilità della famiglia già nella prima metà del Quattrocento. Il capostipite Inama potrebbe essere stato l'attore della compravendita da un individuo a tutt'oggi sconosciuto. Dopo la morte di Inama avvenuta intorno al 1452, la casa fu suddivisa fra i cinque figli di cui quattro risultano rappresentati fra i proprietari citati nel 1554. Essi sono Giovanni, di cui troviamo il nipote Giovanni del Nard, Gaspare di cui troviamo gli eredi di suo figlio Marino, Gregorio di cui troviamo gli eredi del nipote Giovanni figlio del fu Vigilio e il defunto Vittore figlio del fu Salvatore, e infine di Antonio di cui troviamo il nipote Matteo figlio del fu Filippo. Giovanni fu Leonardo Inama, che sicuramente per buona parte della sua vita, aveva abitato nella casa degli Inama di Fondo di cui era referente in paese, oltre alla porzione E, potrebbe essere stato proprietario pure della parte nord della casa n. 4. Nei trent'anni a cavallo fra il Cinquecento e il Seicento molte famiglie si estinsero o abbandonarono la casa, per cui subentrarono altre persone. Altre porzioni furono acquisite da confinanti o eredi che poi in seguito cedettero agli stessi confinanti. Dopo un lungo silenzio documentale durato più di cento anni, incominciamo ad avere altre notizie sulla casa dopo la seconda metà del Seicento. Quanto emerso dagli atti ci permette di affermare che la porzione F, (e probabilmente la G) transitò intorno al 1640 a Giacomo figlio del fu Simone Massenza che abitò nella casa con la moglie Maria Sicher, e le tre figlie, Lucia, Caterina e Maddalena. La porzione E invece, risultava in proprietà a Tommaso Massenza figlio di Giovanni Battista. Tommaso, benchè proprietario, non abitò mai in questa casa perchè risiedeva con la famiglia nella casa paterna al Castelet. Il possesso di Tommaso non derivava da una compravendita perchè in realtà la proprietaria era sua moglie Marina che a sua volta l'aveva ricevuta in eredità dal padre Antonio fu Marino III Inama. Se volessimo fare un ulteriore passo indietro, potremmo ipotizzare che Antonio Inama avesse ereditato la casa dal padre Marino III o forse addirittura dal nonno Valentino I. Inoltre possiamo azzardare l'ipotesi che la casa fosse appartenuta a Giovanni Inama (del Nard).

1670

 


Le due porzioni furono poi riacquistate da
Silvestro II Inama e da suo figlio Vittore III. Il primo, in due distinti atti del 1663 e del 1671, aveva infatti acquistato, rispettivamente da Maddalena e da Caterina figlie del fu Giacomo Massenza, due delle tre porzioni della casa che fu di Giacomo Massenza. Del 1663 sappiamo che Silvestro aveva perfezionato la vendita che in realtà comprendeva anche diversi terreni, per la somma di 370 Ragnesi, ma non disponiamo dell'atto in questione, per cui non possiamo ricavare altre informazioni. Invece il documento del 1671 ci dà la descrizione della casa, detta "la casa di Giacomo Massenza", costituita al piano terra da metà del cortile, stalla e stabbio; al di sopra, la stufa, metà del somasso maggiore, stradugario e tetto in linea retta, "vicino alla via Imperiale, detto compratore, rispetto al cortile e alla stalla, e rispetto alla stufa e al somasso, parimente lo stesso compratore, Tommaso Massenza, Luca Massenza con parte di casa acquisita tramite permuta con Lucia sorella della venditrice". La terza porzione della casa di Giacomo, corrispondente a quella appena citata come confine nel 1671, fu invece acquisita da Vittore III nel 1687 a Lucia Valemi vedova di Luca Massenza. Il documento esplicita anche come questa parte di casa fosse arrivata in mano a Lucia, ovvero mediante una permuta con gli eredi di Pietro Valemi, uxorio nomine. Con gli eredi di Pietro Valemi si intendeva essenzialmente quel Giovanni Domenico che aveva preso in moglie Lucia Massenza, la terza figlia di Giacomo. Questa piccola porzione di casa era costituita da una cantina, una stalla e una saletta, il tutto da terra fino all'aria con la servitù del ponte, per il prezzo di 85 Ragnesi. Forse, anche se ci sono alcune riserve, si potrebbe riconoscere questa esigua entità, nella porzione G. Il documento oltre a Vittore, cita come confinante di quella porzione anche suo fratello Giacomo Inama e Stefano Panizza di Taio. Per quanto riguarda Giacomo si trattava sicuramente della futura porzione F (anche la E?). Mentre Stefano che era figlio del fu Pietro Panizza, potrebbe aver ereditato la casa dal padre, oppure dal fratello Giovanni Antonio che di Dermulo era convicino e all'epoca, era da poco scomparso. La porzione del Panizza dovrebbe essere stata quella contraddistinta dalla lettera A, in considerazione anche che nel catasto di meta Ottocento era detta "casa Panizia". Per cui possiamo affermare che la parte di casa di Matteo Pret fu acquisita dai Panizza, e poi a sua volta, sul finire del Seicento, da Marino Inama che abitava nella vicina casa n.7.
Nella casa del fu Giacomo Massenza, assieme alla vedova Maria Sicher e alle tre figlie, aveva trovato posto anche Maria Massenza figlia del fu Domenico e cugina di Giacomo che rimasta vedova di Michele Sborz di Smarano, aveva fatto ritorno a Dermulo. Nel 1664 infatti si trovava in precarie condizioni di salute "nella stua della casa del fu Giacomo Massenza", dove redigeva testamento beneficiando dei suoi beni, oltre a Vittore Massenza anche Maria Sicher che le aveva prestato cura.
La parte di Tommaso Massenza, nel 1680 risulta di fatto in mano a
Giacomo Inama, per cui dopo il 1671 Tommaso aveva proceduto ad alienarla, ma della compravendita non abbiamo il documento.[4b]

 

1680

 

 

Nel 1680 troviamo finalmente delle notizie più dettagliate, allorchè i fratelli Giacomo e Vittore figli di Silvestro Inama procedevano alla divisione della "casa sopra la Crosara". Dal documento si evince che la quasi totalità della casa apparteneva in quel momento a Silvestro Inama padre dei due fratelli. All'epoca Silvestro abitava nella casa n. 27, il figlio Vittore sicuramente nella casa 26, mentre l'abitazione di Giacomo non sono riuscito a determinarla con precisione. Plausibilmente occupava una delle unità abitative nella casa 27 assieme al padre, ma non posso escludere nemmeno che vivesse nella casa del maso Betta, dove in quegli anni era colono. Gli accordi di divisione prevedevano che a Vittore fosse assegnata una parte della casa alla Crosara, che a basso comprendeva il portico, la cantina, due altri avvolti e altro revolto attiguo alla cantina; nella parte superiore, la stua, la cucina e un altro avvolto tra la stua, la metà del somasso e delle stradughe e tetto, come da croce fatta sulla trave e sul muro. In più la servitù sul ponte e parte di somasso verso la confinante casa toccata al fratello Giacomo. La casa confinava a mattina con la via consortale, a mezzodì con il fratello Giacomo, poi la via imperiale e altra via comune che era detta Androna. Ho il sospetto che i confini fossero stati "semplificati", infatti non c'è accenno ad altre persone che all'epoca dovrebbero essere state proprietarie di alcune parti di casa, quali i Panizza e i Valemi. Come già accennato queste parti erano sicuramente di ridotte dimensioni, ma in ogni caso anche i locali ascritti a Vittore dovrebbero essere numericamente almeno il doppio. La mancata descrizione della parte di Giacomo non ci permette di sapere l'entità dei suoi possessi, che forse andavano oltre a quanto rivelatoci dai documenti negli anni successivi. Una prova di quello che ho appena affermato è la presenza del fratello Giacomo come confinante verso sud di Vittore, e quindi possessore, oltre che della porzione F, anche la E. Nel 1695 compaiono descritti dei locali, poi assegnati ad Ottavio, che non figuravano nel possesso del padre Vittore, e pure questo ci aiuta a capire che fra il 1680 e il 1695 ci furono dei passaggi di proprietà non documentati. La stessa cosa ritengo sia avvenuta per le porzioni di Giacomo.
La parte di Giacomo rimase indivisa per più di un secolo, quella di Vittore, invece, sarà frammentata.
Vittore moriva nel 1690 e nel 1695 la sua parte di casa, in futuro numerata 2-3, passava ai due figli Ottavio e Vittore II. [5] Ottavio quindi, che prima del matrimonio abitava con il padre Vittore nella futura casa n. 26, si trasferirà e abiterà definitivamente nella casa 2-3.

 

1695

 

 

 

 

LA PARTE DI CASA APPARTENUTA A VITTORE INAMA FU SILVESTRO (1634-1690) A B C D E G

 

LA SUDDIVISIONE FRA VITTORE E OTTAVIO FIGLI DEL FU VITTORE NEL 1695

 

LA PARTE DI VITTORE FU VITTORE B C A D

La prima parte toccata per sorte a Vittore, fratello più giovane, comprendeva: a basso un portico, un avvolto, tre archi e una finestra, per quale fu specificato che non poteva oscurarne il lume. Di sopra una saletta, una stufa, una cucina a revolto, anditi sopra la saletta e stradugari fino alla croce fatta sui muri. Lo stabbio e stalla sotto questo stabbio verso la casa di Marino Inama, parte della corte davanti alla stalla, somasso grande (D) in comune con il fratello Ottavio e lo zio Giacomo Inama. Vittore aveva l'onere di mantenere la sua parte di ponte e se avesse voluto costruire un arco, ossia un revolto, sotto detto ponte, avrebbe dovuto costruirlo e mantenerlo a sue spese. Detta casa confinava con Ottavio fratello dividente, la via imperiale, l’Androna, e Marino Inama da due parti. Quindi si trattava grosso modo della parte di casa a nord-est. Vittore che intanto aveva intrapreso la carriera ecclesiastica, nel 1704 moriva e l'anno seguente la sua sostanza fu suddivisa fra i fratelli. In particolare la parte di casa B toccatigli nel 1695, composta da stalla, fienile, una quota di somasso, anditi e tetto sopra, fino all’aria con il diritto di transitare sulla via e ponte a piedi e con carri, sarà assegnata alla sorella Barbara, vedova di Simone Leonardelli di Coredo. La casa confinava a mattina con Marino Inama, a mezzodì con i fratelli Ottavio e Giovanni Giacomo Inama, a sera con la via Imperiale (nel documento è detta erroneamente "via consortile") e a settentrione con la via consortile e detto Marino Inama. Barbara o i suoi eredi cederanno poi questa parte  a Ottavio. Da un documento del 1730, mediante il quale sulla casa alla Crosara veniva assicurato un capitale in favore del notaio Ferdinando Panizza di Taio, si desume infatti che Ottavio, era divenuto l'unico proprietario della casa, fatta salva la parte del cugino Silvestro Inama.

 

1705

 

 

 

LA PARTE DI OTTAVIO FU VITTORE D E G

La seconda parte toccata a Ottavio altro fratello era costituita a basso: da una cantina grande di travi e andito davanti alla cantina, stalla e stalleta di travi, corte, ossia cortile, altra camera grande di travi. Di sopra, cucina costruita di assi, una camera grande e un vòlto che Ottavio doveva rimuovere, e costruire sopra il somasso. Questa parte di casa confinava con Marino Inama, Giovanni Giacomo Inama fratello dividente mediante la corte e murozia donata da Giuseppe Inama di Lavis, eredi Endrizzi e lo zio Giacomo Inama. Una cosa che balza all'occhio nella situazione prospettata nel 1695 sono i confinanti delle varie parti di casa. In particolare si nota la presenza di Marino Inama che in base a come descritto nei confini, risulta essere proprietario di una porzione a nord-est della casa n. 3. A. Di tale situazione non si trova riscontro nel 1680 all'epoca della suddivisione di Silvestro, ma come abbiamo visto da un altro documento, la parte era in mano ai Panizza che verosimilmente l'avevano poi ceduta a Marino. Altra cosa interessante che apprendiamo dall'enunciazione dei confinanti è che in detta casa, era proprietario di una corte e murozia, Giuseppe Inama di Lavis. Tali anditi, si disse, furono donati a Giovanni Giacomo Inama che poi troveremo citato come confinante ancora nel 1726 per  delimitare la casa alla Catuzza. Possiamo quindi concludere che Giovanni Giacomo fu beneficiato per un motivo sconosciuto di una piccola porzione di casa, (corte e anditi) appartenuti al notaio Antonio Inama, trasferitosi a Lavis circa nel 1580 e di cui Giuseppe era nipote.[6]. Tale luogo è da localizzare con le cort che insistevano a mattina della casa, a cavallo del confine fra l'odierna casa Valentini e quella di Gianni Inama. Gli eventi successivi ci diranno che Ottavio Inama sarà il possessore di questi locali.

Lo stesso Ottavio possedeva pure la camera e il soprastante avvolto descritti dalla porzione (G).

 

1730

 

 

 

 

LA SUDDIVISIONE DELLA CASA FRA VITTORE, SILVESTRO E GIACOMO FIGLI DI OTTAVIO A B C D E G

 

Alla morte di Ottavio avvenuta nel 1745 assistiamo ad un nuovo frazionamento della casa fra i suoi tre figli Vittore, Giacomo e Silvestro. Lucia madre dei tre fratelli aveva il diritto di usufrutto sulla casa. Sui locali della porzione E, Ottavio aveva assicurato la dote di 70 Ragnesi portata dalla nuora Margherita Bergamo moglie di Giacomo. Nel 1750 fu riconfermata la predetta assicurazione sulla casa che fu descritta in questo modo: "a basso, un cortile e stalla a revolto; in alto, una camera a soffitta con somasso sopra. Stradughe con coperto fino all’aria". La stima era stata redatta dal maestro Antonio Spaz, muraro di Taio che le aveva attribuito il valore di 112 Ragnesi. Come già detto ritengo che la casa assegnata a Margherita si possa riconoscere nella porzione E. Quindi la rimanente casa fu suddivisa fra gli stessi fratelli Giacomo, Vittore e Silvestro figli del fu Ottavio Inama.

 

LA PARTE DI VITTORE C G D

Vittore fu proprietario della parte di casa C posta all'angolo nord-ovest del colomello, ma non vi risiedeva perchè in qualità di colono abitava a Taio dove possedeva pure una casa. Dopo la sua morte avvenuta intorno al 1769, la casa a Dermulo fu ereditata dalle due figlie Cecilia e Lucia. Quest'ultima poi nel 1770 cederà la sua parte alla sorella. La casa era composta da: "una bottega a revolto tramezzato, la comunione del portico e della scala per andare in alto, e anche della saletta, la cucina vecchia intera, la stua d’appresso, un andito ossia saletta di sopra indivisa con Silvestro Inama, col coperto da mantenersi dal cognato Giovanni interamente, con la parte di somasso e di stradughe e coperto fino all’aria. Ancora un andito sopra il revolto di Giacomo fu Ottavio Inama col coperto fino all’aria". Quest'ultimo andito si trovava sopra la "ciamera dela nona Anzelica", e fino agli anni Ottanta del Novecento era denominato dalla mia famiglia "el vout delle ponte" G.[7] Quindi la porzione di casa che fu di Vittore Inama sarà abitata dalla figlia Cecilia e da suo marito Giovanni fu Giovanni Battista Inama. Alla morte dei coniugi Giovanni e Cecilia la casa pervenne a due delle tre figlie: Dorotea e Anna.[7b] Nel 1802 le sorelle decisero di venderla per l'importo di 300 Ragnesi a Giovanni Battista fu Giacomo Inama e a Baldassarre Inama. La casa in quell'occasione è così descritta: "due revolti al pian terreno, la metà del portico, scala che porta in alto, stufa, cucina, metà di due salette, porzione di somasso comune, andito sopra il vòlto di Giovanni Inama G uno dei compratori,[8] stradughe e coperto fino all’aria che confina con due parti la stradella consortale e Giuseppe Inama e dalle altre i compratori". Si dice anche che esisteva una servitù di passaggio per il portico a favore di Giovanni Francesco Inama, con i buoi e a piedi per andare e tornare da un suo avvolto, incorporato nella suddetta casa.[9] Baldassarre Inama quindi aveva riunito sotto un’unica proprietà le due porzioni B e C. Dopo la morte di Baldassarre (1822) la porzione C passerà in proprietà al figlio Valentino Inama e successivamente al nipote Pietro. Pietro Inama aveva lasciato dopo di sè solamente una figlia di nome Mansueta che nel 1892 si aggiudicherà l'eredità del padre. Nel 1899 Mansueta e il marito Placido Tait di Mezzolombardo vendevano la casa n. 2 ai fratelli Annibale e Celeste Inama figli di Eugenio. In casa era ancora presente Maria Melchiori madre di Mansueta che in quanto usufruttuaria vi rimase fino alla morte. In occasione di questa compravendita veniamo a sapere che era pure di pertinenza della casa una stalla posta nella casa n. 3. Si trattava di una delle due stalle, specificatamente quella verso l'Androna, che si trovavano nella porzione a nord-est A.(La stalla nel 1962 fu poi acquistata assieme a quella contigua appartenente alla porzione B, da Alessandro Inama). Anche in questo frangente abbiamo una descrizione dei locali della casa che erano i seguenti: "al piano terra portico in comune, due avvolti, una cantina e metà indivisa di altra cantina. Al primo piano: stufa, cucina e saletta in comune. Al secondo piano: una camera ora divisa in due, porzioni di somasso in comune. Spreuzali col soprastante coperto". La casa, poi essendo Annibale morto prematuramente nel 1908, rimase per poco tempo in comproprietà fra Alessandro, figlio di Annibale e lo zio Celeste, per poi passare interamente a nome di quest'ultimo. Celeste vi abitò con la numerosa famiglia plausibilmente dal 1901 fino al 1926, anno di costruzione della nuova casa n. 46. Intanto nel 1928 Alessandro usciva dalla comproprietà della casa e dopo la morte di Celeste nel 1935, pervenne ai suoi otto figli. Il secondogenito Augusto nel 1941 divenne proprietario della casa dove si stabilì con la moglie Carmela Sicher di Coredo.[10]

 

1745

 

 

LA PARTE DI SILVESTRO B G D

Silvestro Inama figlio di Ottavio aveva ereditato la parte di casa B posta a nord del caseggiato, confinante con l'Androna e incastonata fra le parti dei fratelli Vittore e Giacomo rispettivamente da ovest e da est. A sud invece si trovava la porzione di Silvestro Inama di Taio. Nel 1756 Silvestro fu Ottavio cedeva metà di una cantina incorporata nella sua casa a Giacomo Mendini di cui era debitore per la somma di 35 Ragnesi e un Tron. La cantina ritornò in mani di Silvestro solamente nel 1769 quando Romedio Maria, il figlio dell'ormai defunto Giacomo Mendini, la rimetteva all'antico proprietario per lo stesso prezzo di 13 anni prima. Nel 1775 alla morte di Silvestro fu Ottavio Inama la casa fu ereditata dal figlio Baldassarre. Nel 1788 Baldassarre assicurava su una stalla un prestito di 53 Ragnesi ricevuto da Leonardo Desiderà di Coredo, al quale faceva ulteriore sicurtà anche lo zio Giacomo Inama. Fra i confini di detta stalla era menzionata ad est la strada (la via consortale fra le case n. 3 e n. 5 adducente alla casa n. 4) per cui abbiamo la prova che i locali sottostanti l'abitazione della porzione A appartenevano di fatto alle porzioni B e C. Come già visto, nel 1802 Baldassarre Inama ampliava la sua proprietà con l'acquisto della parte di casa C dalle sorelle Anna e Dorotea Inama, la qual parte perverrà in eredità al figlio Valentino. La parte di casa vecchia B invece, dopo la morte di Baldassarre, (1822) sembra essere pervenuta al figlio Silvestro. Dei due figli dell'ultimo Silvestro rimase proprietario della porzione di casa solamente Baldassarre.[11] Baldassarre abitò a lungo nella vicina casa n. 25 essendo masadore della famiglia Widmann e così pure fecero i suoi figli con le rispettive famiglie. L’abitazione quindi intorno al 1860 fu concessa in affitto ad Antonio Battisti, il cui figlio Battista troviamo abitare nella casa almeno fino al 1880. Nel 1891 Baldassarre nel suo testamento nominò suoi eredi universali i suoi due figli maschi Agostino e Filippo lasciando la quota legittima alla figlia Eugenia. In merito alla casa dispose che se Eugenia fosse vissuta nubile, condizione che effettivamente si realizzerà, ne avrebbe avuto l'usufrutto. Specificò poi però che se uno dei suoi figli o entrambi abbandonassero il maso Widmann, avrebbero potuto abitare la casa anche assieme. In questo caso si sarebbero serviti della cucina comune e Eugenia avrebbe dovuto ospitare nella sua camera le figlie di Agostino. Nel 1900 i fratelli divisero tutta la sostanza paterna ad eccezione della casa. Nello stesso anno Agostino aveva già lasciato il maso Widmann per abitare nella casa n. 28. Filippo invece dal 1920 diviene unico proprietario della casa avita n. 2 B dove vivrà con la sua famiglia. E' molto probabile che, come disposto dal padre Baldassarre, nella casa avesse anche vissuto fino alla morte (1917) Eugenia Inama sorella di Filippo. Celestino e la sorella Pia figli di Filippo furono gli ultimi discendenti della linea di Silvestro fu Ottavio Inama ad abitare la casa, dopo di che mediante una compravendita del 1942 ma intavolata venti anni dopo fu acquisita da Augusto Inama figlio di Celeste, i cui discendenti la posseggono tuttora.

 

LA PARTE DI GIACOMO A E D G

Giacomo figlio di Ottavio si ritrovò proprietario della parte est della casa formata da due porzioni. Come abbiamo già detto una era stata assegnata alla moglie Margherita per assicurazione dotale E, l'altra, posta a nord di questa pervenne a Giacomo per eredità paterna A. Dopo la morte di Ottavio avvenuta intorno al 1745, Giacomo si trasferì con la famiglia a Brescia lasciando vuota la casa a Dermulo. Verso il 1770 fece ritorno per rimanere stabilmente a Dermulo seguito da suo figlio Giuseppe. Giacomo fu Ottavio morì intorno al 1788 e la casa fu divisa fra i due figli Giuseppe e Giovanni Battista.[12] In forza all'accordo divisionale steso nel 1792, a Giuseppe pervenne la parte sud e a Giovanni Battista la parte nord, detta casa Panizia. A Giuseppe fu assegnata "la camera sul somasso, l’andito appresso verso mezzodì, gli anditi sopra, la metà del somasso, la stalla e stabbio, mezza caneva scura verso sera, la metà del cortile". Giovanni Battista doveva rassegnare al fratello Giuseppe 70 Ragnesi a titolo di conguaglio e permettergli di "far fuoco nella cucina per un anno e lasciar cuocere il pane nel forno per tre anni". Da ciò si evince che la parte toccata a Giuseppe era di minor valore e in quel momento si ritrovava pure priva di un locale in cui cucinare. Come vedremo più sotto, il disagio di fatto non ci fu perchè il fratello Giovanni Battista abitando a Brescia gli aveva concesso in affitto la sua casa.
Da uno scritto del 1806 mediante il quale veniva stipulata una convenzione fra Giuseppe Inama
e il confinante Giovanni Maria Tamè, per la sistemazione del tetto,
traspare che la casa n.3 era dotata di una gronda spiovente verso quella di Giovanni Maria.

 

Porzione A D G

Giovanni Battista Inama figlio di Giacomo risiedeva nella città di Brescia per cui aveva concesso in affitto al fratello Giuseppe la casa e terreni in paese. La casa nel 1792 è così descritta: "la cosina, la stufa appresso, il revolto verso la strada, la metà somasso verso la cosina, la caneva, la metà della caneva scura e la metà del cortile, gli anditi di sopra fino al segno..". Nel 1798 Giovanni Battista ebbe modo di incrementare il suo patrimonio immobiliare assicurandosi diversi campi a Dermulo, in previsione forse di un suo ritorno in modo stabile. Nel 1806 tale condizione non si era ancora avverata e probabilmente non fu ritenuta più realizzabile se decise di alienare tutta la sua sostanza e vivere definitivamente a Brescia. Per quanto riguarda la casa, evidentemente il fratello Giuseppe non aveva a disposizione il denaro per l'acquisto, oppure avendo già acquisito nel 1796 la porzione F, aveva considerato di non averne bisogno. Quindi si presentò Mattia Mendini che fino ad allora risiedeva come affittuario nella casa n.1 e sborsando a Giovanni Battista la somma di ben 360 Ragnesi divenne proprietario della casa.[13] Essa era costituita da: "a basso porzione di corte, una stalla con porzione di cantina, in alto porzione della porta, porzione di somasso in comunione con Giuseppe Inama e con Baldassarre Inama, stufa, cucina, un rivolto a botte, ponticello, sua porzione di stradughe e coperto fino all’aria". Il ponticello, ossia poggiolo, è un elemento di cui non si è mai fatto cenno in questa parte di casa. La posizione del ponticello nell'elenco, ovvero a seguire il "rivolto a botte", ci autorizza a supporre che fosse lo stesso volto ad essere fornito di poggiolo e in tal caso sarebbe risultato sul lato ovest prospiciente alla via pubblica.
Mattia Mendini
moriva nel 1832 seguito due anni più tardi dalla moglie Teresa, per cui nel 1837 le figlie divisero la sostanza dei genitori.
[14] La casa pervenne a Teresa Mendini figlia del fu Mattia e moglie di Stefano Inama di Sanzeno. Nel 1840 Teresa Mendini vendeva a Giovanni fu Giacomo Inama per 80 Fiorini, un locale della sua casa a Dermulo, marcata col numero 3. Tale locale G, venduto con tutti il sovrapposti anditi e tetto era posto al secondo piano, guardava verso sera, era fabbricato a volto massiccio e confinava: a est la venditrice col somasso della rimanente casa, a sud Giacomo Inama, a ovest la strada pubblica e a nord gli eredi fu Valentino Inama. Per raggiungere gli anditi sopra il locale veniva permesso di innalzare una scala davanti all’uscio del locale, precisamente a sinistra tra l’uscio e segno di croce che divide il somasso. Nel 1849 la stessa Teresa Mendini vendeva per 225 Fiorini tutto il rimanente della casa a Lorenzo fu Valentino Inama. Della casa abbiamo la seguente descrizione: "al piano terra una stalla e un voltello di dentro della stalla e corte;[15] al secondo piano: stufa, cucina e il somasso in comunione; al terzo piano: stufa, cucina e spreuza e così fino all’aria". Rispetto alla precedente descrizione del 1806 dove non se ne faceva menzione, qui compare una stufa e una cucina al terzo piano. In realtà il secondo piano andava inteso come primo, e il terzo come secondo; rimane comunque questa informazione ambigua che descrive una stufa e una cucina al piano sopra il somasso, il che non risulta! La trasformazione in locali abitabili degli anditi sopra il somasso risale solamente agli anni Sessanta del Novecento. Una spiegazione potrebbe essere che i due locali del terzo (secondo) piano si trovassero nella porzione B e fossero pervenuti in mano Mendini tramite una compravendita non documentata. Nel 1880 nelle divisioni fra i figli del fu Valentino Inama la casa pervenne ad Urbano Inama. Circa due anni dopo Urbano moriva lasciando erede l'unico figlio Albino. Nel 1901 Erminia vedova di Urbano, diventava proprietaria della casa in quanto erede del figlio Albino, morto appena ventenne nel 1900. Nel 1903 Erminia vendeva la porzione di casa ad Ottilia moglie di Modesto Inama. Nel 1914 la casa sarà ereditata da Vittorio figlio di Modesto. Infine nel 1959 Alessandro Inama comprerà la casa dagli eredi di Modesto Inama. La sua ristrutturazione comporterà un innalzamento di un piano, il conglobamento nella restante parte di casa n. 3 e una diversa conformazione del tetto, non più spiovente verso l'Androna, ma verso la stradina che porta alla casa n. 4.

 

1780

 

 

 

Porzione E D

La parte E dopo la morte di Giuseppe Inama nel 1810, pervenne al figlio Giacomo, assieme alla casa F acquisita nel 1796 da Giovanni Mendini. Nel 1825 Giacomo Inama passò a miglior vita lasciando eredi i suoi due figli Giovanni e Giacomo e usufruttuaria di una stufa e di una cucina, la moglie Brigida Inama. Suppongo che Giacomo e come lui il padre Giuseppe, pur avendo quest'ultimo acquistato nel 1796 la porzione di casa F, avesse continuato a vivere nella vecchia parte avita E, dove si trovavano i sopra accennati locali dati in usufrutto a Brigida. Nel 1834 Giovanni e Giacomo divisero a sorte la casa. La porzione E, toccò a Giovanni e fu descritta nel seguente modo: "a pianterreno il cortile posto a mattina di questa ed ad essa contiguo, due volti a volta massiccia e porzione di portico fino alla metà dell’arco in esso esistente. Nel secondo piano una camera e una cucina con la metà del somasso di loro assoluta proprietà e porzione di questo che hanno in comunione con gli eredi del fu Matteo Mendini, in alto le stradughe poste a mattina fino alla croci fatte sui legni e muri. Confinata 1 strada consortile, 2 Giuseppe Tamè, 3 l’altra parte 4 Silvestro Inama, eredi di Valentino Inama e eredi di Matteo Mendini. Avrà il diritto di costruirsi sul somasso due usci per entrare nella propria abitazione".[16] Fu stabilito che Giovanni dovesse ricevere dal fratello Giacomo 150 Fiorini a titolo di indennizzo, per esser questa porzione di minor valore dell’altra. Giovanni morì a causa del colera nel 1855 e la casa fu ereditata dall'unico figlio maschio di nome Eugenio all'epoca appena tredicenne.[17] Avendo perso per la medesima causa anche la madre, Eugenio visse presso la sorella Brigida nella sottostante casa n. 27, lasciando la sua casa disabitata. Presumo che dopo il suo matrimonio con Giuseppina Pilati avvenuto nel 1863, Eugenio sia ritornato nella casa paterna. Nel 1898 Annibale figlio di Eugenio aveva preso in moglie Angelica Menapace, che però lasciò in stato vedovile già nel 1908. Eugenio quindi già vedovo nel 1905, visse fino alla sua morte avvenuta nel 1921 in questa casa, assieme alla nuora Angelica e ai nipoti Alessandro e Teresa. La casa però fino al 1939 appartenne a tutti gli eredi di Eugenio, vale a dire i figli di Celeste e di Annibale, dopo di che fu redatto un documento divisionale intavolato a favore di Alessandro Inama nel 1941. Dal 1966 dopo la morte di Alessandro la casa pervenne al figlio Candido. Attualmente è proprietà di Gianni Inama.

 

1830

 

 

 

 

LA PARTE DI CASA APPARTENUTA A GIACOMO FU SILVESTRO INAMA F D IL MASO

 

Giacomo Inama rimase proprietario della porzione di casa fino al 1699, anno in cui morì. Già nel 1696 comunque vi abitava il figlio Silvestro con la moglie Margherita Panizza, alla quale la casa risulta appartenere almeno dal 1742, quando appare confinante in un documento riguardante l'attigua casa n. 4. Sicuramente la casa le era stata assegnata come assicurazione di dote. Silvestro almeno per un periodo visse con la famiglia a Dermulo dove infatti dal censimento del 1710 risulta occupare la casa. Nel 1745 Silvestro moriva e ne divenne erede il figlio Giacomo Antonio. Quest'ultimo nel 1747 vendeva la casa a Giacomo Inama fu Michele già suo affittuario. La casa era costituita "da stalla e portico fino alla croce, con la servitù al tempo della vendemmia del torchiare in favore dei figli del fu Ottavio Inama, al di sopra andito, una stufa, una stanza contigua alla detta stufa, la metà del somasso e stradughe col coperto fino all’aria confinante la casa d’esso fu Ottavio, via imperiale, eredi di Enrico Endrizzi". Il prezzo fu stabilito in 100 Ragnesi. Nel 1750 questa parte di casa veniva integrata con l'acquisto fatto per l'importo di 23 Ragnesi a Giacomo fu Ottavio Inama di "una porzione di portico verso settentrione a cui confinano esso compratore con cortile e residuo del portico, esso venditore con la caneva e col stabbio ossia porzione di portico, fatta salva però la servitù e strada per andare alla caneva. Come pure un andito a travatura sopra detto portico della stessa misura del portico col suo muro maestro fino ai tre legni secondo segni fatti, a cui confina l’aria, il compratore con la stufa vecchia e con muro, e il venditore con un poco di andito. Con compito di fare le parti a comune spesa la tramezza". In questa occasione ci fu poi un accomodamento fra i due Giacomo Inama in relazione ai confini relativi alla vendita della metà somasso e stradughe, fatta da Giacomo Antonio Inama di Taio a Giacomo fu Michele Inama nel 1747. Nel 1771 Giacomo fu Michele Inama trasferiva agli eredi di suo cugino Giovanni Battista Inama, cioè i fratelli Antonio e Giovanni e a Giovanni Battista fu Giovanni Battista Inama nipote dei due fratelli, la suddetta casa. L'importo fu stabilito in 186 Ragnesi, dei quali pero Giacomo ne ricevette circa un terzo. Questo perchè i compratori pagarono per Giacomo un capitale assicurato su tale casa in favore di Giacomo Antonio Inama di Taio e un altro capitale a Giovanni Giacomo Inama "Rodaro". La casa comprendeva, oltre la porzione acquisita da Giacomo Antonio Inama di Taio, ("consistente a basso di una stalla, un portico e cortile con la sua centa di muro e porta. In alto stufa e cucina e metà del somasso, stradughe col coperto fino all’aria, l’uso del ponte") anche la porzione acquisita da Giacomo Inama fu Ottavio ("..cioè una salettina ossia andito fra la stufa e la cucina, pezzetto di portico") Alla casa confinavano a mattina gli eredi di Vittore Tamè e Giacomo fu Ottavio Inama, a mezzodì gli eredi di Vittore Tamè, a sera la strada imperiale e settentrione i fratelli Silvestro e Giacomo fu Ottavio Inama.

 

1880

 

 

 

I suddetti eredi del fu Giovanni Battista Inama gliela riconcedono poi in affitto perpetuale per 19 anni dietro versamento di un canone annuo di 21 Troni e mezzo. Intorno al 1776 Giacomo fu Michele Inama passava a miglior vita lasciando eredi le sue due figlie Caterina e Domenica. E' di quell'anno infatti un compromesso di vendita della casa stipulato fra i mariti delle due figlie e Giacomo fu Ottavio Inama per la somma di 222 Ragnesi. La compravendita però non andò a buon fine perchè Giacomo fu Michele, molto probabilmente come previsto dal contratto d'affitto, non aveva ancora riscattato la casa. Per questo motivo in un documento del 1779 si trova la rettifica della vendita effettuata dagli eredi di Giacomo fu Michele Inama ad Antonio Inama e a suo genero Giovanni Mendini, avvenuta due anni prima. In questo contesto i muratori delegati alla stima elencarono i locali e valutarono la casa 227 Ragnesi, ma per i motivi sopra elencati Antonio Inama non sborsò un Ragnese. La descrizione sommaria della casa fu la seguente: "cortile in basso e porta, il portico, muri terreno e muri soffitta, altra stanza ossia stalla, in alto il ponticello strada il corridore che serve per arrivare alla stufa, la stufa, muri per fondo fornello, la cucina, soffitta finestra fogolare camino, il sommasso maggiore, il coperto e muri sotto lo stesso". Nel 1796 Giovanni Mendini genero del fu Antonio Inama, vendeva la casa a Giuseppe fu Giacomo Inama per la somma di 215 Ragnesi. Anche in questa occasione abbiamo la descrizione della casa che consisteva: "al pian terreno cortile al discoperto con muri attorno, portico al coperto, una stalla. In alto una saletta stuffa e cosina, la metà del somasso vecchio fino al segno al legno e croce fatta e così per dirittura, le straduge e coperto fino all’aria". Apprendiamo inoltre che la casa era abitata in affitto da Domenica vedova di Bartolomeo Mendini, fratello del venditore. Nel Catasto teresiano del 1780 questa porzione a nome di Giovanni Mendini era accreditata di una superficie di 42 Pertiche. Giuseppe Inama morì nel 1810 e la porzione F pervenne assieme alle altre parti D E al figlio Giacomo. Nel 1834 dopo la morte di Giacomo la porzione F fu assegnata a sorte al figlio più giovane di nome ancora Giacomo. Della casa abbiamo la seguente descrizione: "a pianterreno il cortile posto a mezzodì della sudetta casa, caneva, volto dal grano e parte di portico fino alla metà dell’arco in esso esistente, al primo piano stufa, cucina e andito con la metà del somasso loro proprio, porzione di questo che hanno in comunione con gli eredi del fu Matteo Mendini per i quali avrà il passo per entrare nel proprio abitato in alto le stradughe poste a sera fino alla croci fatte sui legni e muri. Per introdursi alle quali dovrà costruire una nuova scala sul somasso per la quale non avrà l’altra parte il diritto di passo avendo la vecchia. Avrà il dovere chi acquista questa porzione di levare la scala che mette al pian terreno chiudere l’uscio con muro e costruire una nuova sul suo possesso. Il muro divisorio fra le due porzioni di casa sarà fatto a spese comuni. Si specifica che questa porzione non potrà poggiare cosa mobile davanti alla finestra della prima porzione che guarda nella corte dell’altra porzione, per non levare il lume". Dalla predetta descrizione apprendiamo quindi che in quell'epoca erano avvenute le maggiori trasformazioni di questa parte di casa che in precedenza si presentava come entità unica. Quindi la scala appoggiata parallelamente alla parete ovest del somasso che adduceva alla soffitta della porzione F fu costruita dopo tali divisioni, così come il muro costruito perpendicolare alla parete sud della casa.

 

1921

 

 

 

Una clausola divisoria prevedeva che il beneficiato della porzione F dovesse sborsare all'altra parte 150 Fiorini, essendo quella porzione di casa di maggior valore. Giacomo già nel 1853 gestiva in questa casa una bettola, presumibilmente in uno dei locali con l'entrata dal somasso. Giacomo morì nel 1889 lasciando la casa in eredità al figlio Arcangelo che vi abiterà assieme alla moglie Addolorata Endrizzi. Dal matrimonio non nacquero figli per cui i due coniugi adottarono Elisabetta figlia primogenita di Amadio Inama, nipote di Arcangelo. Nel 1894 Arcangelo, ricevendo una sovvenzione da parte del comune di Dermulo, accolse in casa Giovanni fu Mattia Endrizzi e nel 1914 Giovanni Pircher, entrambi in difficoltà perchè soli, anziani e indigenti. Ad Elisabetta detta Liseta, rimase in eredità la casa dopo la morte dei due genitori adottivi, avvenuta negli anni Quaranta del Novecento. Oggi la casa dopo essere stata acquistata da Candido Inama, appartiene ad Alessandro Inama.
Dalle varie descrizioni sette-ottocentesche si evince che gli appartamenti si limitavano ad un piano in quanto sovrapposti ai loro locali c'erano sempre la soffitta e il tetto. Dal somasso principale quindi ci dovrebbe essere stato un certo dislivello per scendere al primo piano. Solo molto più recentemente, dopo la metà Ottocento, fa la sua comparsa in aggiunta a quello che prima era solo un piano, il così detto "mezzopiano" che incrementò i locali ad uso abitazione.

 

 

PERSONE EFFETTIVAMENTE PRESENTI NELLA CASA*
Anno 1550 Anno 1620

Anno 1670

Anno 1710

Anno 1780

Anno 1830

Anno 1880

Anno 1921

Simone Pret

disabitata

disabitata

Ottavio Inama

futura casa 2

casa 2

casa 2

casa 2

N.N. (m)

   

Lucia Fedrizzi (m)

Baldassarre Inama

Silvestro Inama

Pietro Inama

Celeste Inama

Matteo Pret (f)

   

Gio. Giacomo Inama (f)

Maria Dallavo (m)

Orsola Menapace (m)

Maria Melchiori (m)

Fortunata Inama (m)

Giacomo Pret (f)

   

Vittore Inama (f)

Valentino Inama (f)

Baldassarre Inama (f)

Mansueta Inama (f)

Matteo Inama (f)

Pietro Pret (f)

   

Silvestro Inama (f)

 

Giacomo Inama (f)

 

Clemente Inama (f)

 

     

Giovanni Inama

 

Battista Battisti

Maria Inama (f)

   

 

 

Cecilia Inama (m)

Valentino Inama

 

Lorenzina Inama (f)

   

 

 

Anna Inama (f)

Maria Bertolini (m)

casa 3

Brunone Inama (f)

   

 

 

Brigida Inama (f)

Pietro Inama (f)

Urbano Inama

 Augusto Inama (f) (a)

   

 

 

Dorotea Inama (f)

Caterina Inama (f)

Erminia Calliari (m)

 Marino Inama (f) (a)

   

 

 

 

Lorenzo Inama (f)

Albino Inama (f)

 Eugenio Inama (f) (a)

   

 

 

futura casa 3

Maria Inama (f)

 

 
   

 

 

Giuseppe Inama

 

Eugenio Inama

 

   

 

 

Caterina Gallo (m)

 

Giuseppina Pilati (m)

Filippo Inama

   

 

 

Giacomo Inama (f)

casa 3

Maria Inama (f)

Anna Chistè (m)

   

 

 

Giacomo Inama (p)

Giovanni Inama

Rachele Inama (f)

Celestino Inama (f)

 

 

 

   

Caterina Mendini (m)

Annibale Inama (f)

 

 

 

 

 

 Bartolomeo Mendini

Brigida Inama (f)

Filomena Inama (f)

casa 3

 

 

 

 

Domenica Bacca (m)

Luigia Inama (f)

Celeste Inama (f)

 Ottilia Bonadiman (v)

 

 

 

 

 Maria Mendini (f)

Brigida Inama (M)

 

Vittorio Inama (f)

 

 

 

 

 

Giacomo Inama (fr)

Giacomo Inama

Giuseppina Inama (f)

 

 

 

 

 

 

Anna Chini (m)

Virginia Inama (f)

 

 

 

 

 

Matteo Mendini

Serafina Inama (f)

 

 

 

 

 

 

Teresa Paoli (m)

Desiderato Inama (f)

 Eugenio Inama

 

 

 

 

 

 Margherita Mendini (f)

Arcangelo Inama (f)

Angelica Menapace (N)

 

 

 

 

 

 

Costanza Inama (f)

Teresina Inama (n)

 

 

 

 

 

 

Rachele Inama (f) 

 Alessandro Inama (n)

 

 

 

 

 

 

 

  

 

 

 

Arcangelo Inama

 

 

 

 

 

 

 

 Addolorata Endrizzi (m)

 

 

 

 

 

 

 

Elisabetta Inama (n) 

 

 

 

 

 

 

 

 

* Per gli anni 1550, 1620 e 1670 le persone non sono quelle effettivamente presenti ma solo quelle di cui si è avuta contezza. Il nominativo sottolineato corrisponde al capofamiglia. Le seguenti abbreviazioni indicano i rapporti di parentela con il nome sottolineato: m sta per moglie, f. per figlio/a, fr per fratello, S per sorella, v per vedovo/a, p per padre, M per madre, s per suocero/a, n per nipote, z per zio, N per nuora e c per cognato/a. Per il 1780, i nomi dei proprietari provengono dal Catasto teresiano  presso l’A.S.T. Per il 1921 si è preso in considerazione il censimento di tale anno presso l’A.C.D.  Inoltre, e solo per questo anno, sono state evidenziate le persone assenti con la lettera a. Per gli anni rimanenti i nomi dei capifamiglia e/o il numero degli occupanti la casa, sono stati desunti da vari documenti consultati presso A.C.D., A.P.T. e A.D.T.

 


[1] In un primo momento avevo prospettato che la  famiglia Pret avesse avuto delle proprietà nella futura casa n. 5-6, avendo la disponibilità della porzione (A) da dove si dipartiva il presunto arco. Ora dopo altre congetture ritengo invece che questa possibilità fosse stata più remota.

[2] Nel libro 55/3 del Catasto teresiano che però successivamente non sono più stato in grado di rintracciare, avevo letto "casa porfiria". L'aggettivo mi era parso un po' strano ma solo più tardi mi resi conto che molto probabilmente bisognava leggere "casa panizia". Molto probabilmente questa si rifaceva all'antico possesso Panizza riscontrato in un documento del 1687.

[3] Negli anni Quaranta/Cinquanta del Novecento, le persone che abitavano nelle case di sotto, (come si diceva in Bassa Italia), erano solite servirsi di questo passaggio, nonostante fosse privato, per accorciare il tragitto e portarsi nella parte alta del paese. Non solo, una volta salite le scale, sbucando nel somasso e scendendo il pont, imboccavano un'altra grande apertura pure privata che esisteva nella casa n. 5 per raggiungere lo stradone. Un altro passaggio probabilmente utilizzato fu quello che dal cortile (cort dela Liseta) portava alla strada consortale fra le case 2-3  e 5-6 attraversando il portico delle porzioni E e F.

[4] L’Inama-Sternegg, nel suo libro più volte citato afferma che nel 1503 circa, Marino Inama ereditava dal padre Gaspare la doppia casa più tardi n. 2-3. Ciò poteva essere vero in quanto nel 1554 gli eredi di Gaspare fu Marino Inama, abitavano effettivamente nella parte sud del caseggiato. Non si può escludere però che con doppia casa si intendesse invece la n.1 e la n.5.
[4b] Inizialmente non avevo capito che le acquisizioni di Silvestro Inama si riferivano alla casa più tardi n. 2-3. Infatti la presenza di diverse persone con il cognome Massenza e della Via Imperiale fra i confinanti, mi avevano convinto che si trattasse della casa al Castelet. Un altro indizio sulla presunta paternità di Giacomo Massenza, ascrivibile alla linea dei Fabiani, mi aveva dato ulteriore certezza. Poi però, scoprendo altre notizie sugli avi di Giacomo e confrontando l'altra vendita, un po' enigmatica del 1687, tutto è apparso più chiaro, consentendomi di affermare con sicurezza che la casa di Giacomo Massenza era da collocare all'interno della futura casa 2-3.

[5] La casa 26 invece toccherà al figlio più anziano Giovanni Giacomo Inama e la 27 era invece proprietà del cugino Giacomo.

[6] Nel 1688, 1689 e 1699 Giuseppe Inama apostrofato “Mag.cus e Sp.le” fu regolano della Comunità di Lavis. (V. Albino Casetti “Storia di Lavis Giurisdizione di Königsberg-Montereale” pag. 422)

[7] Della cessione faceva parte anche un orto sotto la strada imperiale soggetto alla Primissaria segnato dai seguenti confini: 1 la strada stessa, 2 3 comune,  (era l'orto proprietà del comune) 4 Giacomo fu Ottavio Inama. (La p.f. 162, aveva assorbito anche l'orto comunale giacente a sud).

[7b] L'altra figlia di nome Brigida poi moglie di Giacomo figlio di Giuseppe Inama, ricevette un terreno alle Marzole e  l'orto alla Crosara, confinante da tre parti con le strade comunali e da nord con il marito Giacomo.

[8] Giovanni Battista Inama infatti aveva la proprietà del vout, cioè la futura "ciamera della nona Anzelica" e quindi questo andito sopra, sarà sicuramente acquistato da lui.

[9] Il suddetto locale descritto come cantina era poi divenuto proprietà di Pietro Inama figlio di Giovanni Francesco. Da Pietro poi pervenne in eredità al fratello Giovanni e infine nel 1851 fu ereditato dal figlio Luigi. Dopo tale data fu plausibilmente acquistato dai proprietari della casa dove era incorporato.

[10] Augusto circa nel 1940 aveva acquisito anche la porzione B dagli eredi di Filippo Inama.

[11] L'altro figlio di Silvestro il cui nome era Giacomo dopo il matrimonio si era sistemato assieme alla moglie Barbara Mendini nella casa n. 22.

[12] A Giacomo altro fratello abitante a Brescia erano stati assegnati altri beni e un’indennità di 170 Ragnesi.

[13] Nel 1802 però Giovanni Battista aveva aggiunto alla sua proprietà alcuni anditi comperati da Dorotea figlia di Giovanni Inama, fra i quali sicuramente il locale sopra la camera della nona Anzelica. Non è dato a sapere se Giovanni Battista avesse acquistato altre porzioni ma lo ritengo poco probabile. La casa di Dorotea infatti fu acquistata assieme a Baldassarre Inama, e poi probabilmente ci fu un accordo fra i due per la suddivisione.

[14] Mattia possedeva anche una cantina nella casa n. 5-6 di fronte alla sua abitazione.

[15] La stalla e voltello erano due locali posti sulla destra dell'odierno magazzino sotto il pont di Candido Inama. Le due stalle invece sotto l'odierno magazzino sul somasso, (una volta stufa e cucina), appartenevano della casa n. 2.

[16] Ciò vuol dire che prima l'abitazione non aveva accesso dal somasso, ma forse da una scala interna che saliva da basso, o forse più probabilmente dal poggiolo esistente a sinistra del pont.

[17] Della casa, nel 1840 era venuta a far parte anche la porzione G costituita dai due soliti locali sovrapposti.

 

 

 

 

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