LA CASA N° 9-10-11-12 - casa al Castelét o ai Massenzi

(Oggi Via Eccher n. 2 e 4  e via S. Giustina n. 31 e 35) P.E. 24, 25, 26, 27

 

 

        

 

LE PRIME NOTIZIE

Alla righe 31 e 32 della pergamena elencante i beni di spettanza vescovile insistenti sul territorio di Dermulo nel 1275, si legge: “Item unam peciam terre cassalinam cum domo super se habente et cui cohaeret ab una parte Dominus et ab alia parte via et quam teram casalinam et domum possident Sonus et Bosolus…” Questa casa facente parte del “mansso Casali”, uno dei quattro masi in cui erano suddivisi tali beni, risulta essere l’unica costruzione presente nell’elenco e sicuramente la si può riconoscere in quella che nei secoli successivi fu denominata al Castel, al Castelet o ai Massenzi. Dopo i due affittuari Bosolo e Sono, la casa e i suoi beni di pertinenza, alla metà del Trecento furono dati in locazione a Bonamico figlio di Benedetto di Campo. Suo nipote, tale Feltrino fu Nicolò, era ancora affittuario nel 1387.[1] Almeno dal 1425 invece, appare locatario Odorico detto Duca di Coredo. I Duca rimasero a Dermulo per tre generazioni finché l'ultimo loro rappresentante, tale Bartolomeo, ritornò a Coredo, paese natale dei sui avi. Dai Duca il maso prese nome Dusat o al plurale Dusati e in tale modo lo troviamo contraddistinto nei primissimi anni del '500 quando un'altra famiglia di Coredo, i Frisoni, lo deteneva in affitto. Il canone di locazione relativo alla casa e ai due terreni di Ronc e Campolongo ammontava a 3 stari trentini di frumento, 2 stari di siligine (segale) e 3 stari di spelta (avena o annona) da consegnare ogni anno al massaro vescovile. Agli affittuari era pure riconosciuto lo status di vicino e, quindi, il godimento dei beni comuni alla stregua degli altri dermulani. I vari toponimi quali al Castel (1567), al Castelet, come veniva contraddistinta la casa, sembrano poter richiamare un'antica origine castellana che però non mi sentirei di avallare. Poteva forse trattarsi di una torre o di una casa fortificata che complice la sua posizione prominente poteva sembrare un castello; oppure il sito era un castelliere preistorico dove poi fu costruita la casa, che ne aveva conservato il ricordo nel nome. È interessante notare che sarebbero state soddisfatte almeno due delle caratteristiche tipiche di un castelliere, ovvero la posizione prominente e la disponibilità di acqua, assicurata dal vicino rio Pissaracel. Spingendoci ancor più avanti con le congetture, forse qui era sorta la prima casa dell’abitato dalla quale poi lo stesso ha preso il nome Ar-mul, cioè in celtico “vicino alla propaggine collinare”, che anche visivamente calza in modo perfetto. In alcune circostanze la casa è individuata come Castel Nero o Castel Negro, il quale ci richiama il famoso Palazzo Nero di Coredo così denominato per il colore scuro dei suoi muri a causa di un incendio. Nel nostro caso, la prima attestazione del nome Castel Negro risale al 1823, quindi molto prima che il grande incendio del 1853 devastasse il caseggiato. È anche vero però che non si può escludere che un altro incendio avesse interessato la casa in tempi più lontani; ma forse Negro o Niger, era invece il nome della persona che nella casa aveva abitato. Un tale Negro detto Segalla è documentato a Dermulo nel 1275 e nel 1294, ed era figlio di Martino già defunto nel 1294. Si potrebbe qui ipotizzare che si trattasse di Martino figlio di Bozolo, per cui considerando l’identità fra Bozolo e Bosolo abitatore delle casa nel 1275, possiamo concludere che Negro avrebbe effettivamente potuto abitare nella stessa casa. Negro quindi avendo in locazione anche i beni del maso, si potrebbe collocare cronologicamente fra Bosolo e Benedetto di Campo, intorno all’anno 1300. A tal proposito, un altro elemento che potrebbe provare l'affermazione sopra esposta è la presenza in un documento del 1357 di Vender figlio del fu Negro fra i confinanti di un terreno a Ronc. La località a Ronc è stata sempre prerogativa della Mensa vescovile ed assegnata al maso del Casale fin dal 1275. Forse però, il toponimo Castel è solamente la storpiatura di quanto si poteva leggere nei vecchi documenti di investitura perpetuale nei quali appare sempre la formula “casa con casaletto”, dove casaletto era un diminutivo di casale. Per cui dall’iniziale “casa al casalet” si era forse arrivati a “casa al castelet” e la posizione in cui sorgeva la casa ha poi sicuramente contribuito al consolidamento del nome, a volte semplificato in Castel o Castiel.
La casa sorgeva in posizione prominente e solitaria, proprio come un castello e fra le molte sue denominazioni si incontra anche “la casa in capo la villa”. Oggi si fatica a percepire questa situazione di isolamento, ma essa si delinea chiaramente, osservando la vecchia mappa catastale del 1856. Nei quarant’anni a cavallo fra l’Ottocento e il Novecento la zona è stata oggetto di un significativo sviluppo, con l’erezione di nuove costruzioni, l’apertura di nuove strade e la posa di binari che hanno completamente stravolto il paesaggio originario. La casa agli albori del Trecento non raggiungeva sicuramente le dimensioni odierne che invece sono frutto di progressive aggregazioni susseguitesi col passare degli anni. Nella seconda metà dell’Ottocento, come le altre case del paese, è stata interessata ad un’espansione in altezza e anche a non trascurabili lavori di ristrutturazione documentati da vecchi disegni e da molte testimonianze fotografiche. Queste ultime sono legate allo sviluppo di quella zona che agli inizi del Novecento era divenuta la più importante di Dermulo e di conseguenza la più immortalata dai fotografi. Nel 1909, quando la parte Endrizzi fu acquistata da Candido Inama, la casa aveva solo un piano e l’entrata era prevista anche dal somasso posto a nord, così come erano a nord gli accessi alle altre unità abitative. Nella parte sud, sopra il terrazzo, si possono vedere ancora oggi i fori lasciati dagli alloggiamenti delle travi che ci permettono di valutare la quota del vecchio tetto. Fino al 1909, in luogo del terrazzo, spioveva un tetto che nella parte iniziale era sormontato da un piccolo balcone. In una vecchia foto, ritraente il lato ovest della casa Odorizzi, si possono pure intravedere dei fori lasciati vuoti dalle travi; se ne deduce che il tetto era originariamente ad un’altezza inferiore. Inoltre su una gran parte della parete manca l’intonaco, indice di una costruzione recente. Da raffronti sulla descrizione di questa parte di casa, come si vedrà più avanti, è stato possibile datare questi lavori fra il 1892 e il 1899. Il processo di innalzamento ha riguardato anche altre parti del caseggiato, infatti comparando altre due foto, si può notare che in quella più datata, osservando da ovest, la parte obliqua sotto il profilo del tetto della casa ex Endrizzi, ha uno spessore maggiore rispetto alla foto più recente. Si notano inoltre gli alloggiamenti da dove spuntavano le travature della vecchia copertura, prima dell’innalzamento della casa realizzato nel 1909. Tali fori, nella foto più recente, non sono più visibili e lo spessore della parte obliqua si presenta assottigliato. Questo prova l’elevazione della parte di casa a sud-ovest dell’abitazione ex Endrizzi. Un altro innalzamento importante ha riguardato, infine, la parte a ovest e quella a nord-ovest a ridosso della casa di Pompeo Odorizzi.

      la linea gialla evidenzia la pianta della casa odierna



     la linea rossa evidenzia la pianta della casa più antica.
   
 

Nella parte est della ex casa n.11 adiacente alla strada, esisteva fino agli anni Venti del Novecento un piccolo cortile visibile anche in alcune delle foto più vecchie. Nel cortile si elevava una scala di pietra che innalzandosi in direzione est-ovest permetteva di raggiungere un balcone al primo piano e quindi di accedere all’appartamento. Dal cortile, dove era dislocata una concimaia, era poi possibile raggiungere la stalla posta al piano di sotto. Adolfo Odorizzi di Rallo, che aveva aperto un negozio di generi alimentari nel somasso posto a est, vedendo aumentare il suo lavoro, decise di trasformare l’adiacente cortile al pian terreno in una più ampia struttura dove esporre e vendere alimentari. Per fare questo furono eretti due muri perimetrali e sul soffitto piano trovò posto un terrazzo. Qualche anno più tardi sopra il terrazzo furono costruiti altri locali di abitazione, fino alla totale scomparsa degli spazi originari.
Da un documento del 1892 apprendiamo un’altra notizia interessante, e cioè dell’esistenza di un ponte (el pònt) che saliva al somasso e di una stradella che collegava la strada erariale con il detto ponte. Dalla presenza di un ponte evinciamo che il livello del terreno a nord della casa, era più basso di quello riscontrabile oggigiorno. Infatti, esso declinava dal bordo della strada erariale in direzione est-ovest. La stradella adducente al ponte sicuramente non corrispondeva a quella, che presentemente a sud della casa porta al piazzale di Renzo Chistè, per il motivo che la detta strada non si dipartiva una volta, e non si diparte al presente, dallo stradone erariale ma bensì dalla strada comunale. Altra prova che si stava parlando di un altro percorso è che l’acquirente della parte di casa n. 10, che si trova a nord del colomello, non avrebbe avuto nessun interesse a levare il passo su una strada che lui non utilizzava. Concludendo, si potrebbe ipotizzare, quindi, prima dei vari stravolgimenti, l’esistenza di una stradina che forse, partendo più a nord, nei pressi della ex casa Manzoni o odierno Victory, e costeggiando l’orlo della scarpata, si portasse al suddetto ponte e somasso. Questa stradina non era adiacente alla casa perché comunque, avendo Giacomo Endrizzi il diritto di passo sul somasso, in qualche modo doveva pur raggiungerlo, e non c’era altro modo se non costeggiando il lato a nord della casa.

 

 

I LOCALI DELLA CASA

La casa, che in antico era strutturata per accogliere una sola famiglia, nel prosieguo degli anni fu poco per volta ampliata tanto ché, almeno dal Settecento, vi avrebbero potuto vivere quattro nuclei familiari. Questa caratteristica si presentò anche successivamente per cui nell'Ottocento al colomello furono assegnati, in senso antiorario, partendo dall'entità posta a sud-est, vale a dire quella che originariamente fu degli Endrizzi, i quattro numeri 9,10,11 e 12. Naturalmente le quattro unità abitative avevano diversa ampiezza ed erano suscettibili di variazioni negli anni; le più consistenti sembrano essere state la n. 9 e la 10, mentre le altre due erano più esigue. In merito alla configurazione interna, grazie alle diverse compravendite o iscrizioni ipotecarie cui fu soggetta la casa, abbiamo parecchie descrizioni, in particolare per le porzioni a est, cioè quelle numerate con il 9 e il 10. Una prima descrizione risale al 1671, quando ci è dato sapere che la porzione denominata casa di Giacomo Massenza, era composta da un cortile, una stalla e uno stabbio nella parte inferiore e da una stufa, somasso maggiore, stradugario e tetto nella parte superiore. L'aggettivo "maggiore" relativo al somasso ci fa capire che ne esisteva un altro di più ridotte dimensioni. Infatti la presenza dei due sommassi era ancora riscontrabile in tempi relativamente recenti. Specificamente nel somasso minore prese posto il primo negozio di alimentari di Adolfo Odorizzi. La casa di Giacomo Massenza quindi potrebbe essere collocata nella parte sud del caseggiato. Grazie ad alcune descrizioni settecentesche siamo in grado di ricostruire con una discreta sicurezza la configurazione del caseggiato la quale può essere tenuta valida anche per il secolo precedente. Per essere completa, in verità, manca di una porzione che era appartenuta a Domenico Massenza di cui non abbiamo una descrizione dell’epoca di cui si parla. La composizione di questa porzione, quindi, è frutto di congetture che però, visto il numero estremamente ridotto di spazi abitabili, sono molto realistiche. Ecco quindi come si presentava la casa nella sua interezza:
piano terra: otto locali (cinque revolti, una stalla, una cucina, e una camerina), due cortili. (Possiamo aggiungere altri due locali per la porzione di
Domenico Massenza).
primo piano: otto locali (tre cucine, tre stue, un andito e una camera). (Possiamo aggiungere almeno un’altra cucina e una stua per la porzione di
Domenico Massenza).
Somasso
piano superiore
: tre stanze, stradughe e sopra queste il tetto.
Nel 1787 è data anche la seguente descrizione: a basso una pezzetta di cortile separato e segnato con termini, un rivolto terreno e cucina a soffitta; in alto una camera pure a soffitta esistente sul somasso comune, col coperto sopra fino all’aria, avente questo bisogno di essere riparato; questa porzione di casa, pur soggetta al gafforio della mensa vescovile, non doveva corrispondere alcuna tassa. Nel 1818 un'altra parte di casa era composta da “una stufa, cucina e solaro aderente a essa, e coperto sopra a questi fino all’aria e un avvolto al pian terreno”. La parte di
Giovanni Massenza numerata con il 12, nel 1867, era formata solamente da due piccole stanze sovrastanti il somasso, al di sopra delle quali spioveva il tetto. La parte numero 9, nel 1878, era costituita al pian terreno da un avvolto e una stalla, al primo piano una camera e una cucina e al secondo piano la soffitta, sovrapposta ai detti locali. Per raggiungere la camera e la cucina si aveva il diritto di passo sul somasso. La casa n. 11, così come descritta nel 1848, era composta al pian terreno da un cortile, un vòlto ad uso stalla, un altro vòlto a uso cantina, il portico ad uso di andito, al primo piano: stufa, cucina, e una camera, al secondo piano spreuza e altre comodità e coperto fino all’aria. Della stessa casa nel 1861 sono descritti più dettagliatamente i due piani superiori e cioè: al primo piano un saletto, che immette in un locale ad uso di stufa, in un altro ad uso di cucina, ed in un altro, detto ad uso di dispensa. Al secondo piano, una camera sopra la stufa, aia sopra il saletto, e stradulli che comprende tutti gli soprascritti locali, come da segni fatti e coperto fino all’aria. Nel 1892, quando Daniele Inama acquistava la casa, per se ed i fratelli Beniamino e Giuseppe, è data la seguente descrizione: piano terra: portico in comune con gli eredi di Teresa Endrizzi, una stalla e piccolo avvolto. Primo piano: sala di ingresso, due salotti e due camere e sopra questi, spleuzali e tetto fino all’aria. Ancora del medesimo edificio, che a partire dal 1876 veniva numerato con il 10, abbiamo un'altra descrizione redatta nel 1899, in occasione della divisione fra i due fratelli Daniele e Giuseppe Inama. In questo contesto la casa è accreditata addirittura di quattro piani, ma in realtà erano solo tre; l’errore nasce dal fatto che vengono attribuiti al secondo piano i locali che invece erano al primo. L'errore si è poi esteso agli altri piani. In ogni caso la descrizione ci permette di datare approssimativamente fra il 1892 e il 1899, l'avvenuto innalzamento di un piano, di cui abbiamo parlato più sopra.
La parte di Daniele era composta al piano terra da un avvolto a mattina a cui confinano a est la strada, a sud Ester Endrizzi, a ovest e a nord lo stesso dividente; la metà del portico a sera del suddetto avvolto fino al pilastro della porta d’ingresso di detto portico; l’altra metà del portico in linea retta dal pilastro della porta d’ingresso fino al pilastro della porta della cantina, viene assegnata come si dirà più sotto al fratello condividente
Giuseppe. La rimanente parte del portico dovrà rimanere libera per passo dei due fratelli Daniele e Giuseppe e sarà in comunione. Nell’andito che esiste a settentrione dell’avvolto sarà costruita una fogna del cesso, lasciando uno spazio libero di 1,50 per il passo di Giuseppe per recarsi nella stalla, cantina e portico. La rimanente parte dell’andito a mezzodì del passo a favore di Giuseppe, rimarrà proprietà di Daniele. Al secondo piano: la stufa, la cucina e il salotto e il somasso in comunione con il dividente fratello Giuseppe. La scala che mette al terzo piano, rimarrà in comunione con i fratelli. Al terzo piano: la camera sopra il somasso, il salotto sopra il somasso che serve il giro scale sarà in comunione fra i due fratelli. Al quarto piano: le altane fino all’aria, la linea di confine fra queste altane e la parte di Giuseppe viene determinata dalla muraglia che parte dal somasso e termina al terzo piano. Dal terzo piano fino al coperto i due fratelli si obbligano di prolungare la muraglia a comuni spese. Daniele avrà il diritto di costruire una scala a sue spese per portarsi al quarto piano, lasciando libero passo al fratello Giuseppe.
La parte di Giuseppe: al piano terra: una stalla e una cantina e metà del portico come descritto sopra. Al secondo piano: il somasso ed il cesso in comunione col fratello
Daniele e il diritto della scala per salire al terzo piano. La scala resterà in comune. Al terzo piano il salotto sopra il somasso in comune col fratello Daniele, una camera ad uso stufa, la cucina e il salotto. Per salire al quarto piano si farà una scala sul proprio e avrà il diritto di costruire un cesso sopra quello del fratello Daniele e finché non sarà costruito potrà usare quello assegnato a Daniele. Al quarto piano: una camera e le altane fino all’aria, a cui confinano 1 la strada erariale, 2 il fratello Daniele ,3 4 Vittore Chistè.
Un’altra piccola parte di casa, divenuta proprietà Chistè nel 1852, è così descritta: al pian terreno un avvolto e una corte, nella corte col diritto di passo di Antonio Battisti e Giovanni Massenza, sia coi bovi che carri e pedone. Al secondo piano, una camera e un andito, e soffitta sopra i detti locali e il tetto. Questa porzione di casa, era da collocarsi nella parte sud dell'edificio, a ovest della rimanente casa Endrizzi.
Negli anni si incontrano molteplici compravendite dei cosi detti avvolti o revoltelli terreni anche a persone estranee alla casa.
In particolare, dei circa 6-7 locali presenti, tre, nella seconda metà del Settecento, furono acquistati da Maria Domenica Moncher vedova di Gregorio Endrizzi. Grazie a varie descrizioni e citazioni confinarie è stato possibile individuare la loro posizione all’interno della casa, come si può vedere nella sottostante figura.

Avvolto R.1
Nel 1751 questo locale apparteneva a Giuseppe Tamè e al momento della vendita alla vedova Endrizzi, veniva specificato che era di nuova costruzione. Nel 1753 fu rettificata la vendita con un altro documento perché, come dice il documento stesso, il venditore aveva omesso nell’atto di vendita precedente di specificare la soggiacenza del locale al Gafforio per una minela di frumento. Venne pure data facoltà alla parte acquirente di ricavare un altro locale sopra tale avvolto alzando il tetto. Questa evenienza potrebbe essersi verificata e, pertanto, ritengo un’ipotesi plausibile che questa porzione di casa sia finita in mano ad Antonio Endrizzi che con Maria Domenica era imparentato. L’avvolto e il relativo rialzo risultano così essere il primo embrione di proprietà nel caseggiato. Sicuramente l’avvolto poi rimase in proprietà agli eredi di Antonio e fu alienato nel 1910 assieme agli altri locali formanti la porzione di casa a Candido Inama.

 

Avvolto R.2
Nel 1760 Maria Domenica vedova di Gregorio Endrizzi acquistava in permuta da Domenico Massenza un revolto che confinava da tre parti con lo stesso Domenico e da una con Giobatta Inama. Tale locale, come si può vedere dallo schema, si trovava a fianco dell’odierna stradina che dalla strada comunale conduce alla casa di Renzo Chistè. Dal momento dell’acquisto ebbe vita autonoma passando in proprietà a Lucia Endrizzi, figlia di Maria Domenica che lo possedette assieme al marito Maurizio Rensi. Nel 1795 Giovanni Battista fu Giacomo Inama lo ricevette in regalo dopo aver acquistato tutta la sostanza di Lucia Endrizzi; dopo essere tornato ai Massenza, e da questi nel 1818 ancora agli Endrizzi, finì definitivamente ai Chistè nel 1852.

 

Avvolto R.3
L’avvolto risulta già di proprietà di Maria Domenica vedova Endrizzi nel 1773, anno della vendita a Giovanni Emer. In tale circostanza è così descritto un revolto terreno soggetto al Gafforio ma senza pagare nessuna tassa a cui a mane strada imperiale, meridie Giuseppe Tamè, settentrione e sera il compratore Emer. Da chi e quando avesse acquisito il locale Maria Domenica non è dato sapere, ma è molto probabile che fosse appartenuto alla famiglia Tamè.
 

Altri avvolti e porticati
Nel 1890 è citato un avvolto ad uso cantina localizzato sotto il somasso. Si specificava che era posto nella parte a settentrione della casa 10 e che possedeva una finestra. Tale finestra ritengo guardasse verso il Pissaracel. Lo stesso avvolto a uso cantina è quello citato nel 1848, quando
Giacomo Endrizzi cedeva la casa n. 11, una stalla e la cantina al fratello Pietro. Il portico in comune, pure riportato nello scritto del 1848, sarà ceduto a completo uso di Daniele Inama nel 1892, accordando però a Giacomo Endrizzi, l’utilizzo della scala per portarsi nella sua casa n. 9. Il portico ad uso andito, così come era chiamato, si trovava sul lato est, ed è menzionato anche nella divisione fra i fratelli Giuseppe e Daniele Inama nel 1899. Da questo si accedeva alla cantina ed ad una stalla. Un altro portico, è citato e appare anche nel disegno di ristrutturazione della casa n. 11, nell'anno 1910. Questo locale era localizzato nella parte sud della casa, sotto l'odierno terrazzo e dava accesso all’avvolto R.1.

 

 

I PROPRIETARI E GLI AFFITTUARI DELLA CASA

Come sopra accennato la casa fu proprietà dell’episcopio di Trento, antico retaggio dell'anno 1218, e fu sempre locata, assieme ad alcuni terreni, con la formula dell’affitto perpetuale. I primi possessori/affittuari di cui si ha notizia furono Bosolo e Sono, tenutari della casa nel lontano 1275. Nel 1346 è invece Bonamico figlio del fu Benedetto di Campo che con la sua famiglia abiterà nella casa sicuramente fino agli albori del Quattrocento. Di Bonamico conosciamo il figlio Nicolò, il quale lascerà a sua volta il posto al figlio Feltrino. Almeno dal 1425 abitava nella casa la famiglia di Odorico detto Duca originario di Coredo. I Duca rimasero a Dermulo per tre generazioni per poi essere sostituiti dai Frisoni, pure di Coredo. Da quanto si rileva dal rinnovo di investitura del 1490, i Frisoni erano già in possesso della casa almeno da venti anni, quindi subito dopo la comparsa di Bartolomeo Duca nella carta di regola di Dermulo del 1471.[2] Intorno al 1510 in una ricognizione dei beni gafforiali, il maso, già tenuto dai Frisoni, era ancora denominato Dusati. Anche i Frisoni, dopo un secolo di permanenza, lasciarono Dermulo e questa volta la casa fu occupata da una persona del luogo. Nel documento di investitura del 1564 infatti, troviamo come affittuario Fabiano fu Tommaso Massenza che quindi lascerà la sua abitazione paterna (futura casa n.15) per occupare la casa al Castelet. Da quel momento in poi la casa fu anche denominata come “casa del Fabiano”, o “casa ai Massenzi”. I discendenti di Fabiano rimasero in possesso della casa, anche se non in esclusiva, fino alla seconda metà dell’Ottocento. Dopo la morte di Fabiano I avvenuta intorno al 1608, la casa entrò in possesso dei due figli Tommaso II e Giovanni, ai quali toccherà grosso modo, rispettivamente la parte sud (A) e la parte nord (B). Da un'altra investitura, data circa nel 1635, evinciamo che nella casa abitavano i figli del fu Giovanni, ossia Luca I, Fabiano, Romedio e Giovanni e i figli del fu Tommaso II, ovvero Fabiano II e Giovanni Battista I. Dei molti figli di Giovanni, abiterà nella parte (B), Luca I con la sua famiglia e in seguito i due figli Bartolomeo e Giovanni Domenico.
Giovanni Battista I e Fabiano II occuperanno la casa ereditata dal padre Tommaso, per cui troviamo il primo a sud-est (A.1) e il secondo a sud-ovest (A.2). Fra il 1640 e il 1645 Fabiano II vendette a Giovanni Emert, la sua porzione di casa (A.2). Dopo il 1660 troviamo nella parte di casa che fu di Tommaso II,  Tommaso III (A.1) e Giovanni Emer (A.2).[3] Qualche anno dopo Giovanni Emer o, molto più probabilmente, suo fratello Giorgio, procedette all’acquisto della casa che fu di Martino Cordini dove si trasferì tutta la famiglia. La parte di casa al Castelet, quindi, fu corrisposta come bene dotale a Giulia Emer, sorella di Giovanni e Giorgio, la quale nel 1678 sposava Vittore Tamè di Tres. In tale contesto Vittore si trasferì a Dermulo, dove visse nella casa della moglie Giulia (A.2).
Sul finire del Seicento quindi, nel caseggiato troviamo abitare con le rispettive famiglie Vittore Tamè (A.2), Giovanni Battista Massenza (A.1) e i fratelli Bartolomeo (B.2) e Giovanni Domenico Massenza (B.1). Essi, come consuetudine, pagavano annualmente la tassa gafforiale alla mensa vescovile relativa alla casa e ad alcuni terreni, che ammontava a 3 stari di frumento, 2 stari di siligine e 3 stari di spelta.

 

 

LA PARTE DI VITTORE TAME’ (A.2)
L’esigua casa di Vittore Tamè, come abbiamo visto sopra, proveniva dal suocero Giovanni Emer.  Essa, posizionata nella parte sud-est del caseggiato, (a sud della parte di Giovanni Battista Massenza), era costituita al piano terra da un avvolto, da una cucina sopra di questo e poi da una stua alla quale era sovrapposta una stanza che a sua volta aveva sopra il tetto. Dopo la morte di Vittore nella casa prese posto il figlio Simone, il quale nel 1742 donava alla figlia Maria Domenica una stanza "su in alto esistente nella casa su in zima ai Massenzi". La stanza era posta sopra la stua di detta casa ed era “fabbricata, intorno da muraglie e sopra di legno”. Simone prescrisse che in caso di vedovanza della moglie Maddalena, Maria Domenica avrebbe dovuto dividere il locale con la madre, finché questa fosse in vita e a condizione che lei rimanesse nubile. Nel caso in cui Maria Domenica avesse preso marito, i suoi due fratelli, Vittore e Giuseppe, sarebbero entrati in possesso della stanza, incassando però il dovuto prezzo. Tale stanza pervenne poi al fratello Giuseppe che nel 1750 la vendette a Giovanni Battista Inama, possessore della porzione di casa adiacente. La stanza probabilmente non fu venduta integra ma solo nella sua porzione più a nord, dove infatti, da confini del 1753 risultava la presenza di un nuovo muro divisorio fra la proprietà Inama e Tamè.
Vittore morì prematuramente nel 1744 all'età di 35 anni, seguito nel 1751 dalla moglie Caterina, per cui l’abitazione pervenne al fratello Giuseppe. Giuseppe Tamè dopo la prima metà del Settecento, pressato dal cronico problema dei debiti, cedeva alcuni locali della casa, in particolare nel 1750 un revolto terreno soggetto al gafforio a Domenica vedova Endrizzi e una stanza in alto sopra la stua, a Giovanni Battista Inama. L’avvolto era stato costruito da poco ampliando la casa verso sud, e nel contratto di compravendita si specificava che la parte compratrice avrebbe potuto elevare il tetto sopra il locale, purché la costruzione non oscurasse il lume della finestra della camera posta sopra la stua. Non si può escludere che Maria Domenica avesse effettivamente alzato il tetto e ricavato un altro locale sopra l’avvolto e che nei primi anni dell’Ottocento questa porzione di casa fosse pervenuta, per compra o in altro modo, in mano di Antonio Endrizzi, suo parente. Se così fosse, sarebbe stato questo il primo embrione della proprietà di questa linea Endrizzi nel caseggiato, al quale si sarebbe aggiunta poco dopo la rimanente casa Tamè, nel frattempo transitata al suocero Innocente Massenza.
Nel 1782
Giuseppe fu costretto ad alienare la casa di abitazione, al conte Giovanni Vigilio Thun di Castel Bragher, per un debito di 100 Ragnesi che aveva nei suoi confronti. Il Thun poi gliela riconcesse in affitto per tutta la sua vita natural durante. Dopo la morte di Giuseppe il figlio Antonio, circa nel 1803, abbandonò la casa di Dermulo e raggiunse Brescia. Quindi, questa piccola porzione, che nel 1780 misurava solamente 9 pertiche, dovrebbe essere stata acquistata da Innocente Massenza, se intorno al 1807 risultava nelle disponibilità della figlia Teresa, poi moglie di Antonio Endrizzi. In questa occasione, o forse tramite l’ipotesi sopra riportata, l’Endrizzi entrò per la prima volta nella casa e nel 1818, grazie a una donazione del suocero Innocente, ampliò le sue disponibilità abitative. Almeno dal 1822, si ha notizia che Antonio Endrizzi teneva aperta nella casa una bèttola; tale attività, poi continuata dal figlio Giacomo e dal nipote Desiderato, era svolta nella grande camera contigua alla strada principale.

 

LA PARTE DI GIOVANNI BATTISTA MASSENZA (A.1)
Giovanni Battista II, figlio di Tommaso III, ricevette tutta la casa in eredità dal padre in quanto lo zio Giacomo abitante a Cortaccia, vi aveva rinunciato. Giovanni Battista morì nel 1702 e la casa divenne proprietà della figlia Marina, la quale nel 1715 sposò Bartolomeo Inama, detto Tomelin. In quell’occasione Bartolomeo abbandonò la casa paterna al di là del rì e si trasferì in casa della moglie. Nel 1759 alla morte di Bartolomeo, la casa passava al figlio Giovanni Battista il quale nel 1750 e 1751 ne ampliava la superficie, acquistando alcuni locali posti nell’adiacente casa di Giuseppe Tamè. Nel 1772 il muraro Giovanni Battista Inama, essendosi trasferito a Favogna, cedeva la casa a Romedio Chilovi di Taio per l'importo di 200 Ragnesi. In questa circostanza vengono enunciati i confini: a est la strada imperiale, a sud Giuseppe Tamè, a ovest e a nord Domenico Massenza. Il confine nord si riferiva al terreno più tardi individuato dalle p.f. 183 e 184. Della casa è data la seguente descrizione: contiene a basso un cortile, una stalla a revolto, e un altro revolto terreno, in alto un somasso una stufa con suo fornello e cucina, un’altra stanza sopra la stufa, e coperto fino all’aria” (si noti come questa descrizione corrisponda perfettamente a quella fatta a fine Ottocento nel catasto, quando apparteneva a Giovanni Inama detto Zanet. Inoltre si evince che nell’Ottocento, dall'unica stanza sopra la stufa furono ricavati tre locali). Nello stesso anno don Gaspare Chilovi, plausibilmente erede di Romedio, la vendeva a Giovanni Emer per 250 Ragnesi. Nel 1773 Giovanni Emer acquistava da Maria vedova di Gregorio Endrizzi "un revolto terreno soggetto al Gafforio ma senza pagare nessuna tassa a cui a mane strada imperiale, meridie Giuseppe Tamè, settentrione e sera il compratore Emer, per 23 Ragnesi" (questo revolto R.3 era senza dubbio il locale sottostante il vecchio negozio Odorizzi). Giovanni Emer dal 1778 al 1787 fu masadore al maso Betta, per cui la casa rimase disabitata, e tale rimase, anche al termine della locazione, in quanto Giovanni risiedette nella casa n. 24. Dopo la sua morte, avvenuta nel 1803, le due case furono ereditate dai tre figli, Romedio, Pietro e Giovanni; quest’ultimo in particolare divenne proprietario della casa al Castelet, dove abitò, anche se non in modo continuativo, con la moglie Domenica Vender. Dal matrimonio fra Giovanni Emer e Domenica, nacquero vari figli, ma solo una di nome Barbara raggiunse l’età adulta e dopo la morte dei genitori divenne proprietaria della casa. Barbara nel 1838, dopo essere convolata a nozze con Bartolomeo Huber di Mezzolombardo, alienò la casa ad Antonio Endrizzi. Antonio possedeva altre porzioni del caseggiato e con la nuova acquisizione ampliò considerevolmente la sua proprietà disponendo delle case più tardi numerate con il 9, 10 e 11, vale a dire più di metà caseggiato. (A e B.2.2)

 

LA PARTE DI BARTOLOMEO MASSENZA (B.2)
Bartolomeo Massenza aveva generato solo una figlia, Lucia Margherita che nel 1715 divenne moglie di Giovanni Mendini. Dopo il matrimonio gli sposi abitarono in questa casa. Nel 1740, rimasta vedova, Lucia Margherita occupò la casa con i figli Bartolomeo e Giovanni Mendini. Quest'ultimo lasciò Dermulo, mentre Bartolomeo nel 1749 si trasferì nella casa Guelmi, in qualità di affittuario dell'omonimo maso. Nel 1750 Lucia Margherita cedeva la casa al cugino Luca. La casa è descritta nel seguente modo: “a basso, un revolto sotto il somasso, altro sotto la stufa, una camerina a soffitta sotto la cucina; in alto, una stufa a soffitta con il fornello, una cucina a revolto piano, un andito verso settentrione, la metà del somasso e sue stradughe, con coperto fino all’aria”.

 

 

LA PARTE DI GIOVANNI DOMENICO MASSENZA (B.1)
Come accennato, la parte di Giovanni Domenico proveniva dall’eredità del padre Luca I. Dopo la morte di Giovanni Domenico la casa pervenne al figlio Luca II, che nel frattempo si era trasferito a Rallo. Successivamente la casa fu suddivisa fra i due figli di Luca II, Domenico e Giuseppe, ma mentre il primo tornava in paese, il secondo rimaneva a Rallo.


 

LA PARTE DI GIUSEPPE MASSENZA FIGLIO LUCA II (B.1.1)
Alla morte di Giuseppe, avvenuta intorno al 1775, i suoi figli, trasferitisi da Rallo in quel di Brescia, decisero di alienare i loro beni a Dermulo, fra i quali anche la casa
. L'acquirente fu Giacomo Emer il quale, sposatosi con Maddalena Ziller ed emancipandosi dal padre Cristano, visse però per poco tempo nella nuova casa. Infatti la sua morte prematura avvenuta nel 1777, lasciò vedova Maddalena con una figlioletta di appena un anno. Cristano Emer, padre del fu Giacomo, divenne nell'immediato tutore della nipote, ma anche proprietario della casa. Della porzione di casa abbiamo la descrizione data nel 1787 quando essa ritornò in mano Massenza: "a basso una pezzetta di cortile separato e segnato con termini, un rivolto terreno e cucina a soffitta; in alto una camera pure a soffitta esistente sul somasso comune, col coperto sopra fino all’aria, avente questo bisogno di essere riparato." Nel 1779 il Regolano Maggiore di Dermulo, Alfonso Widmann, dovette intervenire per ricomporre una lite sopravvenuta fra Cristano Emer, quale tutore della nipote Anna Maria, e Domenico Massenza. Il motivo del contendere era il fumo che usciva da una nuova finestra, aperta dal fu Giacomo nella cucina al piano terra della casa. Il fumo inondava la casa Massenza, pertanto fu imposto alla vedova Emer di utilizzare la cucina nuova esistente al piano superiore. La parte Massenza per contro, doveva pagare le spese per la costruzione del camino della nuova cucina, ammontanti a 5 Ragnesi. Nello stesso momento inoltre, veniva affrontata un’altra questione pendente fra il Massenza e l’Emer, che si intuisce essere stata relativa alla costruzione di uno stabbio da parte del primo. Evidentemente la parte Emer non gradiva la nuova costruzione, ma al Massenza fu accordato il permesso di potersi appoggiare al muro della cucina vecchia Emer, senza però oscurare il lume della finestra esistente sopra quella incriminata. Non siamo a conoscenza del destino di Maddalena Ziller e della figlia Anna Maria, ma sicuramente non vissero a lungo nella casa di Dermulo che probabilmente fu lasciata dopo il 1779. Cristano Emer quindi, dopo aver acquisito come erede la casa del figlio Giacomo, la cedette nel 1787 a Domenico Massenza.

 

LA PARTE DI DOMENICO MASSENZA FIGLIO DI LUCA II (B.1.2)
Domenico, lasciando Rallo, si era stabilito a Dermulo circa nel 1745, dove si sposò e visse assieme alla sua famiglia. Nel 1760 vendeva un avvolto a Maria Domenica Endrizzi, il quale avvolto poi passò al genero Maurizio Rensi. Lucia, moglie del Rensi, nel 1798 lo regalò a Giovanni Battista fu Giacomo Inama di Brescia. La donazione avvenne a completamento della vendita di tutta la sostanza posseduta da Lucia a Dermulo. Nel relativo documento si dice che per accedere al revolto si doveva attraversare il portico, gravato di diritto di passo a favore di Domenico Massenza ossia Giovanni Inama. (Quest’ultimo nome mi lascia un po’ perplesso, non so se il notaio si fosse sbagliato a scrivere il cognome e in tal caso doveva trattarsi di Giovanni Massenza, oppure, fosse effettivamente Inama e in questo caso invece si trattasse di Giovanni Francesco. Anche in altri documenti c’è qualcosa di non molto chiaro che farebbe pensare ad una proprietà Inama, in particolare dei Rodari, in questa casa. Questo anche tenendo conto del terreno al Capitel che era sicuramente proprietà Inama in quel periodo. Infine ci sarebbe la possibilità che si trattasse dello stesso Giovanni Battista Inama possessore dell’avvolto). Infine il locale (R.2), che gli indizi confinari ci permettono di porre nella porzione della casa (B.2.2), pervenne ad Innocente Massenza che nel 1818 lo cedette al genero Antonio Endrizzi. Nel 1750, come visto sopra, Domenico acquisì la casa (B.2) della cugina Margherita  e, nel 1787, la porzione (B.1.1) che fu di Giacomo Emer da suo padre Cristano. In questo modo Domenico e suo figlio Innocente ridivennero proprietari di tutta la casa che fu del loro avo Luca I. Innocente, infatti, risultava già possedere separatamente dal padre Domenico delle porzioni di casa. Alla morte di Domenico la casa fu suddivisa fra due dei suoi cinque figli, Giovanni e Innocente. La parte di Giovanni (B.2.1), sita nel centro del caseggiato, era molto esigua, essendo formata solamente da due stanze localizzate sopra il somasso. Dopo la sua morte avvenuta intorno al 1820, la casa rimase disabitata in quanto i suoi figli Barbara e Giovanni, si trovavano al Maso Rauti con i relativi coniugi, in qualità di affittuari. Nel 1860 Giovanni Massenza risulta proprietario della P.E. n. 25, che, come appare dalla mappa di quell'anno, era racchiusa dalle due P.E. n. 24 e n. 26. Nel 1867 la casa di Giovanni Massenza passerà in proprietà del nipote Vittore Chistè. La casa di Innocente, invece, localizzata verso il Pissaracel (B.1), fu suddivisa fra le sue figlie, per cui Teresa moglie di Antonio Endrizzi, divenne proprietaria di una parte notevole di essa. Vennero assegnate delle porzioni anche ad Innocenza Massenza, poi moglie di Luigi Battisti e alla sorella Caterina moglie di Pietro Larcher. La parte di casa numerata con il 9 fin dal 1830 fu protagonista delle traversie finanziarie del suo proprietario Giacomo Endrizzi. Antonio nel 1818 aveva ricevuto dal suocero Innocente Massenza, un’altra porzione di casa che poi suo figlio Giacomo venderà a Vittore Chistè nel 1852 (B.2.2). Al tempo della donazione la casa era costituita da una stufa, una cucina e solaro, e, cosa molto importante, il diritto di passo sul somasso.

I PROPRIETARI DELLA CASA DOPO LA SECONDA META' DELL'OTTOCENTO

Il giorno 8 dicembre 1853 dalla soffitta dell’abitazione di Giacomo Endrizzi si sprigionava un incendio che, propagandosi a tutto il colomello, provocava un danno di 2200 Fiorini abusivi. Per il suo spegnimento furono necessarie quasi quattro ore e, i sinistrati, essendo la casa diventata inagibile, furono ospitati dagli altri paesani. A innescare l’incendio fu un orfanello di 5 o 6 anni che dimorava presso l’Endrizzi, il quale confessò di essersi impossessato dei “fulminanti” e di aver dato fuoco a del materiale in soffitta. Il bambino colpevole, anche se non citato per nome, dovrebbe essere stato Carlo Endrizzi, nipote di Giacomo, orfano di entrambi i genitori, in quanto il padre Pietro morì qualche mese prima che il figlio vedesse la luce nel 1848 e la madre nel 1851. In quell'anno la casa era posseduta da Giacomo Endrizzi (A-B.2.2), Antonio Battisti (B.1.2), Vittore Chistè (B.1.1) e Giovanni Massenza (B.2.1), ma solo i primi tre vi abitavano con le rispettive famiglie, mentre il Massenza era masadore al Maso Rauti. L’unica abitazione assicurata contro gli incendi risultò quella di Vittore Chistè.
La casa di Giacomo Endrizzi derivava dall’eredità del padre Antonio che, come visto più sopra, aveva ampliato la sua proprietà iniziale (A.2) (ex casa
Tamè e forse una porzione appartenuta a Maria Domenica Endrizzi) prima con una donazione del suocero Innocente Massenza nel 1818 (B.2.2) e poi con l’acquisto della parte di casa venduta dagli eredi di Giovanni Emer nel 1838 (A.1). Come vedremo in seguito, la porzione di casa avuta dal suocero Innocente sarà alienata a Vittore Chistè nel 1852, mentre quella di provenienza Emer fu ceduta nel 1843 ai suoi figli Giacomo e Pietro, il quale Pietro, acquisendo nel 1848 la parte del fratello, ne divenne unico proprietario. Poco dopo Pietro passò a miglior vita, seguito alla fine del 1851 dalla moglie Caterina, per cui i figli orfanelli Giovanni e Carlo la acquisirono in eredità; poco dopo Giacomo la riacquistava ai suoi nipoti e nel 1861 la vendeva a Giovanni Inama detto Zanét. Nel 1876 Giacinto, Leopoldo e Desiderato Endrizzi figli di Giacomo, riacquistavano la casa da Giovanni Inama, per il prezzo di 242 Fiorini. Infine nel 1892 per la situazione debitoria di Giacomo Endrizzi la casa fu messa all’asta e Daniele Inama, figlio del sopra citato Giovanni, ne procedeva all’acquisizione anche a nome dei fratelli Giuseppe e Beniamino. Il prezzo fu stabilito in 520 Fiorini. In seguito la casa appartenne ai due fratelli Daniele e Giuseppe (sicuramente fino al 1903) e poi solo al primo, che acquistò la parte del secondo. Negli anni Venti del Novecento la parte che fu di Giuseppe Inama (A.1.2), ovvero i locali di abitazione al piano terra e il somasso piccolo, passarono in mano ad Adolfo Odorizzi di Rallo che ricavò in quest’ultimo locale un negozio di generi misti e coloniali. La scala presente in fondo al citato somasso, che permetteva di raggiungere il secondo piano, fu smantellata e ne fu costruita un’altra nell’andito esterno, in direzione est-ovest che si raccordava con il poggiolo del secondo piano. Anche questa fu però demolita dopo il 1930, quando Adolfo Odorizzi acquisì la restante parte della casa (A.1.1) dalle figlie del fu Daniele Inama detto Zanet e, ampliando il negozio, andò ad occupare il vecchio cortile presente nella parte adiacente allo stradone.
Vittore Chistè entrò per la prima volta nel caseggiato al Castel in seguito all’acquisto di una porzione di casa da Giacomo Endrizzi, nel 1852 (B.2.2). In seguito il Chistè procedette ad altre acquisizioni, in primis, dopo l’incendio del 1853, acquisì la porzione che fu di Antonio Battisti (B.1.2) che probabilmente gli eredi non furono più in grado di ristrutturare. Poi nel 1867 le proprietà dello zio Giovanni Massenza, (B.2.1) tanto che nelle sue mani si era concentrata circa la metà del caseggiato. Per molti anni a seguire la parte di Vittore Chistè non subì altre variazioni, fino a che nel 1902 passò in mano al figlio Pietro.[4]
Rimane ora da descrivere il destino della casa che fu la prima proprietà della famiglia Endrizzi in questo colomello (A.2). Essa fu la meno interessata dalle traversie di Giacomo, ma nonostante ciò, nel 1878 ci fu un cambio di proprietà in favore del cognato Bartolomeo Stratta che da Taio sembra si sia trasferito nella casa di Dermulo, dove rimase almeno fino al 1890.[5] Dopo tale data presumo che Desiderato figlio di Giacomo si fosse adoperato per il riacquisto, interessando la famiglia della moglie Ester. Infatti la casa risultava essere di proprietà di Ester Recla, quando nel 1909 veniva ceduta assieme all’orto e al broilo a Candido fu Giuseppe Inama per l’importo di 2000 Corone. Così gli Endrizzi lasciarono definitivamente il caseggiato dopo più di cento anni di permanenza e si trasferirono nella nuova costruzione che nel frattempo, Desiderato aveva eretto poco più a nord (futuro albergo Victory), e dove nel 1910, iniziò l’attività di albergo e osteria.

 

 

PERSONE EFFETTIVAMENTE PRESENTI NELLA CASA *

Anno 1550

Anno 1620

Anno 1670

Anno 1710

Anno 1780

Anno 1830

Anno 1880

Anno 1921

 

 

 

 

casa 9

casa 9,10,11,12/A

casa 9

Antonio Frison

Tommaso Massenza

Luca Massenza

Gio.Domenico Massenza

Domenico Massenza

Antonio Endrizzi

Giacomo Endrizzi (v)

Candido Inama

N.N. (m)

Ursula N. (m)

Lucia Valemi (m)

Caterina Chilovi (m)

Barbara Cristan (m)

Teresa Massenza (m)

Desiderato Endrizzi (f)

Assunta Barbacovi (m)

Leonardo Frison (f)

Fabiano Massenza (f)

Gio.Domenico Massenza (f)

Maria Massenza (f)

Domenico Massenza (f)

Annamaria Endrizzi (f)

Addolorata Endrizzi (f)

Maria Inama (f)

Antonio Frison (f)

Giobatta Massenza (f)

Ursula Massenza (f)

Luca Massenza (f)

Giovanni Massenza (f)

Pietro Endrizzi (f)

Leopoldo Endrizzi (f)

Remo Inama (f)

Baldassarre Frison (f)

Giacomo Massenza (f)

Bartolomeo Massenza (f)

Lucia Massenza (f)

Vigilio Massenza (f)

Giacomo Endrizzi (f)

Giacinto Endrizzi (f)

Fiorina Inama (f)

 

 

 

Francesco Massenza (f)

 

Giulia Endrizzi (f)

 

Attilia Inama (f)

  Giovanni Massenza

Tommaso Massenza

N. Massenza

Innocente Massenza

 

Bartolomeo Stratta

Ida Inama (f)

  Maria N. (m)

Marina Inama (m)

 

Teresa Battisti (m)

 casa 10

Fortunata Endrizzi (m)

Elviro Inama (f) (a)

  Luca Massenza (f)

Giobatta Massenza (f)

Bartolomeo Massenza

Cristina Massenza (f)

Luigi Battisti

Rachele Stratta (f)

 
     

Anna Maria Gregori (m)

Caterina Massenza (f)

Innocenza Massenza (m)

Rosa Stratta (f)

 

   

Giovanni Emer

Margherita Massenza (f)

Teresa Massenza (f)

Maria Battisti (f)

Ester Stratta (f)

casa 10

   

Ludovica Cordini (m) 

 

 

Antonio Battisti (f)

Desiderato Stratta (f)

Daniele Inama

   

 Gio. Antonio Emer (f)

Simone Tamè

 

Teresa Battisti (f)

 Pietro Stratta (f)

Annunziata Tavonatti (m)

   

Maria Caterina Emer (f)

Maddalena Gasperini (m)

Giuseppe Tamè

N.N.

 

Angelina Inama (f)

     

Vittore Tamè (f)

Teresa Brida (m)

 

 Casa 9,10,11,12/B

Maria Inama (f)

   

 

 

 

 casa 11

 Vittore Chistè

Anna Inama (f)

     

 Marina Massenza

Antonio Tamè

Giovanni Emer

 Felicita Endrizzi (m)

Gisella Inama (f) (a)

     

 Domenica Massenza (S)

Ursula Inama (m)

Domenica Vender (m)

 Maria Chistè (f)

 

     

 

Marina Tamè (f)

 

 Pietro Chistè (f)

Adolfo Odorizzi

     

 

Domenica Tamè (f)

casa 12

 

Rosina Visintainer (m)

     

 

Caterina Tamè (f)

nessuno

 

Maria Odorizzi (f)

     

 

Anna Tamè (f)

 

 

 

     

 

 

 

 

casa 11

     

 

Maddalena Ziller (v)

 

 

Pietro Chistè (a)

     

 

Anna Maria Emer (f) 

 

 

Caterina Angeli (m)

     

 

 

 

 

Pio Chistè (f)

     

 

 

 

 

Lina Chistè (f)

 

 

 

 

 

 

 

Gelinda Chistè (f)

 

 

 

 

 

 

 

Leo Chistè (f)

 

 

 

 

 

 

 

Amedeo Chistè (f)

 

 

 

 

 

 

 

Silvio Chistè (f)

 

 

 

 

 

 

 

Primo Chistè (f)

 

 

 

 

 

 

 

Vittoria Chistè (f) (a)

 

 

 

 

 

 

 

 

* Per gli anni 1554, 1620 e 1670 le persone non sono quelle effettivamente presenti ma solo quelle di cui si è avuta contezza. Il nominativo sottolineato corrisponde al capofamiglia. Le seguenti abbreviazioni indicano i rapporti di parentela con il nome sottolineato: m sta per moglie, f. per figlio/a, fr per fratello, S per sorella, v per vedovo/a, p per padre, M per madre, s per suocero/a, n per nipote, z per zio, N per nuora e c per cognato/a. Per il 1780, i nomi dei proprietari provengono dal Catasto teresiano  presso l’A.S.T. Per il 1921 si è preso in considerazione il censimento di tale anno presso l’A.C.D.  Inoltre, e solo per questo anno, sono state evidenziate le persone assenti con la lettera a. Per gli anni rimanenti i nomi dei capifamiglia e/o il numero degli occupanti la casa, sono stati desunti da vari documenti consultati presso A.C.D., A.P.T. e A.D.T. Per l'anno 1620 non si ha la certezza matematica che le persone elencate siano quelle effettivamente presenti.

 

[1]  Il documento citante tale situazione ossia il Liber dell’Ortemburg, è del 1387, ma da altre evidenze si è capito che faceva riferimento agli anni 1340-1350.

[2] Essendo quindi il documento del 1490 un rinnovo di investitura, la datazione della precedente investitura teoricamente avvenuta 19 anni prima, andrebbe a collocarsi circa nel 1471. Dal nominativo di Sigismondo Thun citato come confinante e ricopiato tal quale assieme agli altri anche nelle investiture successive (1527) è stato possibile datare la prima investitura intorno al 1465. (Infatti nelle investiture successive avrebbe dovuto comparire Simone Thun figlio di Sigismondo)

[3]  Il sarto Giovanni Emert di origini bavaresi era giunto a Taio forse grazie ai conti Thun. Nel 1639 si sposava con Caterina Alberti, nipote di don Giovanni Pietro Alberti, pievano di Taio  e poi raggiungeva Dermulo.

[4] Pietro, padre di Vittore Chistè e masadore al Maso Rauti, aveva preso in moglie Barbara Massenza figlia di Giovanni. Pietro morì improvvisamente a Pressano nel 1832 e il suo posto al maso fu preso dal cognato Giovanni. La vedova Barbara, con i due figli Pietro e Vittore, quindi abitò in affitto nella casa n. 22. Barbara tornò probabilmente nella casa al Castelet solamente nel 1852, quando il figlio Vittore Chistè ne acquisì una porzione da Giacomo Endrizzi.

[5] In verità non è del tutto chiaro se lo Stratta, in occasione dell’acquisto, si fosse trasferito a Dermulo oppure avesse continuato a vivere a Taio. Suo figlio Giulio comunque nel 1921 abitava a Dermulo in affitto nella casa n. 7-8, per cui che anche suo padre vivesse a Dermulo sembra molto plausibile.

 

 

 

 

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