LA CASA N° 7-8 - casa alla Crosara - casa delli Inami - casa di Castel Brughier - casa ai Marini

(Oggi Via Eccher n. 3, 5 e 7) P.E. 16, 17
 


 I PIANI DELLA CASA     IL MASO

 

Anticamente, questa casa posta nel centro storico del paese era denominata casa alla Crosara o casa ai Marini, dal soprannome dei discendenti di un ramo facente parte del primo Gaspare Inama, dove il nome Marino fu ricorrente per varie generazioni. Solamente dopo l'acquisto da parte dei conti Thun, la parte est fu identificata come casa di Castel Brughier. Una delle sue peculiarità è sicuramente l'interessante portale gotico che posizionato nella parte sud, permette di accedere alla cort della casa. Un'altro particolare curioso è la raffigurazione soprastante il portale d'ingresso della parte est: conglobata in un sasso di tufo, si può infatti scorgere una croce, a sua volta appoggiata su un'enigmatica testa di pietra. La rappresentazione non sembra far parte di stemmi familiari noti, anche se, il simbolo della croce compare nel segno di tabellionato dei notai Panizza, possessori della casa nei primi quarant'anni del Settecento. Una delle sorelle Inama figlie del fu Giacomo, aveva riferito al nipote Bruno Arragone, proprietario in tempi recenti della casa, che tale composizione era opera dello scultore Barbacovi di Taio.[1] Non so dove fosse stata reperita questa notizia ma conoscendo l'affidabilità della fonte ritengo che potrebbe essere stata tramandata oralmente di generazione in generazione.

La doppia casa 7-8 era la vecchia dimora dei Pret, famiglia molto antica ma estintasi a Dermulo negli ultimi anni del Cinquecento. I Pret già alla metà del Cinquecento erano ridotti a pochi individui riconducibili ai fratelli Pietro e Simone con le rispettive famiglie. Pietro possedeva la futura casa n.8 e il sottostante orto formato dalle odierne p.f. 157 e 158, mentre Simone la casa n.7 con le future p.f. di orto 155 e 156. Simone inoltre possedeva la porzione (A) della futura casa 2-3 e forse una parte di casa n. 5-6. Nel 1552 la casa n.8 perse la disponibilità dell'orto in quanto per un debito di Pietro nei confronti del maestro muratore Rocco de Redis di Tassullo, l'orto fu da questo incamerato e poi ceduto definitivamente al notaio Gaspare Inama II che di Pietro era pure curatore. L'orto fu quindi utilizzato da Gaspare Inama II che abitava nella casa n. 1 e 4 e successivamente seguì i proprietari di queste due case. Anche la casa però di li a poco avrebbe seguito la stessa sorte. Tommaso figlio di Pietro Pret morì intorno al 1579, lasciando dietro di se due figli e la vedova dei quali non conosciamo neppure il nome. Ecco quindi che nel frattempo essendosi resasi disponibile anche la futura parte n.7, l'intero caseggiato tra il 1580 e il 1590 fu alienato e ritengo che il suo acquirente fosse stato Valentino Inama figlio del fu Marino che in precedenza dovrebbe aver abitato nella casa 1.[3]

Alla morte di Valentino I avvenuta tra il 1591 e il 1604, la casa passò per intero al figlio Marino III di cui troviamo traccia nel 1608 come possessore del sottostante orto p.f. 155 e 156. Nel 1613 Marino III passò a miglior vita e la casa fu occupata dai quattro figli Cipriano, Bartolomeo, Antonio e Valentino. Sicuramente Cipriano II abitava nella casa n.7 e Antonio nella n.8, mentre per gli altri due non ho informazioni. I discendenti di Valentino comunque, nel penultimo quarto del Seicento, non risiedevano più nella casa. Specificatamente Giovanni Battista figlio di Valentino aveva acquisito in quegli anni parte della casa vescovile 13-14 dove si era trasferito e dove vissero fino alla fine dell'Ottocento i suoi discendenti. La parte di Bartolomeo, che lasciò dietro di se solo due figlie, fu acquisita dai suoi fratelli. Da qui in avanti le notizie sulla casa sono abbastanza chiare e possiamo ricostruirne i proprietari fino ai giorni nostri. Le due porzioni di casa subiranno dei destini diversi e non saranno più riunificate sotto uno stesso proprietario, fatta eccezione di qualche locale alla fine dell'Ottocento.

 

LA CASA N.7

La parte est della casa numerata più tardi con il 7, sarà posseduta da Cipriano Inama e poi dal figlio Marino IV. Marino visse nella casa assieme alla moglie Domenica e a un numero non ben definito di figli che però moriranno tutti bambini, a parte Maria. Nel 1706 Marino, già molto anziano, si era trasferito assieme alla moglie a Piano di Commezzadura al seguito della figlia ivi maritata e aveva dato in locazione la casa e i vari terreni a Pietro Antonio Mendini. Nello stesso anno redasse testamento, eleggendo sua erede la figlia Maria, ma lasciando la moglie Domenica usufruttuaria della casa a Dermulo, nel caso che essa avesse voluto tornarvi. Non molto tempo dopo Marino morì e nel 1717 Maria, per mezzo del marito Bartolomeo Bernardelli, alienerà tutta la sostanza paterna, tra la quale la casa in parola a Pietro Lorenzo Panizza di Taio.[2] Il prezzo fu stabilito in 1200 Ragnesi. Purtroppo il documento originale non è reperibile, e se ne fa solo cenno in un atto del 1719, mediante il quale il Bernardelli riceveva dai Panizza, il saldo per la vendita di tali beni. Pietro Lorenzo Panizza dopo il 1730, trasmetterà il maso in eredità a suo figlio Ferdinando. Questi nel suo testamento del 1743, lasciava il detto maso alla sorella Anna Felicita, con l'obbligo di corrisponderne la metà al figlio Alberto Ferdinando Inama, e nominava suo erede universale il nipote Pietro Antonio Panizza, figlio della sorella Elisabetta e del cognato Filippo Antonio. Nello stesso anno Pietro Antonio cedeva il maso alla famiglia Thun di Castel Bragher. Evidentemente fra gli eredi ci fu qualche accomodamento, visto che secondo il testamento Pietro Antonio non avrebbe avuto la disponibilità del maso. I Panizza per coltivare i terreni si avvalsero di un masadore, l'ultimo dei quali, come citato nel documento di compravendita fu Vittore Tamè. Non sappiamo se Vittore abitasse nella casa del maso e siccome nel documento è stata omessa la paternità, non conosciamo nemmeno se fosse stato figlio di Simone Antonio oppure di Giorgio, essendo  entrambi i Vittore cronologicamente compatibili. Da vari documenti è emerso il fitto rapporto intrattenuto dai Panizza con il paese di Dercolo dove essi possedevano svariati beni. Potrei quindi azzardare l'ipotesi che Antonio Endrizzi di Dercolo, capostipite della nuova linea Endrizzi a Dermulo, fosse qui giunto come masadore dei Panizza. A Dermulo si tramanda che nella casa n. 7, si tenessero dei processi e che i suoi scantinati fossero adibiti a prigione. Non so fino a che punto la notizia sia affidabile, ma la storia ci insegna che qualcosa di vero in questi "si dice" c'è sempre. Considerando che la casa fu dei Thun di Castel Bragher, non si può escludere che i proprietari, che erano pure regolani maggiori, la utilizzassero come sede per dirimere le cause o i contrasti che fossero sorti nella comunità. E’ ipotizzabile pure che negli avvolti della casa venissero provvisoriamente immagazzinate le decime che i Thun raccoglievano a Dermulo, e chissà, magari rinchiusa qualche persona in attesa di processo. I Thun dopo la compera del maso, insediarono come manènte tale Antonio Endriocher, originario di Senale. L'Endriocher abitò la casa del maso e acquistò in tempi diversi anche la contigua casa n. 8, dove abitarono i suoi discendenti dopo che i Thun alienarono i loro possessi in paese. Nel 1782 Giovanni Vigilio Thun fu aggregato come convicino alla comunità di Dermulo, tramite l'assenso espresso in pubblica regola di tutti gli aventi diritto. Con questo riconoscimento Giovanni Vigilio Thun, poteva avere il godimento dei diritti e l'aggravio dei doveri come tutti gli altri vicini, e poteva ricevere l'avviso della convocazione della regola, presso la casa del suo maso. La famiglia Endriocher fu tenutaria del maso per due generazioni, fino alla vendita avvenuta intorno al 1840 da parte di Arbogasto Thun. L'alienazione però non venne fatta in blocco come in precedenza, ma i singoli beni furono ceduti ad altrettante persone. Gli Endriocher già da un po' alloggiavano nella casa n. 8 e la casa Thun rimase semidisabitata per qualche anno. Abbiamo notizia che nel 1830 vi risiedeva una certa Maria, detta "orfana", oppure "figlia di genitori anonimi". Di lei si sa che fu impiegata durante l'epidemia di colera del 1836 come lavandaia, ma la ragione per cui abitasse nella casa Thun, rimane sconosciuta. Nel 1850 la casa fu acquistata da Gioseffa vedova di Lorenzo Eccher originario di Lauregno. La famiglia Eccher abitava comunque già nella casa sicuramente da qualche anno, nel 1847 e 1848 esistono evidenze documentali. Nel 1858 veniva rettificata la vendita e specificato che la casa era divisa a metà fra i quattro figli maschi di Lorenzo. Per la prima metà  stipulò il contratto Andrea, per se e per il fratello Felice, per la seconda, Filippo per se e per il fratello minore Lorenzo. Qualche anno dopo ci fu un aggiustamento per il quale Felice acquisì la parte del fratello Andrea. Filippo fece altrettanto con quella del fratello Lorenzo che nel 1883 emigrò in Brasile con tutta la famiglia. I documenti di tali transazioni non ci sono pervenuti. La parte di Felice posta a sud, dopo la sua morte avvenuta nel 1882, passò ai suoi due figli Enrico e Francesco. Enrico in seguito cedeva la sua parte al fratello Francesco ed acquisiva, come si può vedere sotto, una parte della confinante casa n. 8. La parte di Francesco (comprendente anche qualche locale della casa n. 8) nelle divisioni del 1902 fu così descritta: piano terra: metà del portico verso mattina, con l’onere di dare il passo alla prima porzione per recarsi alla propria cantina il cui uscio sarà aperto a comuni spese delle due prime porzioni. Metà della cantina a mezzodì, stalla sotto la stufa assegnata a questa porzione, metà del cortile a mezzodì della stalla; secondo piano: metà dell’aia prospettante a mezzodì, stufa sopra la stalla assegnata a questa porzione; terzo piano: una cucina sopra quella della prima porzione, camera sopra la propria stufa con antane e coperto fino all’aria sopra la propria aia, cucina e camera. Con onere di passo verso la porzione prima per recarsi al secondo piano della larghezza della scala esistente per andare al terzo piano. Da Francesco quindi, la casa passò ai figli Narciso che emigrò in Argentina e Gisella che vi visse nubile fino alla sua morte avvenuta nel 1961. Nel 1963 la casa fu acquistata dalle sorelle Cappello di Cles che già possedevano la casa che fu di Filippo Eccher. La parte di Filippo, localizzata a nord, fu ereditata nel 1919 dal figlio Luigi (el Luisi Tochèl) che visse celibe. Dopo la sua morte avvenuta nel 1955, la casa passò in eredità alla sorella Maria che era maritata a Cles con Celestino Cappello e quindi alle sue figlie. Queste poi negli anni Settanta del Novecento, la vendettero a Bruno Arragone. Oggi fra i proprietari della casa troviamo anche Enrico Panizza, discendente degli antichi possessori.

 

LA CASA N. 8

Osservando la fotografia qui sotto, si può notare dalla posizione delle finestre, il diverso livello dei piani fra la parte destra e la parte sinistra. Questo disallineamento ci fornisce la prova che le due parti furono costruite in momenti differenti. Ritengo che la parte a sinistra nella foto, cioè quella posta a nord sia quella più recente. La caratteristica è evidenziata anche nella descrizione catastale della porzione sud-ovest della casa, definita mezzopiano. Il più vecchio proprietario di cui abbiamo notizia è Antonio figlio di Marino III che intorno al 1630 occupava già la casa con la sua famiglia. Dal matrimonio nacquero due femmine, Marina e Lucia che presero marito rispettivamente Tommaso fu Giobatta Massenza e Antonio Mendini figlio di Giacomo I. Da un documento del 1663 apprendiamo che la casa era giunta nelle disponibilità di Antonio Mendini. Nel 1743 nell'atto di compravendita fra i Panizza e i Thun dell'attigua parte di casa è citato come confinante verso ovest, Giacomo fu Giacomo Mendini. Giacomo fu l'erede universale del cugino Antonio II, per cui in questo modo la casa pervenne nelle sue mani.
Nel 1745
Giacomo Mendini nel suo testamento assegnava la casa al figlio Giacomo Antonio dimorante a Sanzeno. Dopo la morte di Giacomo Antonio, la casa pervenne in eredità ai suoi figli Giacomo Antonio e Michele che nel 1777 la alienarono rispettivamente ad Antonio Endriocher e allo zio Romedio Maria Mendini. Antonio Endriocher, originario di Senale, risiedeva nella contigua casa dei Thun, dei quali fu masadore fin dal 1743. La compravendita fra Giacomo Antonio Mendini e Antonio Endriocher fu però regolarizzata ufficialmente solo nel 1791, si disse per "la poca salute del venditore e la ritrosia dello stesso Mendini di portarsi da Sanzeno a Dermulo". In seguito l’Endriocher acquisterà anche la parte di Romedio Maria Mendini, così da risultare nel catasto del 1780, unico proprietario di questa parte di casa che era accreditata di una superficie di 51 Pertiche. Dopo la morte di Antonio Endriocher avvenuta circa nel 1794, la porzione di casa passò al figlio Giacomo e da questo, circa nel 1822, ai suoi due figli Giuseppe e Giacomo. Intorno al 1840 poco prima della vendita da parte Thun della casa n. 7, i fratelli Giuseppe e Giacomo Endriocher, dovettero lasciare il loro incarico di masadori e trasferirsi nella loro casa attigua. E' interessante notare come la casa n. 8 fosse priva di un orto in proprietà. Come già visto questa mancanza risaliva al 1552 di conseguenza non lo possedevano i Mendini nel 1745 e nemmeno gli Endriocher che però potevano usufruire di quello della casa n. 7. Nel 1780 la situazione rimaneva immutata e bisognerà aspettare fino a circa il 1840 perchè Giacomo Endriocher acquisti una porzione di orto da Silvestro fu Baldassarre Inama, corrispondente alla p.f. 159. Nel 1848 Giacomo Endriocher moriva a Vigasio nei pressi di Verona senza disposizioni testamentarie, per cui i suoi beni fra i quali la casa, venivano aggiudicati ai due figli Orsola e Celeste. L'anno successivo avvenne la suddivisione della casa fra Celeste, assistito dal tutore Giovanni Inama e la sorella Orsola, per cui si assegnarono:

A Celeste: a piano terra: la metà del cortile, metà dell’orto, porzione di stalla verso mezzogiorno. Al secondo piano (ossia sopra al mezzopiano): comproprietà con la sorella e lo zio, delle scale, ponticello, cesso; la proprietà della stanza e cucina, e delle spreuze sopra i predetti.
A Orsola
: a piano terra: la metà del cortile, metà dell’orto, porzione di stalla verso settentrione; lo stabbio; comproprietà con fratello e zio, delle scale, ponticello, cesso e passaggio per l’aia e somasso. La proprietà di una camera a nord della cucina del fratello, la porzione di stabbio fra queste stanze e lo stabbio dello zio Giuseppe. La porta d’ingresso della corte in comune con lo zio, il fratello e gli Eccher. L'entrata quindi di questa parte di casa, definita secondo piano, era da nord-ovest attraverso il somasso.
Nel 1851 Orsola vendeva la suddetta porzione ereditata dal padre a
Giovanni Maria fu Giuseppe Tamè, così descritta: stabbio con stalla, orto, somasso, camera, e stradulli incorporati nella restante porzione di casa di suo fratello Celeste e coi fratelli Eccher figli del fu Lorenzo, come risultava dalle divisioni giudiziali, per la somma di 85 Fiorini Abusivi. L'esigua parte di casa destinata ad abitazione era localizzata a nord, verso il piazzale comunale.
Nel 1855 moriva celibe Giuseppe Endriocher detto Giosefin, che abitava al primo piano della casa, definito nel catasto come mezzopiano, per cui questa parte veniva ereditata dai nipoti Celeste, Orsola e dalle figlie della defunta Elisabetta, altra nipote. L'anno successivo questa porzione di casa fu venduta dai citati Endriocher a Andrea fu Lorenzo Eccher che stipulava il contratto anche a nome del fratello Felice per l'importo di 175 Fiorini. Celeste che era ancora minore fu tutelato nella vendita da Giovanni fu Romedio Emer. La casa confinava: a est con il compratore, a sud con Celeste Endriocher, a ovest con la strada comunale, a nord con Giovanni Maria Tamè. La casa era così costituita: cantina, stufa, cucina, metà del portico, sottotetto e tetto fino all’aria. Andrea Eccher poi cederà la sua quota al fratello Felice circa nel 1870, quando si trasferirà nella casa n. 23. Alla morte di Felice avvenuta nel 1882, l'uso della stufa al secondo piano, comperata da Giuseppe Endriocher, fu lasciata per volere testamentario alle due figlie Rachele Anna fino a quando fossero vissute nel nubilato. La rimanente casa pervenne ai figli Francesco, Giacomo e Enrico. Quest’ultimo ne divenne possessore esclusivo nel 1902 quando si era proceduto alla suddivisione effettiva. In quell'anno la parte toccata ad Enrico fu così descritta: piano terra: stufa, cucina e metà ideale del portico a mattina dei detti locali, metà della cantina posta a sera divisa con la porzione seconda, metà del cortile verso mezzodì. Secondo Piano: cucina sopra la propria stalla, metà dell’aia verso settentrione. Terzo piano: le antane soprastanti i locali assegnati o meglio in linea retta con la sua aia, con diritto di passo per la scala esistente nella seconda porzione.
Nel 1859
Giovanni Maria Tamè, già possessore dell’esigua parte di casa acquisita da Orsola nel 1851, acquistava per 250 Fiorini da Giovanni fu Romedio Emer, curatore di Celeste Endriocher, la porzione di casa confinante: a est con Gioseffa Eccher, a sud e a ovest con la strada e a nord con il compratore. La casa era composta al piano terra dal cortile e un avvolto a uso stalla, al primo piano (che in realtà era il secondo piano, cioè quello sopra il mezzopiano) una stufa e cucina e somasso in comune, sottotetto e tetto fino all’aria, nonché cesso e ponticello al primo piano (che era il secondo piano). Il Tamè per assicurare il venditore aveva sottoposto ad ipoteca la parte di casa comprata da Orsola nel 1851, confinante: a est con i fratelli Andrea, Felice e Lorenzo Eccher, a sud e ovest con la strada, a nord con Giovanni Maria Tamè. Nel 1859 Giovanni Maria Tamè possedeva gran parte della casa n. 8 ad esclusione del mezzo piano posseduto da Andrea e Felice Eccher. Nel 1889 dopo aver pagato le ultime rate alla curatela dell'assente Celeste Endriocher, tutelato da Eugenio Inama, venne tolta l'ipoteca dalla casa. Nel 1896 Giovanni Maria Tamè passava a miglior vita e la casa pervenne al figlio Giovanni. Quest'ultimo emigrava stabilmente negli Stati Uniti intorno al 1902, e la sua casa fu acquisita dagli Eccher. Nel 1925 la casa figurava intestata ai cinque figli di Eugenio fu Andrea Eccher: Candido, Riccardo, Lorenzo, Abramo e Paolo. Nel 1937 la casa passò nelle disponibilità di Domenico Zanon di Rabbi. Nel 1902 come detto sopra, i fratelli Eccher figli di Felice passarono alla divisione della sostanza abbandonata dal padre. La casa, che comprendeva anche la parte della casa n. 7 confinante con l'Androna, fu divisa fra i due figli Enrico e Francesco, mentre all'altro fratello Giacomo, assente perchè negli USA, furono assegnati alcuni terreni. Nel 1909 poi, Enrico iniziò la costruzione della sua nuova casa alle Braide, dove si trasferirà qualche anno dopo, lasciando libera la casa n. 8. In seguito quindi la casa fu concessa in affitto ad altre persone, per cui nel 1921 troviamo occupare tre stanze del primo piano, Luigi Endrizzi con la sua famiglia, (comunque già presente nella casa da almeno il 1907) mentre al secondo piano troviamo la famiglia di Giulio Stratta. Negli anni Trenta del Novecento fu poi acquistata da Domenico Zanon di Rabbi.

 

 

PERSONE EFFETTIVAMENTE PRESENTI NELLA CASA *

Anno 1550

Anno 1620

Anno 1670

Anno 1710

Anno 1780

Anno 1830

Anno 1880

Anno 1921

futura casa 7 Lucia Erlicher (v) casa 7

 Pietro Antonio Mendini

Antonio Endriocher (v)

casa 7 casa 7 casa 7

Valentino I Inama

Cipriano Inama (f)

Cipriano Inama

 Maddalena Inama (m)

 Giacomo Endriocher (f)

 Maria Endrizzi

Filippo Eccher

Luigia Brentari (v)

N.N. (m)

Antonio Inama (f)

Domenica Micheli (m)

 Francesco Mendini (f)

 Maria Endriocher (f)

 

Luigia Brentari (m)

 Luigi Eccher (f)

Marino III Inama (f)

Giacomo Inama (f)

 Nicolò Mendini (f)

 

 casa 8

Austano Eccher (f)

 Cipriano I Inama (f)

Valentino Inama

 Lazzaro Inama (f)

 

 

 Giacomo Endriocher

 Giuseppa Eccher (f)

Rosa Emer (v)

 

Ursula N. (m)

Giacoma Inama (f)

 

 

Margherita Martinelli (m)

Luigi Eccher (f)

Narciso Eccher (f)

futura casa 8 Marino Inama (f)

 M. Caterina Inama (f)

 

 

Orsola Endriocher (f)

Maria Eccher (f)

 Gisella Eccher (f)

Tommaso Pret

Giobatta Inama (f)  

 

 

Elisabetta Endriocher (f)

 

 

N.N. (m)

Maria Inama (f)

Marino Inama

 

 

M.Teresa Endriocher (f)

Lorenzo Eccher

 casa 8

N. Pret (f)

 

Domenica Magnani (m)

 

 

Anna Endriocher (f)

Maria Menapace (m)

Luigi Endrizzi

 N. Pret (f)

Bartolomeo Inama

 

 

 

Giuseppe Endriocher (fr)

Addolorata Eccher (f)

Maria Pancheri (m)

 

Angela Busetti (m) casa 8

 

 

 

Giuseppe Eccher (f)

Gabriele Endrizzi (f)

 

Lucia Inama (f)

Lucia Inama

 

 

 

Romedio Eccher (f)

Mario Endrizzi (f)

 

Agata Inama (f)  

 

 

 

 Emanuele Eccher (f)

Colomba Endrizzi (f)

 

 

Valentino III Inama

 

 

 

 

Maria Endrizzi (f)

 

 

Ursula Inama (S)

 

 

 

casa 8

Natalia Endrizzi (f)

 

 

Anna Inama (S)

 

 

 

Felice Eccher

 

 

 

 Lucia Inama (S)

 

 

 

Monica Inama (m)

Giulio Stratta (a)

 

 

 

 

 

 

Enrico Eccher (f)

Maria Stratta (m)

 

 

 

 

 

 

Rachele Eccher (f)

Giulio Stratta (f)

 

 

 

 

 

 

Francesco Eccher (f)

Italo Stratta (f)

 

 

 

 

 

 

Giacomo Eccher (f)

Argentina Stratta (f)

 

 

 

 

 

 

Anna Eccher (f)

Duilio Stratta (f)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Gio.Maria Tamè (v)

 

 

 

 

 

 

 

Giuseppe Tamè (f)

 

 

 

 

 

 

 

Massimino Tamè (f)

 

 

 

 

 

 

 

Oliva Tamè (f)

 

 

 

 

 

 

 

Giovanni Tamè (f)

 

 

 

 

 

 

 

Teresa Tamè (f)

 

     

 

 

 

 

 

* Per gli anni 1550, 1620 e 1670 le persone non sono quelle effettivamente presenti ma solo quelle di cui si è avuta contezza. Il nominativo sottolineato corrisponde al capofamiglia. Le seguenti abbreviazioni indicano i rapporti di parentela con il nome sottolineato: m sta per moglie, f. per figlio/a, fr per fratello, S per sorella, v per vedovo/a, p per padre, M per madre, s per suocero/a, n per nipote, z per zio, N per nuora e c per cognato/a. Per il 1780, i nomi dei proprietari provengono dal Catasto teresiano  presso l’A.S.T. Per il 1921 si è preso in considerazione il censimento di tale anno presso l’A.C.D.  Inoltre, e solo per questo anno, sono state evidenziate le persone assenti con la lettera a. Per gli anni rimanenti i nomi dei capifamiglia e/o il numero degli occupanti la casa, sono stati desunti da vari documenti consultati presso A.C.D., A.P.T. e A.D.T.

 

[1]  Da quel poco che sono riuscito a trovare su questo scultore, l'enciclopedia Treccani dice che Francesco Pietro Antonio Barbacovi era nato a Taio intorno al 1640. Si era formato a Salisburgo. Taio possiede alcune sue opere … due medaglioni con i busti della Vergine e di S. Giovanni Nepomuceno nella casa già Depero-Maurizi(?) (forse Maurizio?); un altro medaglione con la Madonna e il Bambino si può vedere sulla facciata d'una casa nella piazza del paese, davanti alla chiesa della Beata Vergine… nel castello di Bragher, non molto lontano da Taio, un bassorilievo rappresentante una Madonna con il Bambino…. Capolavoro dell'artista è il gruppo di Adamo ed Eva sopra l'altare della cappella del Crocifisso nel duomo di Trento. Il Barbacovi morì a Trento agli inizi del secolo XVIII. Negli Atti dei Notai, consultati presso l'ASTn, ho incontrato in tre occasioni un Pietro Antonio Barbacovi designato come scultore; una volta nel 1731 e due volte nel 1752. Nel 1739 all'atto di vendita di un terreno a Dermulo apparvero Silvestro Inama, suo figlio Giacomo Inama e Pietro Antonio Barbacovi maggiori di 25 anni,  prossimi parenti della venditrice Margherita Mendini. Anna Barbacovi, madre di Margherita era una sorella di Maria moglie di Giacomo Inama, e  pure dello scultore Pietro Antonio. Tutti erano figli del notaio Udalrico Barbacovi. Gli estremi cronologici non sono compatibili con una sola persona quindi probabilmente gli scultori Barbacovi erano due: Francesco e Pietro Antonio. A dire il vero il nome Francesco non trova riscontri in quel periodo.

[2]  La nobile famiglia Panizza di Taio, aveva proprietà in paese almeno dalla metà del Seicento. Nel 1671 Giovanni Antonio Panizza, in un documento della regola, veniva indicato come de Thaio convicini Hermuli, egli possedeva quindi a Dermulo il diritto di vicinato ed anche un'abitazione. Nell'ultimo ventennio del Seicento, suo figlio Pietro, possedeva delle frazioni abitative nella casa dei Cordini, in quella dei Mendini e molto probabilmente nella casa alla Crosara, futura n.2-3. Nel 1720 dopo diverse controversie, per le quali Pietro Lorenzo Panizza riteneva già di esserne in possesso,  la comunità di Dermulo gli concedeva il diritto di vicinato. Il Panizza asseriva che tale diritto era già stato concesso al suo avo Pietro, per cui ne avrebbe avuto l'uso anche lui che ne fu il coerede. Effettivamente Pietro Lorenzo aveva ragione, in quanto esiste il documento che comprovava questa concessione, ma probabilmente in quel momento non era reperibile per cui la comunità di Dermulo si fece pagare nuovamente per tale diritto . 

[3]  Hanns Inama Sternegg, nel libro Geschichte aller Familien Inama, afferma che nel 1503 circa, Marino Inama I, ereditava dal padre Gaspare I, la casa più tardi n. 2-3. In questa casa (nella Porzione E) vissero quindi senza ombra di dubbio, perchè comprovato anche da altri documenti, gli eredi di Gaspare II figlio di Marino I. Non risulta invece vi abitassero Antonio I, altro figlio di Marino I, ne tantomeno i suoi discendenti. Antonio I infatti non appariva fra i confinanti di una parte della futura casa n. 2-3 che Giacoma, vedova del notaio Vittore Inama, vendeva ad Anna Cordini nel 1554. Il motivo della non menzione di Antonio I, potrebbe essere dovuto al fatto che la parte di casa avita, ereditata dal padre Marino I, era passata in mano a Vittore Inama, ma probabilmente invece era perchè abitava nella porzione sud della futura casa n. 1.

 

 

 

Case numero: 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29-48

 

 

Case  Mappa delle case Introduzione Foto della Casa n.7_8