LA CASA n° 1 - casa dei Chilovi - casa Guelmi

(Oggi Via S. Giustina n.19 e Strada Romana n.2-4) P.E. 1

 


  
    IL MASO        

Chi in passato percorreva la via imperiale provenendo da Taio, la prima costruzione che incontrava entrando in paese era la futura casa n.1. Nel Trecento sicuramente si presentava come una casa isolata, ben diversa da come la vediamo oggi, ossia parte di un ampio caseggiato formato anche dalle case n. 4 e 2-3. La costruzione della futura casa n.4, avvenuta in tempi successivi rispetto alla casa 1 e alla casa 3 ha unito di fatto le case principali dando vita ad un grande colomello. E' logico pensare che queste espansioni costruttive addossate l'una all'altra siano state possibili, almeno in un primo momento, grazie ad accordi interni alla famiglia. Osservando oggi la casa n.4, possiamo farci un'idea di quella che doveva essere anche l'altezza delle case adiacenti, poichè ritengo che questa caratteristica nella casa n.4 sia rimasta immutata nel corso degli anni.
La casa n.1 attualmente ha un aspetto imponente, specialmente se la si osserva dalla sottostante via Strada Romana. Sul lato est presenta un arco di pietra per l'accesso al somasso e al primo piano, un'apertura di comunicazione fra locali è delimitata da massicci stipiti lapidei. Al piano terra esiste
un avvolto di considerevoli dimensioni, oggi adibito a piccolo "museo" privato della famiglia Cristoforetti. Osservando la mappa catastale del 1859, spicca l'irregolarità della pianta ed in particolare, oltre alla protuberanza sviluppata verso sud, si può notare la mancanza di una parte di costruzione sul lato nord-est, in corrispondenza della casa n.4. Il vicino orto infatti, si incunea fra le due case in modo rilevante. Non essendo questa particolarità oggi riscontrabile, in quanto nei pressi della casa n.4 esiste una porta d'entrata, si può concludere che ciò sia stata introdotta con la ristrutturazione eseguita da Lorenzo Brida nel 1899.  
Il notaio Gaspare II Inama figlio di Marino I è il più antico proprietario della casa sicuramente documentato. I suoi figli Antonio e Ercole ne entrarono in possesso invece dopo la morte del padre avvenuta nel 1554. E' molto probabile, però, che detta casa fosse già stata in possesso del nonno di Gaspare II, ovvero Gaspare I trovando appoggio in questa ipotesi da quanto affermato da Hanns Inama-Sternegg, ossia che "Marino I circa nel 1503 ereditava dal padre Gaspare I la doppia casa di sopra alla Crosara". Presumo che per doppia si intendessero due case, per cui  una indubbiamente era la casa n.
2-3, l'altra dovrebbe essere stata proprio la futura n. 1.
Possiamo quindi affermare con buone probabilità di non sbagliare che Gaspare I figlio di Inama, che abitava a Fondo assieme ai suoi tre figli Lorenzo, Battista e Marino I, avesse acquisito la casa da una persona sconosciuta verso la fine del Quattrocento. Ma non sarebbe nemmeno improbabile che lo stesso Marino I ne fosse stato il costruttore. Alla morte del padre Gaspare I quindi, come affermato da Hanns Inama-Sternegg, la casa a Dermulo fu eredità dal figlio Marino I che con l'occasione ritornò in paese. Dei tre figli di Marino I, sicuramente Gaspare II e Antonio I (detto del Marin) abiteranno nella casa e più specificatamente Gaspare II nella porzione a nord e Antonio I a sud; mentre Valentino I, l'altro figlio, si era trasferito nella casa alla Crosara, dove fino ai primi anni del Settecento vissero i suoi discendenti. Dopo la morte del notaio Gaspare II avvenuta nel 1554 la sua parte di casa sarà occupata dagli eredi, ovvero i figli Ercole e Antonio II. Quest'ultimo era notaio e verso il 1580 lasciò Dermulo per abitare a Lavis. Non sono in grado di dire se il notaio Antonio II avesse ereditato una parte della futura casa 1, o se invece, la sua quota ereditaria riguardo alle case, fosse circoscritta a parte della futura casa n.4.
Antonio I figlio di Marino I, invece morì intorno al 1577 lasciando dietro di se solo una figlia di nome Margherita che già dal 1550 era maritata con Romedio Mendini. E' molto probabile quindi che Margherita avesse ceduto la casa ereditata dal padre ai suoi cugini Ercole e Antonio II. In ogni caso a ridosso del Seicento, Ercole risultava l'unico proprietario della casa n.1. Ercole ebbe solo un figlio maschio di nome Gaspare III che intraprese la vita religiosa e due femmine Maddalena e Margherita. Ercole ed il figlio Gaspare che nel frattempo era diventato pievano di Fassa, morirono a poca distanza l'uno dall'altro e il loro cospicuo patrimonio fu suddiviso fra le due sorelle Maddalena e Margherita che già da tempo avevano preso marito rispettivamente nelle persone di Simone Cordini e Giacomo Chilovi, entrambi di Taio. Nel 1615 don Gaspare nel suo testamento, aveva disposto che una stanza con due letti, posta nella sua casa, fosse messa a disposizione dei poveri, ai quali doveva essere corrisposto anche il vitto. Il legato fu commutato in un obbligo da parte degli eredi, di corresponsione alla chiesa di Taio e di Dermulo di due somme di denaro, rispettivamente di 120 e 200 Ragnesi, in compenso per le quali dovevano essere celebrate un totale di 36 messe perpetue.
Margherita, almeno per quanto riguarda il patrimonio immobiliare, sembra sia stata privilegiata rispetto alla sorella, in quanto in mano sua e del marito Giacomo, pervenne la maggior parte della sostanza che fu del padre Ercole. Probabilmente Maddalena fu indennizzata con una somma di denaro. Il Chilovi vivrà con la moglie Margherita nella futura casa n. 1, e dal loro matrimonio vedrà la luce solo un figlio che riceverà il nome dell'illustre zio pievano, Gaspare. A sua volta Gaspare Chilovi prese in moglie una Lucia Aliprandini di Livo che lascerà vedova in giovane età nel 1634. Benchè dal matrimonio fossero nati tre figli, sopravvisse solamente Anna Maria che nel 1646 era ancora in età pupillare e quindi le era stato nominato tutore lo zio materno,  il notaio Aliprando Aliprandini di Livo. Fu probabilmente per mezzo di quest'ultimo che Anna Maria Chilovi conobbe e convolò a nozze con il notaio Simone Guelmi di Scanna. Come succedeva in quegli anni, la figura femminile fu presto obliata e i possessi di Anna Maria in quel di Dermulo furono identificati con il nome del marito, per cui il maso fu detto "Guelmi" e la sua origine di conseguenza rimase sconosciuta per molto tempo.
[1] La prima presenza documentata dei Guelmi in paese è del 1662, quando Simone appariva come confinante "uxorio nomine" di un bosco alle Sort. La casa nel 1678 era ancora denominata "casa dei Chilovi" per cui la presenza Guelmi a Dermulo non era ancora del tutto consolidata.
Nel 1680 troviamo indirettamente la prima testimonianza della casa, in quanto nella saletta della casa degli eredi Guelmi di Scanna, Silvestro Inama di Dermulo aggiungeva un codicillo al suo precedente documento testamentario. Alla redazione del documento erano presenti come testimoni
Vittore Massenza e Gregorio Endrizzi, e anche se non specificato, uno dei due potrebbe essere stato affittuario dei Guelmi, o quantomeno loro uomo di fiducia.
Come altre famiglie nobili che avevano proprietà in paese, anche i Guelmi non vi risiederono, delegando ad altre persone il compito di lavorare i campi e mantenere la casa in
buono stato. Per tale motivo avevano stipulato delle locazioni, la prima delle quali di cui ci è giunta notizia è da far risalire agli ultimi anni del Seicento, quando troviamo abitare nella casa il nobile Giacomo Mendini II. Alla morte di Giacomo, avvenuta nel 1717, gli successero i due figli Giacomo III e Giacomo Antonio. Quest'ultimo moriva nel 1735, e qualche anno dopo, presumibilmente nel 1738, il fratello Giacomo Mendini III lasciava la casa del maso per stabilirsi nella futura casa n. 23. A Giacomo Mendini subentrava come locatario del maso, Giacomo fu Michele Inama fino al 1749. Giacomo Inama però nel 1742 non fu in grado di corrispondere il canone di  affitto all'allora proprietaria Felicita Inama, vedova di Matteo Guelmi, per cui gli fu imposto di depositare tutte le fruggi, e cioè il fieno, il formento e la segalla  presso (Giovanni) Giacomo Inama Rodaro o Giacomo Mendini. Non conosciamo l'esito della questione ma probabilmente Giacomo fu in grado di onorare il suo debito, in quanto rimase locatario fino al 1749. Nel giugno del 1749 Felicita Inama di Fondo, vedova di Matteo Guelmi, come tutrice dei suoi figli Alberto e Nicolò, locava perpetuamente per 19 anni il maso a Bartolomeo Mendini. In tale occasione abbiamo la seguente descrizione: casa di muri fabbricata e di scandole coperta detta casa Guelmi, composta dalle seguenti comodità: a basso caneva a rivolto, stalla a rivolto, stanza a soffitta, portico a rivolto con suo cortile cinto da muri, in alto ascendendo per una scala di pietra, una saletta a rivolto, stufa con stanza di dentro, cucina a rivolto con altra stufa ivi aderente, e di sopra il somasso, 3 camere, il stabbio, e stradughe col suo coperto fino all’aria. Ancora nel 1780 dal catasto teresiano, Bartolomeo Mendini risultava possessore del maso, in quanto livellario dei signori Guelmi e la casa era accreditata di una superficie di 90 Pertiche. Dopo Bartolomeo Mendini, che poco dopo il 1780 si era trasferito nella casa n. 23, divenne affittuario il figlio Matteo che abitò nella casa con la famiglia fino al 1806. In quell'anno Matteo comprava da Giovanni Battista fu Giacomo Inama abitante a Brescia, una porzione della casa n. 3, dove poco dopo si sarebbe trasferito. Il 18 aprile 1806 l’abate Giovanni Nicolò de Guelmi, priore di San Romedio, per se e a nome dei suoi nipoti e di suo fratello, vendeva a Giovanni Antonio Martini, chirurgo di Revò abitante a Taio,[2] il maso situato a Dermulo, per la somma di 3000 Ragnesi. Del maso faceva parte: una casa dominicale e rurale con molte comodità, di muri murata e legni fabbricata e di tetto coperta esistente nella estremità della villa di Dermulo verso mezzodì cui 1 2 il fondo e la strada imperiale. Un fondo vicino alla casa, prato, arativo, gaggio ai Plani in parte su Coredo e parte Dermulo, Gregiot, Cavaudem, Braide, Orto, una sorte alle Fasse, una sorte alle Sorti, una sorte ai Pradi, una sorte al Placego. Tutto con l’obbligo di livello ossia gafforio di quarte 5 di segala, che si pagano alla Mensa e con diritto di vicinato a Dermulo. Nel 1813 Giovanni Antonio Martini, per assicurare un patrimonio al chierico Carlo suo figlio, gli assegnava, oltre ad alcuni terreni del maso, anche una porzione di questa casa e cioè: la cantina, la bottega, stufa e cucina confinante a sera con la strada pubblica e da tre parti il padre. Nello stesso anno, a quanto risulta da una registrazione parrocchiale, abitava a Dermulo nella casa Martini, Stefano Panizza con la moglie Domenica Largaiolli che potrebbe essere stato il primo manente del maso. Dopo il Panizza, ma a partire solamente dal 1830, troviamo nella casa Pietro Endrizzi. Quando l'Endrizzi nel 1837 lasciò Dermulo per trasferirsi a Banco fu sostituito fino al 1841 da Antonio Melchiori. Intorno al 1850, il vecchio proprietario, Giovanni Antonio Martini passava a miglior vita, per cui tutto il maso diveniva proprietà di suo figlio Carlo, sacerdote oramai stabilitosi a Trento. Nel 1858 il cortile posto a ovest della casa fu teatro di un efferato omicidio per il quale venne condannato Domenico Endrizzi di Dermulo. In tale occasione la casa si dice appartenere a Emilio Martini abitante a Taio (nel 1871 si dice abitante a Salorno), probabilmente fratello di don Carlo. Don Carlo passava a miglior vita nel 1871 e il maso perveniva in mano ai suoi eredi, Emilio Martini di Salorno e i fratelli Achille, Ernesto e Carolina Zuech di Lana. Gli eredi vendettero già nello stesso anno
per l'importo di 2200 Fiorini, la casa ed alcuni campi a Lorenzo Brida di Dermulo.[3] Lorenzo che prima abitava nella casa n.23, si trasferì quindi con la famiglia nella casa appena acquistata. Siamo a conoscenza che nel 1899 il Brida stava procedendo alla ristrutturazione della casa, quando fu bloccato dalla rappresentanza comunale per un innalzamento dei muri non autorizzato. Presumibilmente si trattava della porzione di casa verso il cortile Tamè, che ancora fino a pochi anni fa mostrava una parete costruita con laste rosse alla quale mancava la rifinitura. Nel 1921 Giacomo Brida abitava al secondo piano con la sua famiglia e il fratello Celeste, mentre il fratello Domenico occupava con la famiglia il primo piano.
Negli anni Cinquanta del XX secolo, infine Lorenzo Brida, nipote del sunnominato Lorenzo, vendeva la sua parte di casa ad Alessandro Manzoni, il quale successivamente la cedeva ai figli di Guido Cristoforetti di Taio, i cui eredi la posseggono tuttora.

 

 

PERSONE EFFETTIVAMENTE PRESENTI NELLA CASA *

Anno 1550

Anno 1620

Anno 1670

Anno 1710

Anno 1780

Anno 1830

Anno 1880

Anno 1921

Gaspare Inama

Giacomo Chilovi

Vittore Massenza?

Giacomo Mendini

Bartolomeo Mendini

Pietro Endrizzi

Lorenzo Brida

Giacomo Brida

Pedrina N. (m)

Margherita Inama (m)

Gregorio Endrizzi?

Maria N. (m)

A. Maria Springhetti (m)

Domenica Berti (m)

Marianna Giovannini (m)

Anna Eccher (m)

Antonio Inama (f)

Gaspare Chilovi (f)

Giacomo Mendini?

Giacomo Antonio Mendini (f)

Giacomo Mendini (f)

Giacomo Endrizzi (f)

Celestina Brida (f)

Maria Brida (f)

Ercole Inama (f)

Lucia Aliprandini (N)

 

Giacomo Mendini (f)

Mattia Mendini (f)

 Maria Endrizzi (f)

Giacomo Brida (f)

Marianna Brida (f)

Giovanni Inama (f)    

Barbara Mendini (f)

Teresa Mendini(f)

 

Domenico Brida (f)

Martino Brida (f)

     

 

 

 

Barbara Brida (f)

Celestina Brida (f)

Antonio Inama

   

 

 

 

 

Lorenzo Brida (f)

N. Inama (m)

   

 

 

 

 

Celeste Brida (fr)

Margherita Inama (f)

   

 

 

 

 

 

Marino Inama (f)

   

 

 

 

 

Domenico Brida

Massenzio Inama (f)    

 

 

 

 

Virginia Inama (m)

 

   

 

 

 

 

Emma Brida (f)

 

   

 

 

 

 

Natalina Brida (f)(a)

 

   

 

 

 

 

Dorotea Brida (f)(a)

 

   

 

 

 

 

Angelina Brida (f)

 

   

 

 

 

 

Francesco Brida (f)

 

   

 

 

 

 

Guglielmo Brida (fr)

 

   

 

 

 

 

 

* Per gli anni 1550, 1620 e 1670 le persone non sono quelle effettivamente presenti ma solo quelle di cui si è avuta contezza. Il nominativo sottolineato corrisponde al capofamiglia. Le seguenti abbreviazioni indicano i rapporti di parentela con il nome sottolineato: m sta per moglie, f. per figlio/a, fr per fratello, S per sorella, v per vedovo/a, p per padre, M per madre, s per suocero/a, n per nipote, z per zio, N per nuora e c per cognato/a. Per il 1780, i nomi dei proprietari provengono dal Catasto teresiano  presso l’A.S.T. Per il 1921 si è preso in considerazione il censimento di tale anno presso l’A.C.D.  Inoltre, e solo per questo anno, sono state evidenziate le persone assenti con la lettera a. Per gli anni rimanenti i nomi dei capifamiglia e/o il numero degli occupanti la casa, sono stati desunti da vari documenti consultati presso A.C.D., A.P.T. e A.D.T.

 

 

[1] La notizia determinante per poter scoprire gli antichi proprietari del maso è risultata essere il nominativo del confinante, verso sud, di un terreno posto al Grezot risultante da un documento del 1646, ovvero "eredi di Gaspare Chilovi". Quel terreno qualche anno dopo figurava infatti fra quelli posseduti dal maso Guelmi. Importante si è rivelato anche l'orto Guelmi nella zona denominata ai Orti, oggi contraddistinto dalla p.f. 157. L'orto prima del 1552 formava un'unica entità con la p.f. 158 ed apparteneva a Pietro Pret che abitava nella casa poco sopra, la futura n. 8. Per un debito che il Pret aveva con il maestro muratore Rocco de Redis di Tassullo, il notaio Gaspare Inama, tutore del "mentecaptus" Pietro Pret, cedette al de Redis tale orto per il prezzo di 24 Ragnesi. Poco dopo l'orto fu acquisito dallo stesso notaio Gaspare. Alla morte di Gaspare l'orto fu diviso fra gli eredi, per cui la parte sud, toccò ad Antonio e la parte nord ad Ercole. Poi la parte di Antonio pervenne in mano agli Endrizzi mentre quella di Gaspare come abbiamo visto, ai Guelmi.

[2] La casa ed il suo terreno attiguo facevano parte dello “stipendio” istituito dal sacerdote Giovanni Antonio Martini di Revò (1702-1769), zio paterno dell’illustre giurista Carlo Antonio Martini. (V. Roberto Pancheri “Carlo Antonio Martini Ritratto di un giurista al servizio dell’Impero” pag. 40.

[3]  I terreni furono i seguenti: campo annesso alla casa con gelsi e altre piante da frutto, (p.f. 1 e 2). Arativo vignato (p.f. 784) nel luogo detto al Maso Martini. Prato e bosco al Grezzoto (p.f. 144, 145, 146). Prato ai Regai pertinenze di Banco. Nel medesimo anno 1871, vendevano a Giuseppe fu Giovanni Endrizzi, un terreno alle Braide (p.f. 829). Nel 1873 Giovanni Tamè acquistava un terreno alle Braidele (p.f. 8). Nel 1874 Lorenzo Brida acquistava due boschi alle Sort p.f. 752 e 759.

 

 

 

 

Case numero: 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29-48

 

 

Case  Mappa delle case Introduzione Foto della Casa n. 1