I VECCHI MASI NEL PAESE DI DERMULO

 

 

 

MASO DI CASTEL VALER MASO GUELMI MASO INAMA DI FONDO MASO INAMA DI TAIO
MASO DEI CASALI MASO BETTA MASO PANIZZA  

 

 

Con il termine maso, si intendeva un insieme di beni costituiti da casa e terreni, (a volte solo terreni) di cui erano proprietari persone solitamente benestanti e dai quali, per svariati motivi, veniva concesso in locazione a terzi. I proprietari stipulavano dei contratti essenzialmente di due tipi, locazioni perpetuali e locazioni temporali. Nel primo caso, dette anche "investiture" o "livelli", erano caratterizzate nell'avere durate molto lunghe, tipicamente di 19 o 29 anni, al termine dei quali, si potevano rinnovare per altrettanto tempo. Era tipica di questa locazione, la procedura che alla prima stipulazione o al rinnovo, prevedeva il "tocco di mano" da parte del locatore e la corresponsione di una libbra di pepe da parte del locatario. I beni posseduti a livello perpetuo, dopo la morte del locatario, venivano solitamente riconcessi ad un membro della sua famiglia. Così facendo la locazione proseguiva per decenni se non addirittura per secoli, come ad esempio per il maso di Castel Valer. Dietro corresponsione di una somma detta "di affrancazione", poi, i beni potevano divenire effettiva proprietà del locatario. La locazione temporale, invece, aveva una durata variabile, solitamente di 3, 5, 7 o 10 anni, al termine dei quali poteva essere rinnovata senza ulteriori aggravi. I locatari quindi abitavano nella casa del maso assieme alla famiglia, traendo il sostentamento dai terreni e corrispondendo al proprietario un canone in denaro e/o in prodotti. Nelle locazioni perpetuali, a volte i locatari erano più d'uno, formando così un "consorzio", di cui comunque, solitamente solo un loro rappresentante presiedeva al rinnovo dell'investitura. Quest'ultima fattispecie la incontriamo nelle locazioni del Maso dei Casali.
Riguardo ai masi di recente formazione, ho scoperto il meccanismo semplice ed abbastanza scontato della loro genesi. Tale origine si potrebbe traslare anche ai masi più antichi, sulla cui nascita non ci sono pervenute altre notizie. Ho potuto constatare che un maso prendeva origine nel momento in cui passava a miglior vita un possidente senza discendenza mascolina. Altro requisito era la presenza di una sola figlia (o al massimo due) che permetteva di non frazionare le proprietà e che questa prendesse in marito una persona estranea alla comunità. I beni infatti, venivano ceduti in massa a qualche persona facoltosa che poteva permettersi l'acquisto. Una volta perfezionata la compera, il nuovo proprietario, insediava nel maso un così detto masadore. La persona veniva scelta fra le conoscenze del proprietario e, molto spesso, era un "foresto" che si accasava nel maso con la famiglia. A differenza dei forestieri arrivati in paese in seguito al matrimonio con una ereditiera, i "masadori foresti" non acquisivano il diritto di vicinato. Se i loro nomi apparivano nelle delibere della regola, era perchè fungevano da testimoni, oppure rappresentavano i loro padroni, che invece erano in possesso di tale diritto. Alla scadenza del contratto, se la locazione non veniva rinnovata, non era raro che l'ex masadore foresto si accasasse in paese. Anche le locazioni temporali, se il padrone rimaneva soddisfatto dell'operato del masadore, potevano essere rinnovate allo stesso individuo per più volte e, anzi, qualche famiglia rimaneva nel maso per più generazioni.
Caratteristica dei masi era anche la continuità del possesso e la quasi totale assenza di compravendite staticità dei vari terreni a loro ascritti. Per questo motivo l'individuazione degli appezzamenti sul territorio di Dermulo è risultata abbastanza agevole in un ampio spazio temporale, utilizzando il toponimo, i nomi dei confinanti, nonchè il numero di particella fondiaria.
Già nel XIII secolo a Dermulo sono documentati quattro masi di proprietà vescovile: il maso di Horabona, il  maso di Martino Bozolo, il maso di Fugaza e il maso dei Casali. Ma solo di quest'ultimo, l'unico a contemplare fra i suoi beni una casa, è stato possibile seguirne con sicurezza la storia fino ai giorni nostri. Già all'epoca, il maso dei Casali risultava il più fornito di terreni, ma nelle investiture di fine Quattrocento, invece, ne appariva molto impoverito. Degli altri masi che risultavano privi di casa e con pochissimi terreni di pertinenza, non si sono più avute notizie.
Un altro antico maso è quello di Castel Valer, dato in locazione dalla famiglia Mendini che lo possedette a partire dalla metà del Trecento per ben cinquecento anni.

Nel 1461, un tale Giovanni di Coredo, riceveva in locazione dalla mensa vescovile un maso a Dermulo detto "di Lanzono". Sicuramente il  maso era di ridottissime dimensioni, a giudicare dall'esiguo canone di solo due caponi che il locatario doveva corrispondere. Forse Lanzono, il vecchio proprietario di cui abbiamo solo un'altra citazione come confinante in un documento del 1380, aveva lasciato al vescovo i suoi averi. Sul motivo di questo passaggio si possono solo fare delle congetture. Fra le ipotesi più accreditate propendo per un incameramento a favore della mensa a causa della situazione debitoria del vecchio proprietario, oppure una devoluzione volontaria da parte di Lanzono. La mensa poi, come era solita fare in questi casi, dava in affitto tali in beni con la formula della locazione perpetua. Il maso di Lanzono dopo il 1461 non appare più nelle locazioni gafforiali, per cui non siamo a conoscenza del suo destino. Sembra probabile però che il Giovanni "carpentiere" di Coredo, fosse un progenitore del notaio Antonio Gatta e che quindi il maso sia poi finito nelle sue mani. Non apparendo più nel gafforio, sarebbe quindi plausibile che il Gatta si fosse affrancato. Siamo certi che le proprietà del Gatta a Dermulo si trovassero a monte della casa di Castel Valer, per cui possiamo individuare l'antico maso di Lanzono, nel primo nucleo della casa n. 13-14 e in una parte dell'adiacente Clesura.

Nel 1346 il documento mediante il quale veniva concessa la regolaneria di Dermulo a Stefano fu Corrado di Malgolo, fu redatto nella casa a Dermulo posseduta da Belvesino fu Corrado di Tassullo. Sicuramente Belvesino non abitava a Dermulo e non si può escludere che assieme alla casa possedesse anche dei terreni, quindi un maso, e in tal caso doveva esserci qualche persona che se ne occupava. Qui le ipotesi possono essere due, ovvero, la prima, la più plausibile, che tutti i beni fossero pervenuti ai dinasti di Castel Valer; la seconda che la persona conduttrice del maso fosse Delaito fu Bonaconta di Dermulo, che in seguito poi, ne sarebbe divenuto il proprietario. Successivamente la sostanza sarebbe poi passata ai Cordini per mezzo del matrimonio di un loro membro con l'ereditiera Margherita "Delaiti".
Alcuni masi possedevano terreni anche fuori dal perimetro catastale di Dermulo, specificatamente a Ciavauden sul territorio di Sanzeno. Per tali realtà non sono stato in grado di seguirne la storia in modo esaustivo.

 

 

IL MASO DI CASTEL VALER

 

Di questo maso si hanno le prime notizie nel 1381, quando Guarimberto Thun capitano di Castel Valer, rinnovava la locazione perpetuale a Odorico fu Nascimbene, di una casa e alcuni terreni nel territorio di Dermulo. Nel documento si faceva riferimento ad una precedente investitura, nella quale il maso era stato locato a Nascimbene padre di Odorico, per cui possiamo far risalire il primo contratto in assoluto, agli inizi del Trecento. E' risultato da vari indizi che Nascimbene aveva posseduto e in precedenza abitato la vicina casa  n. 22, detta "casa vecchia dei Mendini" e poi si era trasferito nella casa n. 20-21 a seguito della locazione. Nel 1340, Nascimbene risultava avere in locazione da Enrico di Castel Valer, un parte dei prati in Feuril (odierna zona dei Pradi), che non figuravano fra i beni facenti parte del maso. Il contratto comunque ci illumina sul consolidato rapporto che esisteva fra Nascimbene e i signori di Castel Valer. La casa del maso è da riconoscersi nella porzione a sud della casa più tardi numerata con il 20-21. Risulta interessante riportarne i confini della predetta casa nel 1381, ovvero la via comune da una parte, il domino Guarimberto di Tono da due parti, e donna Francesca. Tali confini, ci fanno capire che la casa di Castel Valer era sicuramente quella più tardi numerata con il 21 e che, assodato che la via comune era a valle della casa, donna Francesca possedeva il terreno (o forse la parte di casa) a nord, mentre Guarimberto, il terreno a nord del Pissaracel e quello a ovest della casa. L'anno precedente Guarimberto aveva affittato ad Odorico tre suoi terreni a Dermulo, uno dei quali nella località a San Giacomo che dai confini, si intuisce essere il futuro terreno alla Clesura. I terreni oggetto della locazione perpetuale del 1381, erano localizzati a Poz, a Ronc, “in Vila Bernaya e alle Sort. I primi due toponimi e i relativi terreni, grazie alle investiture più recenti, sono stati agevolmente localizzati. Il toponimo “in Vila Bernaya”, apparente solo nella prima investitura, è risultato un po' strano, essendo nelle locazioni successive sostituito con "Val Merlai", (forse una storpiatura di Vila Bernaya?). Val Merlai si riscontra ancora nel 1641 e confrontando altre notizie, ho accertato senza ombra di dubbio che si trattava del precursore del luogo alle Doi Vie. Il terreno alle Sort, sembrava di facile collocazione, ma così non è stato. L'unica terra arativa presente nella zona delle Sort, è,  ed era, quella contraddistinta dalle p.f. 755, 756 e 757. In tutte le investiture, dalla prima fino all'ultima, i confinanti rimangono gli stessi, ossia la chiesa di Dermulo, la via comune e gli eredi del maestro Martino di Coredo. Risulta chiaro che, i confinanti dell'arativo alle Sort, al momento del rinnovo dell'investitura non sono mai stati verificati e quindi sono stati ricopiati ogni volta tal quali dal documento precedente. Questa situazione ha reso un po' difficile l'esatta localizzazione del terreno, anche perchè, l'unico confinante certo, la chiesa di Dermulo, non risulta mai aver avuto possessi in questa zona. Nel Catasto Teresiano tutti i terreni nella località Sort sono classificati come "bosco", mentre nel catasto di metà Ottocento le p.f. 755, 756 e 757 appaiono chiaramente come arativo. Per questo motivo mi ero convinto che il toponimo Sort, fosse invece riferito alla zona di Santa Giustina, dove in un documento del 1668 si riscontra il luogo "alle Sorti di Santa Giustina", e dove sicuramente la chiesa di Dermulo aveva possessi e quindi poteva figurare fra i confinanti. Nel 1650 un terreno con piccolo bosco nel luogo "alla Cros di Santa Giustina" veniva alienato da Antonio Mendini assieme al terreno alle Doi Vie. La convinzione (errata) che entrambi i terreni facessero parte di Castel Valer, mi avevano persuaso che l'antico terreno alle Sort si potesse individuare nelle future p.f. 327, 328, 329. Però invece, considerando che il terreno di Castel Valer confinava indubbiamente con un "rivo", non possiamo trovare questo riscontro a Santa Giustina, ma invece lo troviamo dirimpetto alla località oggi conosciuta come Sort, ovvero a nord del Pissaracel, nel luogo oggi denominato al Rì, oppure alle Voltoline. Da ciò discende che la località alle Voltoline in quegli anni era forse circoscritta ai dintorni dell'omonimo maso. Per cui la zona più a valle, assieme a quella a sud del rivo in antico dovrebbe essere stata denominata Sort. Molto realisticamente, le particelle che avrebbero potuto costituire l'antico terreno di Castel Valer, sono le seguenti: la p.f. 700, 701, 702, 703, 704, 705, 706 e 707.

Alcune notizie che qui andrò a esporre, ci permettono di formulare delle ipotesi sui primi proprietari del maso. Nel 1346 i vicini di Dermulo assegnarono il diritto di regolaneria a Stefano fu Corrado di Tassullo abitante a Malgolo. Il documento, si disse essere stato steso nella casa che Belvesino, fratello di Stefano, possedeva a Dermulo. E' molto probabile quindi che il maso locato a Nascimbene fosse in precedenza appartenuto a Belvesino o addirittura a suo padre Corrado. Se analizziamo la genealogia di Corrado, si possono constatare le relazioni parentali con la famiglia Thun, essendo questo un figlio illegittimo di altro Corrado (Concio). Per cui Guarimberto III Thun, Corrado figlio di Corrado (Concio) e Pietro Thun, risultano essere primi cugini. Era pure cugino dei predetti, il Pietro Thun (figlio di Simeone II) citato come confinante di un terreno nella località a San Giacomo, come visto sopra, locato nel 1381 da Guarimberto III a Odorico fu Nascimebene. Questo ci permette di ipotizzare che la casa e il terreno circostante, denominato più tardi "alla Clesura", fossero un'unica proprietà riconducibile al comune avo dei tre citati, ossia Guarimberto II Thun.[1] Un'altra notizia interessante, riguarda il comprovato rapporto fra Belvesino Thun, zio dei tre citati cugini, e Bosco fu Mazono di Dermulo, per il quale nel 1306, il primo prestava al secondo la somma di 7 lire di piccoli veronesi. Forse il primo embrione dei possessi Thun a Dermulo fu costituito dalla casa e circostante terreno appartenuto a Bosco fu Mazono? Certo è, che nel documento del 1275, eccezion fatta che per Enrico Tono, apparente come raccoglitore dei fitti spettanti al vescovo, non è citato nessun Thun come frontista dei vari terreni. Per tale motivo, anche se non lo possiamo affermare con sicurezza assoluta, ci sono buone probabilità che i Thun non avessero ancora acquisito proprietà in paese. Le notizie riguardanti i beni del maso ci sono giunte attraverso i secoli, grazie ad una serie ben nutrita di investiture, la prima delle quali è del 1381 e l'ultima del 1641. Tra le due citate, ci sono pervenute  le investiture del 1534, 1561, 1581, 1600 e 1625 ma, considerata la caratteristica del rinnovo dopo un periodo di 29 anni, possiamo ritenere ce ne siano state almeno altre quattro, date approssimativamente nel 1410, 1440, 1470 e 1500. Di un'altra locazione avvenuta nel 1526, si disse essere stata contestata e quindi sostituita da una successiva del 1534. Il motivo della riscrittura non è noto, ma è da presumere che fosse stato investito in luogo di Giovanni fu Antonio Mendini, un altro menmbro della famiglia che non ne aveva diritto. Una testimonianza sul nominativo di chi aveva in locazione il maso nel 1427, ci è giunta da un atto si divisione fra membri della famiglia Spaur, nel quale risulta che l’affitto per il maso di Dermulo era pagato da Gregorio di Dermulo (fu Raimondino). Il canone che rimase sempre costante in tutte le investiture, ammontava a quattro stari di siligine, due stari di frumento, due stari di spelta e due capponi. Il tutto doveva essere consegnato ogni anno, il giorno di San Michele o sua ottava, a Castel Valer.

Dopo il 1641 non si ritrovano altre investiture e gli avvenimenti successivi, fanno presumere che fosse avvenuta una parziale affrancazione da parte dei Mendini. Verso la metà del Seicento i beni di Castel Valer erano suddivisi fra i fratelli  Antonio V, Giovanni IV e Giacomo Mendini, figli del fu Antonio II. Antonio figlio del fu Antonio V Mendini, nel 1650 vendette a Pietro Panizza di Taio, l'utile dominio  dell'arativo vignato alle Doivie a causa di debiti lasciati dal padre. Nel 1713 il terreno ritornò ai Mendini e precisamente a Giacomo Antonio fu Antonio, con l'obbligo, si disse, di ricevere l'investitura da Castel Valer. Fra l'altro, veniva comunque specificato, che riguardo agli aggravi livellari, questi dovevano essere corrisposti dagli eredi di Giovanni Mendini. Il prato nei pressi della casa fu ceduto a Carlo Conci di Taio nel 1646, ma sicuramente qualche anno più tardi, i Mendini lo riacquistarono. Nel 1686 fra le entrate di Castel Valer si legge "li Mendini di Dermul buoni caponi numero quattro" e questo ci fa capire che il canone di affitto, in seguito all'affrancazione di alcuni beni locati, fu rimodulato. Infatti non c'è più traccia del quantitativo di cereali ma era stato raddoppiato il numero dei caponi. Un'ulteriore conferma sui quattro caponi, appare in un atto del 1729 riguardante le divisioni delle famiglia Spaur. Nel 1745 la stregla alle Late, si disse ancora soggetta alla livellarìa di Castel Valer per un paio di caponi e i gravati erano gli eredi di Nicolò Mendini. Altro riferimento alla "tangente quota dei caponi", la troviamo in un documento del 1763, nel quale Maria Maddalena figlia del fu Giacomo Mendini, vendeva la sua parte di casa a Dermulo a Francesco Mendini. Il compratore, oltre al prezzo di 30 Ragnesi, si accollò in perpetuo anche la parte di quota dei caponi che spettava alla venditrice, da pagare - si specificò - ogni due anni a Felice Spaur di Terres. L'arativo vignato a Ronc fu suddiviso fra i discendenti di Giacomo I e Giovanni IV che ne risultavano in possesso ancora verso la fine del Settecento. Con la legge del 1848 sullo "Svincolamento della Gleba" i beni locati passarono a tutti gli effetti in proprietà dei locatari dietro la corresponsione di una somma di affrancazione. Il terreno a Poz fu dei Mendini fino al 1879, per poi passare a Romedio Emer. Infine, la casa rimase in possesso dei Mendini fino alla metà dell'Ottocento, per poi transitare alla famiglia Inama in seguito al matrimonio fra Teresa, (figlia unica di Romedio Mendini), con Pietro figlio di Baldassarre Inama.

 

 

ELENCO DEI BENI DEL MASO DI CASTEL VALER

P.F.

LOCALITA'

NOTE

CASA n. 20-21

Di là del rì  
191 Di là del rì Orto. Non sono in grado di dire con sicurezza, se la p.f. 191 corrispondesse all'orto antico citato nelle prime investiture. La logica vorrebbe che si trovasse nel luogo dell'attuale orto della casa n. 21, ossia a sud di essa, ma nel primo catasto particellare di metà Ottocento, di esso non c'è traccia. Nel catasto teresiano la descrizione non è chiara, ma comunque, a giudicare dalle  considerevoli dimensioni, dovrebbe essere localizzato a sud della casa.
210 Poz Arativo e vignato. Nel 1534 risultava confinare a nord con la strada consortile e a est con gli Inama di Fondo. Nel 1581 a est, oltre agli Inama di Fondo, confinavano i beni della chiesa. Quindi dobbiamo forse convenire, che agli inizi il terreno si estendeva più a sud della p.f. 210.
649, 650, 651 Ronc Arativo e vignato. Nel catasto teresiano è denominato Late e risulta diviso longitudinalmente fra Romedio Maria Mendini, Bartolomeo Mendini e Francesco Mendini che possedevano rispettivamente la parte ovest, la parte centrale e la parte est.
607, 608, 609, 610 Doi Vie Arativo e vignato. Nella prima investitura il terreno è detto in "vila Bernaya", nelle successive "Val Merlai". Nel catasto teresiano è denominato con la dizione attuale, ovvero "alle Doivie", per la caratteristica di trovarsi incuneato fra due strade, quella delle Plazze e quella che porta a Sanzeno. Nel 1646 il terreno fu venduto da Antonio fu Antonio Mendini a Pietro Panizza di Taio.
 dalla 700 alla 707 Sort Arativo. Le particelle sono state elencate in via ipotetica, considerando il vecchio confine del rivo e il proprietario di Coredo, e soprattutto non essendo possibile che l'ubicazione del terreno arativo sia stata nell'attuale luogo alle Sort, per il quale è provato non ci fossero terreni coltivati prima della metà Ottocento.

 

 

SUPERFICIE IN PERTICHE QUADRATE DEI TERRENI AL 1780 SUDDIVISA PER TIPO DI CULTURA

 

Arativo Arativo e vignato Prato Bosco Bosco e pascolo Greggio Orto Piaggio

Tot. Superficie
Pertiche Q.

Tot. Superficie
Metri Q.
642 1257 - - - - 87 - 1.986

7.129

 

 

 

 

PROPRIETARI DEL MASO DI CASTEL VALER

PERIODO PROPRIETARIO

NOTE

1306 Bosco fu Mazono di Dermulo Proprietario presunto
p.1340 Corrado di Tassullo (Thun) Proprietario presunto
1346 Belvesino fu Corrado (Thun)

Proprietario presunto

1380 Guarimberto Thun

 

1534 Odorico Spaur  
1561 Cristoforo fu Odorico Spaur  
1581-1600 Ferdinando Spaur  
1625 Eredi di Carlo Spaur

 

1650 Geronimo Spaur  
     


INVESTITI DEL MASO DI CASTEL VALER

PERIODO PERSONA INVESTITA

NOTE

1340-1380 Nascimbene fu Raimondino  
1381 Odorico fu Nascimbene

Odorico era il figlio maggiore di Nascimbene.

1420 Raimondino II Il nominativo di Raimondino II è stato messo seguendo la discendenza di Odorico e tenendo conto che nel 1427 l'investito era suo figlio Gregorio.
1427 Gregorio fu Raimondino Nel 1427 appare Gregorio come locatario del maso.
1470 Raimondino III Nominativo e data di locazione presunta.
1500 Antonio Mendini Nominativo e data di locazione presunta, in quanto nel 1534 era locatario suo figlio Giovanni.
1534-1580 Giovanni fu Antonio Mendini Nel 1557 in un urbario di Castel Valer, si legge "Zoan Mendin de Dermul".
1581-1620 Antonio fu Giovanni Mendini  
1625-1641 Antonio fu Giovanni Mendini  
1641 Giovanni, Giacomo e Antonio fu Antonio Mendini  
1650 Giacomo Mendini Antonio fu Antonio nel 1650, si disse costretto a vendere alcuni beni facenti parte del maso di Castel Valer a Pietro Panizza, per pagare i debiti lasciati dal padre. 
1670-1700 Giacomo Mendini II e Antonio Mendini VI  
1720 Antonio Mendini VII Notizie sporadiche sul canone di locazione trasformato in quattro caponi.
1745 Giacomo Mendini III Notizie sporadiche sul canone di locazione trasformato in quattro caponi.
1780 Romedio Maria Mendini Notizie sporadiche sul canone di locazione trasformato in quattro caponi.
     

 

 

IL MASO DEI CASALI

 

Il maso dei Casali (Mansso Casalis) è il più antico maso di Dermulo di cui abbiamo testimonianza. Al maso, che appare nel 1275 nell'elenco dei beni proprietà dell’episcopio di Trento, appartenevano diversi terreni e una casa. Tali beni erano posseduti da diversi dermulani, i quali, dovevano corrispondere al vescovo il così detto "fitto". I terreni, di cui ci sono noti il toponimo, la coltura e i confinanti, erano in numero di 26. Più tardi solamente il terreno vignato a Ronch, lo streglivo a Campolongo e la casa con l'orto, prato e bosco presso di essa, furono dati in locazione con la formula dell’affitto perpetuale. I locatari dovevano corrispondere al massaro vescovile pro-tempore, un canone di affitto corrispondente a 3 stari di frumento, 3 stari di spelta e 2 stari di siligine. Gli altri terreni, con molta probabilità, furono in parte usucapiti dai possessori con la complicità del disordine documentale e la mancanza di urbari nel XIV e XV secolo.

Nel 1275 i tenutari della casa erano tali Bosolo e Sono, ma nessuno dei due possedeva terreni ascritti al maso, i qual terreni invece, figuravano di molte altre persone. Considerando che la casa del maso era detta anche Castelnegro, non posso escludere che ciò fosse dovuto al nome del suo abitatore, ossia Negro. Un tale Negro detto Segalla è documentato a Dermulo nel 1275 e nel 1294, ed era figlio di Martino già defunto nel 1294. Martino potrebbe essere stato figlio di Bozolo, per cui considerando l’identità fra Bozolo e Bosolo, abitatore delle casa nel 1275, possiamo concludere che Negro avrebbe effettivamente potuto abitare nella stessa casa. Negro quindi avendo in locazione anche i beni del maso, si potrebbe collocare cronologicamente fra Bosolo e Benedetto di Campo, intorno all’anno 1300. A tal proposito, un altro elemento che potrebbe provare l'affermazione sopra esposta, è la citazione di Vender figlio del fu Negro fra i confinanti di un terreno a Ronc nel 1357. Verso la metà del Trecento, esattamente nel 1346, sembra che la configurazione del maso fosse già molto simile a quella palesata nei secoli successivi. In quel periodo troviamo abitare a Dermulo un tale Bonamico, figlio del fu Benedetto di Campo che, grazie ad una citazione esplicita riguardante suo nipote Feltrino, (contenuta nei libri gafforiali dell'Ortenburg), possiamo considerare uno dei primi investiti del maso. Di Bonamico conosciamo il figlio Nicolò, al quale subentrerà suo figlio Feltrino che con la sua famiglia condusse il maso sicuramente fino agli albori del Quattrocento. Già nel 1425 abitava in paese come tenutaria del maso la famiglia di Odorico detto Duca, originario di Coredo. I Duca rimasero a Dermulo per tre generazioni per poi essere sostituiti dai Frisoni, pure di Coredo. Da quanto si rileva dal rinnovo di investitura del 1490, i Frisoni erano già livellari almeno da venti anni, quindi, subito dopo la comparsa di Bartolomeo Duca nella carta di regola di Dermulo del 1471. Intorno al 1510 in una ricognizione dei beni gafforiali, il maso, già tenuto dai Frisoni era ancora denominato Dusati (da Duca). Anche i Frisoni, dopo un secolo di permanenza, lasciarono il paese, e in questa occasione subentrò una famiglia di Dermulo. Nel documento di investitura del 1564, infatti, troviamo come affittuario Fabiano fu Tommaso Massenza che quindi lasciò la sua abitazione paterna (futura casa n.15) per occupare la casa al Castelet. Nel proseguo degli anni però, ai Massenza, si aggiunsero altri infeudati, quali gli Emer e i Tamè, per cui l'investitura fu concessa, come si disse, ai "consorti". Questa peculiarità era confinata inizialmente alla casa del maso, la quale, nella prima metà del Seicento fu in parte alienata a Giovanni Emert "Alemanno". Giulia Emer figlia di Giovanni, nel 1677 convolava a nozze con Vittore Tamè di Tres e la coppia prese posto nella casa al Castelet. In seguito quindi l'investitura degli Emer e dei Tamè fu estesa anche ai terreni. Nel 1695 gli investiti infatti risultavano Bartolomeo Massenza, Giovanni Domenico Massenza, Giovanni Battista Massenza, Tommaso Massenza, Vittore Tamè, Giovanni Emer e Giorgio Emer. Nel documento si citano la casa, i due terreni a Ronc e Campolongo, e poi una frase generica, ricorrente anche nelle altre investiture, cioè "... e tutti gli altri beni appartenenti al maso come da vecchia investitura". Per "tutti gli altri beni", non poteva trattarsi, perchè già elencati, sebbene non descritti puntualmente, di "orto, casale, piazzolo e bosco" nei pressi della casa, per cui non saprei come interpretare la frase. La vecchia investitura di cui si parla è quella del 5 agosto 1490, nella quale però, oltre ai soliti beni, non riporta nessun altro elenco. Tale misterioso elenco sarebbe apparso anche nell'investitura del 1637 della quale però non ho contezza. In ogni caso, in tutte le investiture conosciute, non sono mai apparsi altri beni oltre a quelli già citati, per cui forse ci si riferiva a dei beni mobili, quali attrezzi o suppellettili  presenti nella casa.

L'ultima investitura del maso risale al 5 febbraio 1815, nella quale risultano investiti Giovanni fu Domenico Massenza, gli eredi di Giovanni Emer, Antonio Endrizzi, Pietro figlio di Francesco Inama, Giuseppe Mendini e Innocente Massenza. I Massenza e "consorti" rimasero affittuari del maso fino alla metà dell'Ottocento, quando con la legge sullo "Svincolamento della Gleba", questi tipi di contratto furono aboliti e gli affittuari, pagando una prestabilita somma, divennero proprietari a tutti gli effetti.

 

 

ELENCO DEI BENI DEL MASO DEI CASALI

P.F.

LOCALITA'

NOTE

CASA n. 9-10-11-12

   
174 175 Castelet Orto e canevaro presso la casa.
182 183 Castelet Terreno a est della casa.
184-185 186 Praiola Terreno fra il Pissaracel e lo stradone.
652-653 Ronc Arativo e vignato.
853-854  855 Campolongo

Arativo e vignato.

 


SUPERFICIE IN PERTICHE QUADRATE POSSEDUTA NEL 1780 SUDDIVISA PER TIPO DI CULTURA

 

Arativo Arativo e vignato Prato Bosco Bosco e pascolo Greggio Orto Piaggio

Tot. Superficie
Pertiche Q.

Tot. Superficie
Metri Q.
- 2742 - - - - - - 2.742

9.850

 

 

INVESTITI DEL MASO DEI CASALI

PERIODO AFFITTUARIO

NOTE

1275 Bosolo e Sono  
ca.1290 Martino figlio di Bosolo? Notizia non supportata da riscontri documentali.
ca.1300 Negro figlio di Martino? Notizia non supportata da riscontri documentali.
p.1347 Benedetto di Campo Non è sicuro che già Benedetto occupasse i maso.
1347 Bonamico figlio di Benedetto Benedetto di Campo Tassullo.
ca. 1350 Nicolò figlio di Bonamico  
1387 Feltrino figlio di Nicolò  
p.1425 Odorico detto Duca I Duca provenivano da Coredo
1438 Antonio figlio di Odorico  
1471 Bartolomeo figlio di Antonio  
ca. 1471-1509 Nicolò Frison  
1510 Pietro fu Nicolò Frison  
p.1527 Pietro e Leonardo Frison  
1554 Antonio Frison eredi  
p.1563 Baldassarre, Antonio e Leonardo Frison I fratelli Frison, figli del fu Antonio, rinunciavano al maso in favore di Fabiano Massenza.
1564 Fabiano I Massenza  
1608 Tommaso II e Giovanni Massenza  
1640 Giobatta I e Fabiano II fu Tommaso II Massenza, e Fabiano III, Romedio e Luca I fu Giovanni Massenza. L'investitura riportata sull'urbario fa riferimento all'anno 1640, ma siccome è nominata come vivente Orsola, madre di Luca, che secondo quanto in mio possesso dovrebbe essere morta nel 1635, rimane il dubbio sulla data. Poco dopo il 1640 Fabiano II cedette il suo possesso (o una parte) a Giovanni Emer.
1650 Luca I Massenza, Fabiano II Massenza e Tommaso III Massenza  
1695 Bartolomeo Massenza, Giovanni Domenico Massenza, Giovanni Battista II Massenza, Tommaso IV Massenza, Vittore Tamè, Giovanni Emer e Giorgio Emer  
1783 Domenico Massenza e consorti  
1815 Giovanni fu Domenico Massenza, Eredi di Giovanni Emer, Antonio Endrizzi, Pietro figlio di Giovanni Francesco Inama, Giuseppe Mendini e Innocente Massenza.  

 

 

 

IL MASO GUELMI (poi Martini)

 

Il maso Guelmi, più tardi detto Martini, ebbe origine verso il 1650, allorchè Simone Guelmi di Scanna, acquisì per via di un matrimonio, una casa e diversi terreni a Dermulo.[2] Tali beni, erano appartenuti in antico a Gaspare, uno dei cinque figli di Inama viventi a Dermulo, alla metà del Quattrocento. Per eredità i beni, giunsero poi in possesso del pronipote Ercole che passò a miglior vita nel 1614. Il figlio di quest'ultimo, di nome Gaspare, abbracciò la vita religiosa e morì intorno al 1616 in Val di Fassa, dove era pievano. La sostanza di don Gaspare, unico figlio maschio di Ercole, pervenne quindi alle due sorelle Maddalena e Margherita, maritate rispettivamente con Simone Cordini e Giacomo Chilovi, entrambi di Taio. Giacomo però, in occasione del matrimonio, si era trasferito a Dermulo nella casa che fu del suocero Ercole, dove visse anche suo figlio Gaspare Chilovi. Detta casa nella seconda metà del Seicento era nominata come "casa dei Chilovi". Gaspare, che aveva ereditato il nome dall'illustre zio pievano, aveva sposato Lucia Aliprandini, dalla quale erano nati almeno tre figli: Ercole, Giacomo e Anna Maria. I primi due morirono ancora infanti, mentre Anna Maria arrivò all'età adulta anche se nel 1634, quando era ancora in minore età, rimase orfana del padre stroncato dalla peste. La madre Lucia, poco tempo dopo, sposò in seconde nozze Giovanni Giacomo Mendini di Dermulo, e conseguentemente Anna Maria visse per un periodo assieme alla nuova famiglia. La ragazza ancora minore, era sotto la tutela del padrigno Giovanni Giacomo e di Aliprando Aliprandini di Livo, probabilmente zio materno. Ritengo che sia sicuramente da imputare a quest'ultimo, il matrimonio di Anna Maria con Simone Guelmi di Scanna che infatti troviamo proprietario, o meglio comproprietario a Dermulo, della sostanza di Anna Maria Chilovi. La prima testimonianza indiretta della presenza di un Guelmi a Dermulo è del 1664, con Simone, quale confinante a nome della moglie, in un bosco nella località alle Sort.[3] 

Nel 1680 troviamo indirettamente la prima testimonianza della casa, in quanto nella saletta della casa degli eredi Guelmi di Scanna, Silvestro Inama di Dermulo aggiungeva un codicillo al suo precedente documento testamentario.
I terreni afferenti al maso rimasero gli stessi fino alla sua alienazione di fine Ottocento, con però due eccezioni: un prato ai Visenzi (attuali p.f. 591 e 592), indiviso fra le due sorelle Margherita e Maddalena Inama e una porzione di arativo vignato a Sass (p.f. 55). Il primo terreno fu ceduto in tempi diversi alla famiglia Mendini e riunificato da Giacomo Mendini III nella prima metà del Settecento; il secondo, fu invece alienato nel 1701 da Francesco Antonio Guelmi a Giacomo Mendini II, padre del suddetto Giacomo III.

Non ci è giunta notizia che i Guelmi avessero abitato nella loro casa a Dermulo, per cui sicuramente avevano delegato ad altre persone il compito di lavorare i campi e occuparsi della casa. Per tale motivo avevano stipulato delle locazioni, la prima delle quali che ci è giunta notizia è da far risalire agli ultimi anni del Seicento, quando troviamo locatario il nobile Giacomo Mendini II. Il Mendini rimase affittuario fino alla morte avvenuta nel 1717, dopodiché proseguirono con la locazione i  due figli Giacomo III e Giacomo Antonio. Quest'ultimo moriva nel 1735 e qualche anno dopo, presumibilmente nel 1738, il fratello Giacomo Mendini III lasciava la casa del maso per stabilirsi nella futura casa n. 23. Dal 1742 al 1749 è documentato come affittuario Giacomo fu Michele Inama e molto probabilmente lo fu anche a partire dal 1738. Nel 1742, Giacomo non fu in grado di corrispondere il canone di affitto, per cui gli fu imposto di depositare tutte le fruggi, e cioè il fieno, il formento e la segalla presso Giacomo Inama Rodaro o Giacomo Mendini, ma a quanto sembra, questo inconveniente non pregiudicò il contratto. Nel giugno del 1749 Felicita Inama di Fondo, vedova di Matteo Guelmi, come tutrice dei suoi figli Alberto e Nicolò, locava perpetuamente per 19 anni il maso a Bartolomeo Mendini. A quest'ultimo, che poco dopo il 1780 si era trasferito nella casa n. 23, seguì nella locazione il figlio Matteo che abitò nella casa con la famiglia fino al 1806. Il 18 aprile di quello stesso anno, l’abate Giovanni Nicolò de Guelmi, priore di San Romedio, per se e a nome dei suoi nipoti e di suo fratello, vendette il maso per la somma di 3000 Ragnesi a Giovanni Antonio Martini, chirurgo di Revò abitante a Taio. Da quel momento il complesso fu denominato "Maso Martini". Il maso veniva così descritto: una casa dominicale e rurale con molte comodità, di muri murata e legni fabbricata e di tetto coperta esistente nella estremità della villa di Dermulo verso mezzodì cui 1 2 il fondo e la strada imperialeUn fondo vicino alla casa, prato, arativo, gaggio ai Plani in parte su Coredo e parte Dermulo, Gregiot, Cavaudem, Braide, Orto, una sorte alle Fasse, una sorte alle Sorti, una sorte ai Pradi, una sorte al Placego. Tutto con l’obbligo di livello ossia gafforio di quarte 5 di segala, che si pagano alla mensa e con diritto di vicinato a Dermulo. In realtà, i beni del maso soggetti al gafforio erano solamente due, il terreno ai Plani e quello al Grezot. L'orto Guelmi si trovava nei pressi della Crosara, nella località ai Orti, e oggi lo si può riconoscere nella p.f. 157. La proprietà di questo orto, insolitamente molto distante dalla casa, è dovuta all'acquisizione avvenuta nel 1554 da parte di Gaspare Inama, alla famiglia Pret che abitava nella sovrastante casa n. 7-8. Il detto orto ritornò pertinente all'antica casa sul finire del Novecento, per l'acquisto fatto da Giovanni Tamè a Lorenzo Brida. Nel 1806, a quanto risulta da una registrazione parrocchiale, abitava a Dermulo nella casa Martini, Stefano Panizza con la moglie Domenica Largaiolli che potrebbe essere stato il primo manente del neo formato maso Martini. Dopo il Panizza, ma a partire solamente dal 1830, troviamo nella casa Pietro Endrizzi. Quando l'Endrizzi nel 1837 lasciò Dermulo per trasferirsi a Banco, fu sostituito fino al 1841 da Antonio Melchiori. Intorno al 1850 il vecchio proprietario, Giovanni Antonio Martini passava a miglior vita, per cui tutte le proprietà a Dermulo transitarono al figlio don Carlo, oramai stabilitosi a Trento. Nel 1858 il cortile posto a ovest della casa fu teatro di un efferato omicidio per il quale venne condannato Domenico Endrizzi di Dermulo. In tale occasione la casa si disse appartenere a Emilio Martini abitante a Taio (nel 1871 abitava a Salorno), probabilmente fratello di don Carlo. Il sacerdote morì nel 1871 e il maso pervenne in mano ai suoi eredi, Emilio Martini di Salorno e i fratelli Achille, Ernesto e Carolina Zuech di Lana. Gli eredi vendettero già nello stesso anno, per l'importo di 2200 Fiorini, la casa ed alcuni terreni (il prato al Grezot, un prato ai Regai e due boschi alle Sort)Lorenzo Brida di Dermulo. Giuseppe fu Giovanni Endrizzi acquistò il terreno alle Braide p.f. 829 e Giovanni Maria Tamè il terreno alle Braidele.

 

 

 

DISLOCAZIONE DEI TERRENI DEL MASO GUELMI SUL TERRITORIO DI DERMULO

 

 

 

 

 

ELENCO DEI BENI DEL MASO GUELMI

 

P.F.

LOCALITA'

NOTE

CASA n. 1

   
1 2 Maso Arativo e vignato. La località era costituita dai terreni attigui alla casa che formavano un tutt'uno con le future p.f. 782 783 784.
7  8 Braidele

Il terreno non faceva parte delle antiche proprietà, essendo stato acquistato nel 1827 da Antonio Martini a tale Luigi Widmann di Coredo. La parte a nord della futura p.f. 829, formava un solo corpo con le due p.f. 7-8. Il terreno fu infatti diviso in due porzioni dalla strada di Concorrenza costruita intorno al 1855. Il campo formato dalle due p.f. 7-8, fu poi venduto nel 1873 a Giovanni Maria Tamè dagli eredi Martini.

35 36 Bos-c Lonc Bosco e dirupo nella località Pradi.
144 145 146 Grezot Bosco e greggio.
157 Orti Detto anche orto alla Crosara fu ceduto a Giovanni Maria Tamè dagli eredi Martini nel 1873.
165 166 Maso Arativo e vignato.
228 Fasse Bosco.
512/a 512/b Cavauden Arativo. Detto anche ai Sassi o alle Giare.
752 Sort Bosco.
759 Plazzec Bosco.
782 783 784 Maso Arativo e vignato.
829 Braide Arativo e vignato.
1485 (Coredo) Pradaz

Prato per la  maggior parte sul comune catastale di Coredo e in piccola parte sul CC di Dermulo, detto anche ai Plani.

  Regai Prato nelle pertinenze di Banco.

 

 

 

 

SUPERFICIE IN PERTICHE QUADRATE POSSEDUTA NEL 1780 SUDDIVISA PER TIPO DI CULTURA  [4]

 

Arativo Arativo e vignato Prato Bosco Bosco e pascolo Greggio Orto Piaggio

Tot. Superficie
Pertiche Q.

Tot. Superficie
Metri Q.
2139 9664 384 1047 - - 13 - 13.247

47.556

 

 

 

PROPRIETARI DEL MASO GUELMI (poi Martini)
PERIODO PROPRIETARIO

NOTE

da ca. 1650 Simone Guelmi  
1700 - 1721 Francesco Antonio Guelmi Notaio di Scanna
1735 Matteo Guelmi

 

1742 - 1749 Felicita vedova di Matteo Guelmi  
1806 don Giovanni Nicolò e Alberto Guelmi  
1806 - 1840 Giovanni Antonio Martini Medico chirurgo di Revò abitante a Taio.
1850 - 1869 don Carlo Martini  
1871 Emilio Martini, Achille e Carolina Zuech  
1874 Lorenzo Brida  

 

 

AFFITTUARI DEL MASO GUELMI (poi Martini)

 

PERIODO AFFITTUARIO

NOTE

1700 - 1710 Giacomo Mendini II +1717
1717-1738 Giacomo Mendini III

Figlio di Giacomo morto nel 1717

1742 - 1749 Giacomo fu Michele Inama Probabilmente Gioacomo Inama subentrò a Giacomo Mendini.
1749 - 1780 Bartolomeo Mendini  
1780 - 1806 Matteo Mendini Figlio di Bartolomeo
1813 Stefano Panizza  
1830 - 1837 Pietro Endrizzi  
1837 - 1841 Antonio Melchiori

Finito in contratto di locazione, si dice in un documento, prese casa a Dermulo.

 

 

 

IL MASO BETTA (poi Widmann)

 

Le origini di questo maso vanno ricercate nelle proprietà della famiglia Cordini di Dermulo e principalmente in quelle di Pietro fu Delaito Cordini. In seguito sicuramente confluirono nel maso altri terreni che appartennero ad altri rami della famiglia Cordini. La casa pertinente al futuro maso era conosciuta già alla metà del Cinquecento come Casa nova dei Cordini”, presumibilmente costruita da Pietro, negli anni Venti del Cinquecento. Pietro non ebbe discendenza maschile e la sua sostanza fu ereditata in buona parte dalla figlia Anna che sposatasi con Antonio Pangrazzi di Campodenno, abitò nella casa paterna. Intorno al 1554, rimasta vedova, dovette lasciare la casa e per tale motivo, si vide costretta ad acquisire un'abitazione da Giacoma, vedova di Vittore Inama. Pietro Cordini nel suo testamento, aveva però disposto che al nipote Martino Cordinidovesse essere corrisposta la somma di 400 Ragnesi, per cui nel 1554, Anna assegnò al cugino diversi beni per tale valore. Specificatamente la metà della casa detta “la casa nova dei Cordini”, del valore di 300 Ragnesi, metà del prato a Rizagn, metà della stregliva in Piano, metà della stregliva a Somager, e metà di un campo a Santa Giustinaper raggiungere il valore dei rimanenti 100 Ragnesi. Non sembra che i coniugi Anna e Antonio Pangrazzi avessero avuto discendenza. Lucia vedova di Pietro e madre di Anna si era risposata con un tale Bartolomeo Pangrazzi e si era trasferita in Val di Cembra, lasciando a Dermulo una situazione debitoria, per la quale i beni che furono del marito, dovettero essere alienati. Fu probabilmente in questo frangente che Pantaleone Betta di Castel Malgolo, forse messo al corrente dal fidato notaio Antonio Inama di Dermulo, perfezionò l'acquisto della sostanza del fu Pietro Cordini. Con l'occasione furono acquisiti da Martino Cordini i beni dei quali quest'ultimo possedeva metà della quota, ossia quelli ricevuti in eredità dallo zio Pietro. Tale acquisto dovrebbe essere avvenuto a ridosso del 1569, come prova il contratto di locazione stipulato da Pantaleone Betta con i fratelli Martino e Gervasio Cordini, per l'affitto del maso. Nel 1581 si trova notizia dell'acquisizione di un terreno alle Fasse (la futura p.f. 225), fatta qualche tempo addietro da Pantaleone Betta a Martino Cordini. Su tale terra era stato assicurato un prestito avuto da Francesco Heningler, capitano della Rocca di Samoclevo, allo stesso Martino per cui il Betta si obbligò a pagarlo. Successivamente alle prime acquisizioni fu sicuramente accorpato al maso il terreno alla Cros contrassegnato dalla futura p.f. 312, e il vicino bosco p.f. 313 e 314, a valle del Ciamperdon, che appartenevano a Vigilio fu Cristoforo Cordini. Ipoteticamente potrebbero essere appartenute allo stesso Vigilio, anzichè al cugino Pietro, qualche porzione di terreno alla Ciaseta, specificatamente le p.f. 490 e 491. Anche le p.f. dal 330 al 334, denominate Santa Giustina, furono acquisite dopo la seconda metà del Seicento, in quanto prima appartenevano ai Panizza. Una menzione particolare merita l'arativo vignato al Ciampet, (p.f. 766 e 767) che almeno dal 1680 venne dato in locazione perpetuale a Vittore Tamè di Tres, da poco trasferitosi a Dermulo. Nel 1747 il terreno al Ciampet era ancora proprietà Betta e infatti, Bonifacio rinnovava l'investitura a Giuseppe fu Simone Tamè, con il canone annuo di tre quarte di frumento e due stari di segale. Qualche anno dopo invece, i Betta alienarono il terreno ai Thun che infatti troviamo proprietari nel catasto teresiano, mentre i Tamè continuarono ad esserne investiti dell'utile dominio.
Sotto la proprietà Widmann, furono poi acquisiti l'arativo al Raut da Ral e il vignato alle Voltoline (p.f. 726-727). Sulla mappa del 1859, appaiono come appartenenti al maso anche le p.f. 679-680, ma ritengo si fosse trattato di un errore, perchè nel periodo precedente e in quello successivo, risultavano invece proprietà della famiglia Inama.
I Betta come visto sopra, insediarono subito nel maso i fratelli Cordini in qualità di manenti. A seguire, già dal 1604 troviamo manente nel maso Domenico Massenza
 di Dermulo, ma non sappiamo da quanto già vi si trovava e nemmeno per quanto ancora vi fosse rimasto. A Domenico seguì suo genero, Giorgio Bonvicin, originario di Salter; poi troviamo Andrea Pellegrini di Sanzeno e quindi nuovamente un dermulano, Concio Massenza. Concio era un masadore "professionista", in quanto aveva trascorso la sua vita peregrinando di maso in maso per tutta la valle. Risale al 26 ottobre 1659, l'unico documento di locazione relativo al maso Betta che sono riuscito a reperire. Nel contratto, stipulato a Castel Malgolo tra Giovanni Pantaleone Betta e Silvestro Inama II di Dermulo, si prevedeva una durata dell'affitto di dieci anni ed un canone di 10 stari di frumento, 10 stari di legumi e 5 stari di miglio. Purtroppo non appaiono i vari beni componenti il maso. Terminato il contratto con Silvestro Inama, prosegui con la locazione il figlio Giacomo II, ma non mi è noto, se fosse stato coperto un altro periodo completo di dieci anni. Nel periodo che va da circa il 1680 e il 1710, non conosciamo il nominativo del masadore. Dal 1716 al 1768 troviamo nel maso, dapprima Giovanni Battista Inama e poi i suoi figli. Fra circa il 1770 e il 1777 nella casa del maso risiedette Bonifacio Floriano Betta, ma trovo molto improbabile che lo stesso avesse provveduto di persona a coltivare i terreni, per cui il compito, sarà stato demandato sicuramente a qualcun altro.

Nel Settecento la comunità di Dermulo contestò l'appartenenza alla nobiltà rurale della famiglia Betta, per cui si generò un'annosa diatriba. Lo status di nobile rurale comportava l'esenzione dal pagamento delle collette e da altri aggravi amministrativi, come l'incarico di regolano, sindaco o giurato, così come l'obbligo di acquartieramento per i soldati. L'unico onere era l'incarico della saltarìa, che però poteva essere svolta, a nome dei Betta, dai loro manenti. Nel 1773 la comunità di Dermulo e i Betta raggiunsero un accordo per il quale, i primi furono riconosciuti nobili rurali, dovendosi però, per contropartita, accollare un debito di 70 Ragnesi, che la comunità aveva nei confronti della chiesa di Dermulo.   
Il maso rimase in mano alla famiglia fino alla morte di Francesco Betta, per poi essere ereditato dalla vedova Paolina Benedetti. Quest'ultima convolò a seconde nozze con il nobile Giovanni Michele Gentili di Sanzeno, dal quale, (prima di morire assassinato nel 1806), ebbe due figlie: Marietta e Gertrude. Le due sorelle, avendo Teresa loro sorellastra nata dal primo matrimonio di Paolina, rinunciato alla propria parte, divennero proprietarie del maso a Dermulo. Intorno al 1788, Paolina locava il maso ad Antonio Melchiori, il quale però, secondo un documento del 1792, non si era dimostrato professionalmente competente nella conduzione. Infatti, fra le varie cose, era risultato pure sprovvisto dei buoi, e si disse che durante la sua permanenza, i beni del maso si erano parecchio deteriorati, tanto da indurre i proprietari a chiederne i danni. Non avendo Antonio il denaro per il risarcimento, furono stimate e confiscate da due periti, non solo le produzioni giacenti nella casa, ma anche quelle che sarebbero state raccolte in futuro, che risultarono del valore di 48 Ragnesi.[5] Il Melchiori fu sostituito da Giacomo Endrizzi di Dermulo che fu l'ultimo manente sotto la proprietà Gentili. Gertrude Gentili infatti si sposò con il notaio Domenico Alfonso Widmann di Coredo, e il chierico Romedio Eligio, figlio di Domenico Alfonso, istituì sul maso una fondazione stipendiaria. Tale ente aveva lo scopo di fornire un sostegno economico a quei membri della famiglia Widmann che avessero intrapreso lo studio. La casa del maso dopo l'acquisto Widmann fu sicuramente sottoposta ad una importante ristrutturazione. Di tali lavori troviamo testimonianza nel portale d'ingresso, sulla cui chiave, oltre ad un motivo floreale riconducibile alla famiglia Widmann, si può leggere la data 1818. Fino a prima della recente ristrutturazione ad opera degli attuali proprietari, era possibile osservare su una trave maestra del tetto, un'incisione riportante il nome "don Romedio Widmann", a ricordare il committente di quei lavori eseguiti ai primi dell'Ottocento. Fino al 1830 non compaiono notizie circa gli affittuari di don Romedio, dopo tale anno invece, troviamo Vittore Tamè che probabilmente a partire dal 1840, sarà affiancato anche dal genero Baldassarre Inama. Nei cento anni successivi si susseguirono diversi masadori, l'ultimo dei quali fu Alessandro Manzoni. Il Manzoni aveva ricevuto il maso in locazione nel 1945, per la durata di tre anni. Nel mese di novembre 1947, in prossimità della scadenza del contratto, gli si intimava di liberare il maso perché i proprietari, Enrico, Egberto e Ermanno Widmann avevano manifestato l'intenzione di voler procedere alla vendita. Inoltre, fu comunicato al Manzoni, che se la vendita non fosse riuscita, un componente della famiglia Widmann si sarebbe trasferito nella casa del maso.[6] Per l’acquisto di tutta la sostanza, si erano formati due gruppi di persone, uno denominato "Gruppo Manzoni", al quale appartenevano lo stesso Alessandro Manzoni e Giovanni Bertagnolli di Sanzeno, e un altro detto "Gruppo Tamè", di cui facevano parte Vigilio Tamè, Augusto Zinzarella, Ferdinando Pinamonti di Tassullo, Guido Emer, Bruno Emer e Leo Chistè. Fra le compagini ci fu una certa rivalità, e sembra che, il "Gruppo Manzoni" cercasse uno sconto sul prezzo di vendita; prezzo che invece fu accettato dal "Gruppo Tamè", che di conseguenza, perfezionò la compera.

 

 

 

DISLOCAZIONE DEI TERRENI DEL MASO BETTA SUL TERRITORIO DI DERMULO

 

 

 

 

ELENCO DEI BENI DEL MASO BETTA (poi Widmann)

P.F.

LOCALITA'

NOTE

CASA n. 25

   
15 16 17 18 19 Raut da Ral Arativo. Il terreno fu acquisito solamente nel 1859 da Alfonso Widmann a Giovanni Maria Tamè.
152 153 Zita

Si tratta dei due appezzamenti attigui alla casa del maso. La p.f. 152, denominata anche Clesura si trovava a nord della casa, mentre la p.f. 153 era a sud. Ad inizio Novecento risultava proprietà della stipendiaria Widmann anche la p.f. 154, inseguito occupata dal caseificio turnario e recentemente dal parco giochi e parcheggio.

204 205 206 207 208 Poz Arativo vignato, prato e bosco.
225 Fasse Arativo e vignato. Il terreno era stato acquisito da Martino Cordini.
285 286 287 288 289 290 Cros

Era uno fra i più estesi terreni presenti sul territorio di Dermulo. Nel 1880 fu diviso in due porzioni dalla strada che conduceva al ponte di Santa Giustina.

312/a 312/b Cros

Arativo confinante con quello sopra descritto. Molto probabilmente questo terreno, assieme al bosco formato dalle p.f. 313 e 314, appartenevano in passato a Vigilio Cordini e furono acquisite dai Betta in un secondo momento.

313 314 Cros Bosco sotto la località Ciamperdon.
330 331 Santa Giustina Bosco.
332 Santa Giustina Arativo.
333 334 Santa Giustina Bosco.
404 405 Teza Bosco alla Teza di Cambiel.
488 489 490 491 Ciasete Arativo e prato.
687/a  687/b  688 Voltoline

Arativo e vignato. Nel 1773 la comunità di Dermulo vendette al loro convicino Bonifacio Floriano Betta, due terreni alle Voltoline, individuabili con queste p.f e la sotto citata n. 689. Sulla mappa del 1859 appaiono come appartenenti alla casa 25, cioè ai Widmann, anche le p.f. 679 680, ma visto che negli anni precedenti e in quelli successivi, la proprietà era indubbiamente Inama, ritengo essersi trattato di un errore.

689 Voltoline

Bosco.

726 727 Voltoline

Il terreno inizialmente apparteneva a Giacomo Inama e poi ad Innocente Massenza, per cui non faceva parte degli antichi possessi, infatti fu acquistato nel 1819 da don Romedio Widmann.

766 767 Ciampet

Questo arativo e vignato era stato concesso in locazione perpetuale alla famiglia Tamè che abitava nei pressi. Intorno al 1780 io terreno passò ai Thun che mantennero i Tamè come locatari.

787 173 Ciapitel

Le due particelle formavano un unico terreno che fu poi diviso dalla strada di concorrenza nel 1855 e a  loro volta, forse, erano un tutt'uno con il vignato al Ciampet. Con la costruzione della ferrovia sono scomparse quasi completamente.


 

 

 

 

SUPERFICIE IN PERTICHE QUADRATE POSSEDUTA NEL 1780 SUDDIVISA PER TIPO DI CULTURA

 

Arativo Arativo e vignato Prato Bosco Bosco e pascolo Greggio Orto Piaggio

Tot. Superficie
Pertiche Q.

Tot. Superficie
Metri Q.
228 5572 1482 1267 - - - - 8.549

30.690

 

 

PROPRIETARI DEL MASO BETTA (poi Widmann)

 

PERIODO PROPRIETARIO

NOTE

1569 Pantaleone Betta  
1604 Massenza vedova di Pantaleone Betta Massenza nel documento dove è citata, agisce a nome dei suoi figli.
1625 Eredi di Pantaleone Betta  
1630 - 1646 Bonifacio Betta  
1657 Eredi di Bonifacio Betta  
1659 Giovanni Pantaleone Betta  
1671 - 1723 Antonio Bonifacio Betta  
1732 Eredi di Antonio Bonifacio Betta  
1733 - 1768 Giovanni Bonifacio Betta  
1771 - 1775 Bonifacio Floriano Betta  
1777 - ca.1783 Francesco Betta

Francesco e detto erede fraterno, quindi presumo che suo fratello fosse Bonifacio Floriano.

1792 Paolina Benedetti

Paolina vedova del fu Francesco Betta aveva ereditato dal marito il maso a Dermulo e poi aveva sposato in seconde nozze Giovanni Michele Gentili di Sanzeno.

1793 - 1815 Gertrude e Marietta Gentili

Figlie di Paolina Benedetti e Michele Gentili.[7]

1815 - 1835 don Romedio Eligio Widmann

Il padre di Romedio, il notaio Alfonso Domenico Widmann, aveva sposato Gertrude Gentili.

1836 - ca.1850 Alfonso Widmann  
1852 Eredi di Alfonso Widmann  
1858 - 1883 Alfonso Widmann

Nel 1881 si afferma che Alfonso era di Sanzeno, così come nel 1868 e nel 1869.

1885 Eredi di Alfonso Widmann  
1893 - 1894 Eredi di Alfonso Widmann  
1895 - 1903 Alfonso Widmann di Magrè  
1945 Barone Enrico Widmann  
1945 Vigilio Tamè e Ferdinando Pinamonti Alcuni terreni furono acquistati da Leo Chistè e Augusto Zinzarella.

 

 

 

AFFITTUTARI DEL MASO BETTA (poi Widmann)

 
PERIODO AFFITTUARIO

NOTE

1569 ca.1590? Martino e Gervasio Cordini  
1604 Domenico fu Francesco Massenza  
1628 - 1637 Giorgio Bonvicin

Originario di Salter, aveva sposato Caterina figlia di Domenico Massenza.

1640 - 1644 Andrea Pellegrini

Il Pellegrini era oriundo di Sanzeno. Il periodo di locazione probabilmente era da ampliare sia prima del 1640 che dopo il 1644.

1657 Concio Massenza

Probabilmente Concio aveva preso in locazione il maso intorno al 1648.

1659 - 1669 Silvestro Inama II

Di questa locazione ci è giunto il contratto che prevedeva la durata di 10 anni. Quindi è da presumere che tale durata fosse stata applicata anche ai contratti precedenti e futuri.

1671 Giacomo Inama II

Giacomo Inama era figlio di Silvestro.

1716 - 1727 Giovanni Battista Inama  
1737 - 1747 Giovanni Battista Inama

Dal 1727 al 1737 non ci sono giunte notizie in merito all'affittuario, ma è molto probabile fosse stato lo stesso Giovanni Battista Inama. Presumo che Giovanni Battista fosse rimasto locatario fino alla sua morte avvenuta nel 1757, e quindi dopo abbia preso il suo posto il figlio Antonio.

1757 - 1768 Antonio Inama Figlio di Giovanni Battista Inama. Documentato dal 1761 al 1768.
1767 - 1768 Giovanni Inama

Fratello di Antonio Inama documentati assieme in tale periodo. E' probabile quindi che fossero rimasti assieme affittuari fin dalla morte del padre Giovanni Battista.

1769 - 1777  

In questo periodo in cui la casa del maso era abitata dal proprietario Bonifacio Floriano Betta, non si ha notizia di chi lavorasse i terreni. Forse gli stessi sopraccitati fratelli Inama?

1778 - 1787 Giovanni Emer  
1788? - 1792 Antonio Melchiori

Credo sia stato il padre di altro Antonio Melchiori che intorno al 1840 troviamo affittuario del maso Martini.

1793 - 1804 Giacomo Endrizzi Nel 1801 Giacomo Endrizzi è citato come masadore Gentili.
1830 - 1855 Vittore Tamè Figlio del fu Giovanni Maria.
1841? - 1891 Baldassarre Inama Baldassarre Inama era il genero di Vittore Tamè.
1870 - 1899 Agostino Inama Agostino Inama era il figlio di Baldassarre.
? - 1907 Ernesto Inama Ernesto era figlio di Giovanni.
1916 Giuseppe Inama Giuseppe era figlio di Ernesto Inama.
? Riccardo Eccher  
1945 - 1947 Alessandro Manzoni  

 

 

 

 

 

IL MASO INAMA DI FONDO

 

Nel 1534 abbiamo la prima notizia documentata del maso che risulta essere in possesso di Cristoforo Inama di Fondo. Cristoforo era figlio di Pietro (o di Filippo?) e nipote di quel'Antonio fu Inama, menzionato nella carta di regola di Dermulo del 1471. Ma che origini aveva il maso? Fu acquisito dopo che gli Inama si erano trasferiti a Fondo, oppure era già nelle loro disponibilità? Cercheremo di dare delle risposte, analizzando le poche informazioni che abbiamo a disposizione ed utilizzando giocoforza molte congetture. Al momento della redazione della predetta Carta di Regola, ritengo che il maso fosse già stato di proprietà Inama, in quanto nel documento non è citato nessun altro capofamiglia del paese, che non sia abbinabile ad una casa. Già nel 1475, Antonio risultava abitare a Fondo, dove ebbe una numerosa discendenza e dove morì intorno al 1483.[8]  Nel fornito archivio della famiglia Inama di Fondo non risulta nessun documento che accenni ad un eventuale acquisto del maso dopo il loro arrivo in alta Anaunia. Quindi, dobbiamo supporre che l'acquisizione fosse stata realizzata da Antonio fu Inama, probabilmente nella prima metà del Quattrocento. Ma da chi, eventualmente, gli Inama avrebbero acquisito il maso? La famiglia Thun intratteneva rapporti con gli Inama fin prima della metà del Quattrocento, quando il capostipite era stato infeudato della decima su un terreno alle Braide. Più tardi gli Inama furono investiti di altri terreni proprietà Thun, però, mai si era parlato di una casa. La decima alle Braide, in seguito fu interamente acquisita dai discendenti di Antonio Inama di Fondo. Da quanto risulta dal libro dei Gaffori del 1510, gli Inama di Fondo erano conduttori nel paese alto-anaune, di almeno due masi vescovili. Dobbiamo allora chiederci se le investiture a Fondo erano state loro concesse perchè riconosciuti affidabili e leali, possedendo già un maso della mensa a Dermulo? La risposta è negativa, in quanto l'episcopio, non risulta mai avesse avuto la proprietà del maso. Tale assenza si rileva fin dalle prime registrazioni gafforiali di metà Trecento. Concludendo, ritengo che il maso fosse appartenuto ad una famiglia di Dermulo estintasi intorno alla metà del Quattrocento, i cui beni furono poi acquisiti da Antonio fu Inama. Se consideriamo la casa afferente al maso, che risulta addossata a quella acquisita da Vincenzo Zaton intorno al 1430, potremmo anche ipotizzare che il caseggiato e i terreni fossero appartenuti alla medesima famiglia possidente. Tale famiglia potrebbe essere stata prossima all'estinzione o forse aveva lasciato Dermulo, per cui il Zaton (sposando un'ereditiera?) e Antonio Inama, potrebbero essersi divisi la proprietà. Purtroppo la mancanza di documenti di quell'epoca non ci permette di aggiungere altro. Infine, non posso però tralasciare un'altra ipotesi, ossia che i beni afferenti al maso, siano stati in realtà, la porzione di eredità che Inama aveva destinato al figlio Antonio. Forse nella massa erano presenti anche beni che originariamente erano di spettanza di Giovanni e Giacomo altri fratelli di Antonio di cui ci sono giunte pochissime notizie, e che forse Antonio aveva acquisito. La decisione di trasferirsi a Fondo ha comportato l'abbandono dei beni a Dermulo e conseguentemente la necessità di delegare a qualcuno il loro mantenimento. La mancanza nei documenti cinquecenteschi di nominativi estranei a Dermulo, ci consente di affermare che i lavori e le incombenze nei campi fossero svolte da qualche dermulano. Ho ragione di ritenere che il cugino Leonardo Inama e poi suo figlio Giovanni (Giovanni del Nard) avessero avuto tale incarico.

Come si può vedere dalla sotto riportata cartina, una parte molto consistente di terreno del maso, si estendeva a nord della casa, ossia nella località detta al Loc. Questo terreno fu probabilmente l'unico, assieme ad una porzione alle Braide ed una a Poz, a far parte dell'acquisizione (o proprietà?) originaria. Infatti durante tutto il XVI secolo, la famiglia Inama di Fondo ampliò notevolmente i possessi del maso di Dermulo. Nel 1540 Cristoforo acquisiva da Leonardo fu Giovanni Inama un prato al Plantum, e probabilmente anche il bosco alle Fasse. Nel 1563 e nel 1571 altri due terreni, uno a Poz e l'altro al Plantum con due stregle, venivano acquisiti a Salvatore fu Vittore Inama. Ancora nel 1571, i fratelli Floriano e Pietro, figli del fu Cristoforo Inama, acquistavano un prato a Plantum, al quale già confinavano, da Caterina vedova di Giovanni Mendini. Nel 1559 Floriano Inama acquisiva da Antonio fu Marino Inama, a nome del padre Cristoforo, una stregliva alle Stregle Longe, nella zona delle Braide, per il prezzo di 100 Ragnesi e da Vigilio fu Giovanni Inama abitante a Fondo, un'altra stregliva alle Braide per 50 Ragnesi. Più o meno nello stesso periodo, Antonio Inama (del Marin) aveva ceduto a Cristoforo Inama un prato al Rizzan. Nel 1567 Floriano acquisiva da Baldassarre Cordini un arativa vignata alle Stregle Longe ossia al Canton, alla quale confinava. Considerato l'elevato prezzo di compravendita di ben 162 Ragnesi, doveva trattarsi di un terreno dalla superficie ragguardevole. Nel 1571 gli Inama di Fondo, acquistarono un piccolo orto presso la loro casa, dagli eredi di Gaspare Massenza. Nel 1588 un terreno a nord della casa di Romedio Barbacovi, risultava proprietà del notaio Pietro Inama, fratello di Floriano I. Può essere che Pietro possedesse solo il terreno, ma ci sono molte probabilità che fosse invece comproprietario dell'intero maso, che fino al 1581 fu del padre Cristoforo. Successivamente, il maso fu comunque posseduto solo dai discendenti di Floriano. Nel 1621 Bartolomeo fu Floriano Inama aveva acquistato da Maddalena figlia del fu Ercole Inama un non ben specificato terreno, che ritengo si fosse trovato alla Braide, per il quale nel 1623 le sborsava 645 denari(?). Nel 1715 Alberto Inama comperava dalla chiesa di Dermulo un terreno arativo al Casalin, per la somma di 120 Ragnesi. Tale terreno si trovava a nord del Loc e gli Inama di Fondo vi confinavano da tre parti. Il Loc assumerà l'attuale conformazione nel 1716, dopo che Alberto aveva acquisito un'altra piccola parte di terreno alle Marzole da Giovanni Battista Inama. Nel 1723 Alberto acquisì altri due terreni da Anna moglie di Giacomo Antonio Mendini, uno al Rautel e l'altro alle Braide. Tali terreni ricevuti per appianare un debito, furono poi riconcessi in affitto alla venditrice, e nel 1735 il Rautel, fu venduto ad Antonio Mendini. Verso la fine del Settecento, Floriano III Inama aveva acquisito un terreno al Cambiel da Bartolomeo fu Giovanni Battista Inama di Dermulo, il qual terreno, era stato poi livellato a Valentino Inama, fratello di Bartolomeo. Nel 1727, si trova notizia che Giacomo Antonio Mendini trasferiva ad Alberto Inama un terreno a Cambiel (il medesimo di quello appena nominato), il qual terreno, identificabile con quello oggi nominato alle Pergolete, si disse, che era stato in precedenza venduto al Mendini da Floriano III Inama, fratello di Alberto. Ciò vuol dire che dopo la morte di Bartolomeo II, il maso era stato suddiviso fra i due figli Alberto e Floriano III. Con lo stesso documento del 1727, il Mendini vendeva ad Alberto anche un terreno a Ciavauden, che però, fu probabilmente riscattato, in quanto non appare fra i beni del maso elencati nel catasto teresiano. Prima del 1754 Floriano IV assieme a don Gaspare Chilovi di Taio, aveva acquistato un altro terreno a Ciavauden sul territorio di Sanzeno da Lucia vedova di Enrico Endrizzi. Tale campo, riconoscibile in una porzione della p.f. 610, fu poi alienato da entrambi a Vittore Inama V di Taio. La famiglia Inama di Fondo possedeva anche due terreni a Campolongo, cioè una porzione delle future p.f. 858 e 859, del qual terreno, con un documento del 1729 veniva rinnovata l'investitura, ai coniugi Bartolomeo e Marina Inama, e le due future p.f. 821 e 822, acquistate da Silvestro Inama III.[9] Altri terreni e boschi di minori dimensioni si trovavano al Rizan, Sotto Sas, alle Braide e a Ciambiel. Alla morte di Alberto si manifestò per la prima volta la rottura dell'integrità del maso dovuta agli screzi sopravvenuti fra i due figli Floriano IV e Bartolomeo III. Alcuni terreni vennero divisi e seguirono, certi provvisoriamente, altri definitivamente, un'altra strada. La parte nord del terreno a Rizan, formato dalle p.f. 24, 25, e 26, fu separato dal terreno principale e concesso in locazione da Floriano IV, a Giacomo Inama III fu Ottavio. Tale terreno non tornò più a far parte del maso. La medesima sorte toccò al terreno alle Braide, dove la parte nord, formata dalle p.f. 830, 831, 832, 829partenord, 7 e 8 furono locate da Floriano IV a Giacomo III fu Ottavio Inama.
Dall'inventario dei beni della chiesa dei SS. Filippo e Giacomo, stilato dal notaio Pietro Panizza nel 1618, risulta che Floriano Inama era obbligato a conferire perpetuamente alla chiesa stessa, 6 mosse di olio d'oliva e che tale onere era radicato sul fondo al Marzol. Tale aggravio nel Seicento venne dimezzato, ma gli Inama continuarono a pagare le rimanenti tre mosse fino a quando il maso fu alienato e l'obbligo passò agli Emer, nuovi proprietari.

Verso la metà del Cinquecento Giovanni fu Leonardo Inama, ossia Giovanni del Nard, come veniva chiamato, era sicuramente l'uomo di fiducia della famiglia Inama di Fondo. Questo rapporto particolare, oltre che nell'adunanza della regola del 1554, dove lo troviamo rappresentare Cristoforo Inama, è confermato dalla sua presenza in quasi tutti gli atti riguardanti gli Inama di Fondo, stipulati a Dermulo. Non escludo che, a partire da Leonardo e fino alla morte del figlio Giovanni, la famiglia avesse abitato nella casa del maso n.19, come affittuaria e fiduciaria. Le prime notizie esplicite sui masadori che conducevano il maso, risalgono solamente al 1720, quando è citato Giovanni Mendini, figlio di Nicolò. Nel 1736 è nominato un certo Antonio Zini in qualità però di famiglio.

Sappiamo che qualche rappresentante degli Inama di Fondo, aveva abitato nella casa del maso di Dermulo. E' il caso di Floriano I che nel 1573 compariva come testimone in un documento riguardante la vendita di una porzione attigua alla casa del maso. Sicuramente vi abitò il nipote Floriano II con la moglie Anna Pilati che nel 1619 a Dermulo, diede alla luce la loro figlia Lucrezia.

Nel 1741, dopo la morte di Alberto Inama, il maso fu suddiviso fra i figli Bartolomeo III e Floriano IV, ognuno dei quali si avvaleva di un manente per la gestione autonoma della propria parte. Da altri scritti risulta che tra i fratelli non correva buon sangue e che Bartolomeo III, per far valere le sue ragioni, si era affidato all'avvocato Giovanni Francesco Barbacovi di Taio. Per quanto concerne l'utilizzo della casa del maso, conoscendone la conformazione, possiamo azzardare l'ipotesi che fosse stata divisa, tra nord e sud fra i due manenti. Nel 1761 risultano essere fittavoli di Bartolomeo III e Floriano IV, rispettivamente Domenico Massenza e Gaspare Inama. Nel 1788, dopo la morte senza eredi di Bartolomeo III, il maso ritornò ad unificarsi momentaneamente con Giovanni Vigilio, figlio del fu Floriano IV. In questo periodo troviamo masadore Francesco Mendini di Dermulo. Giovanni Vigilio morì nel 1828, e il maso fu ereditato dai due figli Floriano V e Vigilio. Nel 1849, infine, Carlotta Martini vedova di Vigilio Inama e tutrice dei figli Carlo, Vigilio, Maria e Francesco, anche a nome di Clara Someda, vedova di Floriano V e tutrice di Alberto e Luigia, vendettero il maso per 4200 Fiorini al loro masadore Romedio Emer di Dermulo. Da qui incomincia la storia recente del maso che seguirà le vicende della famiglia Emer.

 

 

 

 

 

 

DISLOCAZIONE DEI TERRENI DEL MASO INAMA DI FONDO SUL TERRITORIO DI DERMULO

 

 

 

ELENCO DEI BENI DEL MASO INAMA DI FONDO

 

P.F.

LOCALITA'

NOTE

CASA n. 19

   
22 23 24 25 26 Rizan Prato. Inizialmente gli Inama di Fondo possedevano anche le p.f. 24, 25 e 26, poi Floriano IV le diede in locazione perpetuale a Giacomo Inama III, i cui discendenti si affrancarono e le alienarono.
71 72 Sotto Sass Bosco.
200 201 Poz Prato.
219 Fasseta Prato detto anche alla Fontana. Oggi occupata dalla casa di Egidio Endrizzi.
233 234 235 236 237 238 239 240 241 242 243 244 245 Loc Arativo, vignato e prativo.
269 270 Lamport Bosco acquisito intorno al 1540 da Giovanni fu Leonardo Inama.
291 Ciasalin Arativo vignato.
339 340 Pergolete Arativo vignato.
821 822 Ciamblonc Arativo vignato. Il terreno non faceva parte degli antichi possessi di famiglia, ma era stato acquisito intorno al 1735 da Alberto Inama. Dopo la morte di Alberto pervenne al figlio Bartolomeo III che lo concesse in locazione perpetuale a Gaspare Inama. I discendenti di Gaspare poi si affrancarono.
829,830, 831, 832, 833, 834, 835 830? 7 8. Braide Arativo vignato. Nel 1762 la futura p.f. 830, 831, 832, 829partenord e 7 e 8 venne locata perpetuamente da Floriano IV Inama a Giacomo fu Ottavio Inama.
     

 

 

 

 

SUPERFICIE IN PERTICHE QUADRATE POSSEDUTA NEL 1780 SUDDIVISA PER TIPO DI CULTURA

 

Arativo Arativo e vignato Prato Bosco Bosco e pascolo Greggio Orto Piaggio

Tot. Superficie
Pertiche Q.


Tot. Superficie
Metri Q.
366 6776 1298 189 - - - -

8.629

30.978

 

 

DISCENDENZA DI ANTONIO INAMA DI FONDO

 

 

PROPRIETARI DEL MASO INAMA DI FONDO

 

PERIODO PROPRIETARIO

NOTE

ca.1450 Antonio fu Inama Proprietario probabile
ca.1490 Pietro Inama (o Filippo Inama)? Proprietario probabile
1531 - 1568 Cristoforo Inama  
1568 - 1598 Floriano Inama I
Pietro Inama
Nel 1573 Floriano appare come testimone in un documento redatto a Dermulo, quindi forse vi abitava. Pietro, fratello di Floriano era notaio ed è citato come confinante a nord della casa degli eredi del fu Romedio Barbacovi nel 1588.
1598 - 1615 Bartolomeo Inama I  
1615 - 1652 Floriano Inama II  
1652 - 1691 Bartolomeo Inama II Bartolomeo aveva due figli maschi Floriano Lorenzo e Alberto.
1691 - 1704 Floriano Lorenzo Inama III

Figlio di Bartolomeo. Dopo la morte di Floriano Lorenzo, che era celibe, la sua parte di maso fu ereditata dal fratello Alberto. Nel 1697 Valentino fu Giovanni Battista Inama possedeva a livello perpetuo un terreno a Cambiel di Floriano Lorenzo Inama. Tale terreno era di sua esclusività proprietà.

1691 - 1741 Alberto Inama

Alberto era figlio di Bartolomeo Inama. Dopo la morte del fratello Floriano Lorenzo, che era celibe, Alberto ereditò la sua parte di maso.

1741 - 1788 Bartolomeo Inama III Alla morte di Bartolomeo III nel 1788 la sua parte fu ereditata dal nipote Giovanni Vigilio Inama che quindi riunì il maso sotto un'unica proprietà.
1741 - 1763 Floriano Inama IV  
1763 - 1828 Giovanni Vigilio Inama Fino al 1788 in comproprietà con lo zio Bartolomeo.
1828 - 1848 Floriano Inama V Consigliere di Fondo figlio di Giovanni Vigilio.
1828 - 1837 Vigilio Inama Consigliere di Fondo figlio di Giovanni Vigilio.
1849 Carlotta Martini e Chiara Someda Carlotta e Chiara erano vedove rispettivamente di Vigilio e di Floriano che vendettero a Romedio Emer il maso.
1849 Romedio Emer  

 

 

 

 

AFFITTUARI DEL MASO INAMA DI FONDO

 

PERIODO AFFITTUARIO

NOTE

1510 Leonardo fu Giovanni Inama Probabilmente affittuario del maso.
1545 Giovanni fu Leonardo Inama Probabilmente affittuario del maso.
1696 Valentino fu Giovanni Battista Inama Probabilmente solo affittuario di qualche terreno.
1720 Giovanni Mendini Figlio del fu Nicolò, concede un censo per Alberto Inama.
1725 Antonio Mendini  
1736 Antonio Zini Famiglio.
1731 Bartolomeo Inama Livellario di Alberto Inama.
1757 Giovanni Emer A nome di Bartolomeo e Floriano Inama.
1761 Domenico Massenza Affitalino di Bartolomeo Inama.
1761 Gaspare Inama Affitalino di Floriano Inama.
1767 Gaspare Inama Rendatore degli Inama.
1768 - 1779 Francesco Mendini A nome degli eredi di Floriano Inama e di Bartolomeo Inama
1781 Giovanni Inama e Silvestro Inama Giovanni e Silvestro erano fratelli, figli del fu Gaspare Inama affitalini degli Inama di Fondo, si riferiva al terreno posseduto a livello a  Campolongo e quindi non come conduttori del maso.
1801 - 1830 Giovanni Emer Almeno dal 1801 era affittuario Giovanni Emer.
1830 - 1849 Romedio Emer

Fratello del sopraccitato Giovanni, fu l'ultimo affittuario del maso che poi acquistò.

 
 

 

IL MASO PANIZZA (poi Thun)

 

La casa del futuro maso e i relativi terreni, erano parte dei beni antichi della famiglia Inama, specificatamente della linea di Gaspare. I progenitori di Marino Inama, ultimo discendente maschio di tale ramo familiare, avevano esercitato il notariato e quindi avevano condotto una vita relativamente agiata. Nel 1706 il magnificus dominus Marino, ormai molto anziano e non più in grado di lavorare, abitava con la moglie Domenica a Piano in Val di Sole, dove l'unica loro figlia Maria aveva preso marito. Nel settembre del 1706, Marino dava in locazione per cinque anni, la casa e i terreni a Dermulo a Pietro Antonio Mendini. Il primo novembre 1706, Marino redigeva testamento, istituendo sua erede universale la figlia Maria e lasciando la moglie Domenica usufruttuaria di una parte di casa. Marino, probabilmente, passò a miglior vita poco tempo dopo e fu sepolto nel cimitero di Piano. Quindi scaduta la locazione a Pietro Antonio Mendini e morta la madre Domenica, la  figlia Maria, assieme al marito Bartolomeo Bernardelli, nel 1717 vendette tutti i suoi beni a Pietro Lorenzo Panizza di Taio, per l'importo di 1200 Ragnesi. Da questo momento si inizia a parlare di maso, e il nuovo proprietario sicuramente insediò a Dermulo un masadore, che io ritengo si potesse riconoscere in Antonio Endrizzi di Dercolo. Dai documenti non emergono notizie in merito, ma alcuni fatti ci permettono di trarre delle conclusioni che ritengo non molto lontane dal vero. In primo luogo, esiste una concordanza cronologica fra la necessità di un masadore e la presenza di Antonio Endrizzi a Dermulo. Un altro indizio possiamo trovarlo negli interessi che i Panizza avevano nella villa di Dercolo. Da vari documenti ho potuto constatare come essi possedessero moltissime proprietà, fra le quali anche una casa, affidate a masadori, oppure locate a privati. Fra questi c'erano anche dei rappresentanti della famiglia Endrizzi. Quindi è plausibile che i Panizza, necessitando di un conduttore per il nuovo maso di Dermulo, avessero trovato una persona di fiducia in quel di Dercolo. Antonio poi, aveva conosciuto la sua futura sposa Massenzia che abitava poco distante dalla casa del maso. Con Massenzia, che casualmente portava il suo stesso cognome Endrizzi, Antonio convolò a nozze nel 1722.

Alla morte di Pietro Lorenzo, il maso passò in eredità al figlio Ferdinando che non avendo discendenti diretti, nel testamento redatto nel 1743, elesse suo erede universale il nipote Pietro Antonio Panizza, figlio della sorella Anna Elisabetta. Del maso a Dermulo, aveva inizialmente beneficiato la sorella Anna Felicita e il nipote Alberto Ferdinando Inama, ma poi con un codicillo redatto qualche mese dopo, sostituì i beni destinati a sorella e nipote con una somma di 2500 Ragnesi.  Quindi il maso di Dermulo, come quasi tutti gli altri beni, pervennero al nipote Pietro Antonio.[10] Già il 2 dicembre 1743, forse bisognoso di denaro per altri affari, Pietro Antonio Panizza, con il consenso del padre Filippo Antonio, alienava il maso alla famiglia Thun di Castel Bragher, per la somma di 1366 Ragnesi. Della cessione facevano parte anche dieci stari di formento, due stari di segala, un paio di manzi, un broz, due ruote buone, un plou col suo gomer, due funi, un cariol con le sue ruotelle ferrate, un giovo, un catenazzo da plou. Tali attrezzature erano detenute dall'allora conduttore Vittore Tamè.[11] I Thun assunsero come masadori gli Endriocher di Senale, i quali abitarono la casa Thun e ricoprirono tale ruolo per tre generazioni. Infine, intorno al 1840, i Thun vendettero la casa e una parte dei terreni a Lorenzo Eccher, oste originario di Lauregno, da poco abitante a Dermulo.

Ben sei terreni del maso, erano localizzati a Ciavauden, nelle pertinenze di Sanzeno e di questi sono riuscito a tracciarne la storia con molta fatica ed inevitabilmente, per quanto esposto nella relativa pagina, con qualche imprecisione.

 

 

 

 

DISLOCAZIONE DEI TERRENI DEL MASO PANIZZA SUL TERRITORIO DI DERMULO

 

 

 

ELENCO DEI BENI DEL MASO PANIZZA (poi Thun)

 

P.F.

LOCALITA'

NOTE

CASA n. 7-8

   
155 156 Orti

Inizialmente le due p.f. formavano un orto unico. Era detto anche orto alla Crosara o sotto la casa dei Marini.

9 10 11 12 13 14 Raut da Ral

Arativo vignato con prato e bosco contigui. Non vi è la certezza assoluta che le p.f. costituenti il terreno, siano quelle che ho indicato, in quanto, le proprietà Thun nel 1780, nella zona del Raut da Ral, erano troppo numerose, in quanto probabilmente frutto di acquisizioni posteriori. Sulla mappa del 1780, gli unici confini abbastanza corrispondenti a quelli enunciati nel 1743, sono quelli più a sud del Raut da Ral che credo però siano già nella zona denominata Rizan. Nel 1713 questo terreno confinava a sud e a ovest con le sorelle Marina e Domenica Massenza.

33 34 Pramartinel Bosco. Nel 1706 detto al Sasson.
836 837 Braide Arativo vignato. Nel 1783 i Thun lo permutarono con Giovanni Francesco Inama.
849 850 Ciamblonc Arativo vignato con un canevaro contiguo. Il terreno in questione era probabilmente parte di queste p.f., ma è di difficile collocazione per le molte acquisizioni fatte in quella zona fra gli Emer, Massenza e Mendini. Il terreno fu poi venduto ai Thun, i quali nel 1786 lo donarono a Giuseppe Mendini. Nella cessione si disse esplicitamente che il terreno proveniva da casa Panizza.
882 Rizan Nel 1706 era distinto in prato sopra l'alezzo e prato al Rizzan di Sopra. Nel 1743 e abbastanza ben definito da poter affermare che si trattasse  della p.f. 882.
547 548 549 550 Ciasetta Prato con bosco oggi detto Parissole.
751 Sort Bosco detto anche al . Non credo che questo bosco fosse appartenuto al maso Panizza.
458 Pont aut Bosco detto anche alle Sabionare, potrebbe aver ricompreso anche le p.f. 599, 417, 418 e 419. C'è qualche probabilità che non fosse appartenuto al maso Panizza.
592 Cavauden Arativo nelle pertinenze di Sanzeno i cui confini erano: 1 strada imperiale, 2 Giobatta Inama, 3 strada consortale, 4 Giacomo Mendini.
605 606 Cavauden Arativo nelle pertinenze di Sanzeno i cui confini erano: 1 strada imperiale, 2 4 Giacomo Mendini, 3 via consortale.
610 (parte6) Cavauden Arativo nelle pertinenze di Sanzeno i cui confini erano: 1 strada imperiale, 2  Giacomo Mendini 3 4 Comune.
600 601 (parte4) Cavauden Arativo nelle pertinenze di Sanzeno sotto la strada consortale i cui confini erano: 1 detta strada 2 Marina moglie di Bartolomeo Inama, 3 comune di Sanzeno, 4 Giovanni Battista Inama.
600 601 (parte1) Cavauden Arativo nelle pertinenze di Sanzeno (sotto la strada consortale) i cui confini erano: 1 detta strada 2 Giovanni Battista e Bartolomeo fu Antonio Inama, 3 comune di Sanzeno, 4 Giacomo Mendini.
595 596 Cavauden Arativo nelle pertinenze di Sanzeno.

 

 

 

 

SUPERFICIE IN PERTICHE QUADRATE POSSEDUTA NEL 1780 SUDDIVISA PER TIPO DI CULTURA  [12]

 

Arativo Arativo e vignato Prato Bosco Bosco e pascolo Greggio Orto Piaggio

Tot.Superficie

Tot Superficie
588 9977 2586 1506 - - 13 -

Pert. 14670

mq. 52665,3

 

 

 

PROPRIETARI DEL MASO PANIZZA (poi Thun)

 

PERIODO PROPRIETARIO

NOTE

prima del 1591 Valentino II Inama  
1591-1613 Marino III Inama Marino III era figlio di Valentino II.
? - 1675 Cipriano II Inama Cipriano II era figlio di Marino III.
1708 ca. Marino IV Inama  
1713 Maria Inama Maria figlia di Marino era sposata con Bartolomeo Bernardelli di Piano.
1717 Pietro Lorenzo Panizza  
1730 ca. Ferdinando Panizza  
1743 Pietro Antonio Panizza  
1743 Famiglia Thun di Castel Bragher  
1840 Lorenzo Eccher  
     

 

AFFITTUARI DEL MASO PANIZZA (poi Thun)

 

PERIODO AFFITTUARIO

NOTE

1706 - 1711 Pietro Antonio Mendini Affittuario di Marino Inama.
1717 - 1730 Antonio Endrizzi Probabilmente masadore dei Panizza.
? - 1743 Vittore Tamè Affittuario della famiglia Panizza
1748 - 1794 Antonio Endriocher

Masadore dei Thun. Nel 1744 Antonio si trovava a Castel Bragher, dove appariva testimone in un documento.

1794 - 1820 Giacomo Endriocher Giacomo era figlio di Antonio masadore dei Thun.
1821 - 1840 Giacomo e Giuseppe Endriocher I due erano figli di Giacomo.

 

 

 

 

IL MASO INAMA DI TAIO


Quello che ho definito come "Maso Inama di Taio", in realtà non rispecchierebbe completamente le caratteristiche dei classici masi come sopra descritti, in quanto, nonostante la signorilità dei suoi proprietari e la loro residenza fuori paese, solo per un breve periodo fu condotto da un masadore. I beni di Silvestro Inama e poi del figlio Giacomo Antonio, in un secondo momento furono singolarmente locati con contratti a termine, ma anche con la formula del livello perpetuale a vari dermulani.

L'ascesa sociale di questo ramo della famiglia Inama ha avuto inizio con Giacomo II, e, a questo, non fu sicuramente estraneo il matrimonio con Maria figlia del notaio Udalrico Barbacovi di Taio. Il patrimonio della famiglia, comunque, già in precedenza non era sicuramente misero potendo contare su molteplici beni accumulati dagli avi, persone di prestigio dediti al notariato. Ma mentre la discendenza di Vittore III, fratello di Giacomo II, si diramò parecchio con conseguente frantumazione del patrimonio, quella di Giacomo II fu molto ristretta, contemplando solamente un figlio maschio per generazione, e per tale motivo, i beni non si dispersero. Il prestigio della famiglia accrebbe ulteriormente con un altro matrimonio "mirato", quello di Silvestro III figlio di Giacomo II, con Margherita Panizza, figlia del nobile Giovanni Antonio di Taio.

Silvestro III intorno al 1730 si era trasferito a Taio, forse in una casa appartenente ai suoi parenti Panizza, che oggi possiamo riconoscere in quella occupata dal ex cartoleria Inama. Qualche anno dopo Silvestro assegnava al figlio Giacomo Antonio, la casa a Dermulo e gran parte della sua sostanza. Tali beni, oltre alla parte di casa e di terreni provenienti dal nonno Silvestro II, comprendevano anche i terreni dotali della madre Maria Barbacovi giacenti a Dermulo,[13] ai quali si aggiunsero quelli assegnati come dote alla moglie Margherita e altri ereditati dal cognato don Pietro Panizza.[14] La parte di casa alla Crosara, dobbiamo arguire, fu assegnata dal marito Silvestro III a Margherita Panizza, come assicurazione di dote. Dopo la morte di Silvestro, il maso fu ereditato dal figlio Giacomo Antonio, oramai stabilmente a Taio. La casa alla Crosara e alcuni terreni furono quindi locati a Giacomo fu Michele Inama. Il terreno al Vignal, fu invece concesso in affitto perpetuale a Giovanni fu Giovanni Battista Inama. La casa alla Crosara già nel 1747 era stata venduta al vecchio affittuario, Giacomo fu Michele Inama, e nello stesso anno, veniva dato in locazione perpetuale a Domenico Massenza, il fondo alla Cros. Nel 1750 furonoo locati perpetuamente a Pietro Antonio Mendini i fondi alla Sgolma, il prato alla Pozzata di Sotto e l’arativo vignato a Cambiel. Ancora nel medesimo anno fu venduto un terreno alle Bertuse a Maria Sborz, vedova di Antonio Mendini. Nel 1751 veniva dato in locazione perpetuale a Giacomo fu Ottavio Inama un arativo al Plazzec. Non è stato sempre agevole distinguere se i terreni posseduti da Giacomo Antonio Inama, così come elencati nel catasto teresiano, provenissero dalla famiglia Inama, dai Panizza oppure se fossero stati acquistati da altre famiglie. Per questo motivo nelle pagine elencanti le particelle fondiarie potrebbero esserci delle imprecisioni.

Nel 1776 a Cles presso il convento dei frati, Giacomo Antonio dettava le sue ultime volontà al notaio Giovanni Paolo Andreis di Mechel, suo cognato. Nel testamento Giacomo Antonio beneficiò della casa n. 27 e dei sottostanti terreni Giovanni Francesco Inama. Nel 1777 Giacomo Antonio redigeva un codicillo al testamento, con il quale eleggeva suo erede universale, Aloisio (Luigi) figlio di Domenico Panizza, obbligandolo ad assumere il nome "Giacomo Antonio Inama". Giacomo Antonio rimase comunque molto legato a Dermulo e ai suoi parenti discendenti da Vittore, fratello di suo nonno Giacomo. In particolare, Giovanni Giacomo fu Giovanni Giacomo Inama e la sua famiglia furono beneficiati di un terreno e altri beni mobili, così come Giacomo fu Ottavio Inama. Alla morte di Giacomo Antonio, il consistente patrimonio passò quindi a Luigi Panizza che si chiamò "Giacomo Antonio Aloisio Inama de Panizza". In alcuni scritti relativi a questo affare, redatti da Augusto Panizza e dall'Inama Sternegg, si dice che Aloisio Panizza fosse il nipote di Giacomo Antonio Inama, ma di ciò non ho trovato riscontro. Fra i figli di Luigi, raggiunse l’età adulta solo Giovanna, che prese in marito il cugino Filippo, figlio di Pietro Panizza. Quindi l’ingente patrimonio di Giacomo Antonio, tornò in mano ai Panizza, dai quali poco alla volta fu alienato, al punto che alla fine degli anni Venti del Novecento a Dermulo non ne rimase più nulla.

 

 

 

 

 

DISLOCAZIONE DEI TERRENI DEL MASO INAMA DI TAIO SUL TERRITORIO DI DERMULO

 

 

 

 

ELENCO DEI BENI DEL MASO INAMA DI TAIO

 

P.F.

LOCALITA'

NOTE

CASA n. 2-3

  Porzione Ovest della futura casa n. 3 (Porzione F)
523 Cavauden Arativo
3 4 788 789 790 Somager Arativo vignato. Le particelle formavano in antico un corpo unico. Oggi la morfologia risulta completamente stravolta dal passaggio della strada statale, dalla ferrovia, dalla strada che porta al maso Rauti, dalla struttura del Consorzio Agrario di Bolzano e dalle nuove case.
211 212 213 Poz Arativo vignato.
231 232 Fasse Arativo vignato.
607 608 609 610 Doi Vie Arativo vignato.
86 87 94 Pramartinel Prato.
214 215 Poz Prato.
593 Visenzi Prato.
760 749 750 Sort Bosco.
765 Ridal Bosco detto anche Praiola.
433 434 Sabionare Bosco.
452 457 Sabionare Bosco.
464 598 Gomer Bosco chiamato anche Pozzata (di Sotto) e in tempi più recenti Busa
410 411 Bertus Bosco.
325 326 Santa Giustina Bosco.
281 Cros Bosco chiamato anche al Ciapitel, ma che non ha niente a che vedere con il Capitello.
229 230 Fasse Bosco e incolto.
77 78 79 80 Bertolda Bosco.
37 38 Pramartinel Bosco.

 

 

 

 

SUPERFICIE IN PERTICHE QUADRATE POSSEDUTA NEL 1780 SUDDIVISA PER TIPO DI CULTURA

 

Arativo Arativo e vignato Prato Bosco Bosco e pascolo Greggio Orto Piaggio

Tot. Superficie
Pertiche Q.

Tot. Superficie
Metri Q.
1161 2841 4215 9539 - - - -

17.756

63.744

 

 

PROPRIETARI DEL MASO INAMA DI TAIO

 

PERIODO PROPRIETARIO

NOTE

fino al 1642 Vittore II Inama  
fino al 1680 Silvestro II Inama Figlio di Vittore
fino al 1699 Giacomo II Inama Figlio di Silvestro
1696 - 1740 Silvestro III Inama

Silvestro aveva ceduto gran parte del suo patrimonio a figlio Giacomo Antonio ancora prima della sua morte avvenuta nel 1745.

1740 - 1782 Giacomo Antonio Inama  
1783 Giacomo Antonio Aloisio Inama Panizza

Aloisio, penultimo figlio di Domenico Panizza, ereditò la sostanza di Giacomo Antonio Inama.

ca. 1830 Giovanna Panizza

Giovanna figlia di Aloisio, sposa intorno al 1840 il cugino Filippo Panizza.

 

 

 

AFFITTUARI DEL MASO INAMA DI TAIO

 

PERIODO AFFITTUARIO NOTE
1742 Giacomo fu Michele Inama

Acquistava la casa a Dermulo di Giacomo Antonio e rimaneva suo famiglio.

1761 - 1783 Giovanni fu Giovanni Battista Inama Affittuario di diversi terreni.
1779 Giacomo fu Ottavio Inama Affittuario di diversi terreni e delegato ad operare a nome di Giacomo Antonio Inama.
1781 Giuseppe Inama Affittuario di diversi terreni e delegato ad operare a nome di Giacomo Antonio Inama.

 

 

 

 

MASO DI CASTEL VALER MASO GUELMI MASO INAMA DI FONDO MASO INAMA DI TAIO
MASO DEI CASALI MASO BETTA MASO PANIZZA  


 

[1] La località alla Clesura si ritrova proprietà dei Thun anche nei secoli successivi. Il luogo, per tutto il Cinquecento, apparirà sistematicamente assieme ad altri terreni, nelle locazioni dei Thun.


[2]
In precedenza avevo ipotizzato per il maso Guelmi un'origine molto antica, anche considerando che nel documento di passaggio dai Guelmi ai Martini, veniva evidenziato che i beni del maso erano soggetti al gafforio. Nel contratto si esplicava che, anche la casa era soggetta a tale aggravio e per questo, avevo ipotizzato, facendo alcuni collegamenti con gli antichi masi vescovili, che si potesse riconoscere con il maso di Martino Bozolo. A questa entità nel 1275 apparteneva il terreno a Somager, come al maso Guelmi, e il terreno a Ploua, forse il futuro Traina del maso Guelmi. Ma un'altra flebile ipotesi, legata ad un terreno "in Plan ossia alle Palusele" mi aveva portato a credere che il maso Guelmi derivasse dall'antico maso Lanzoni. E ciò perchè prendendo in considerazione la cessione fatta di questo terreno dal massaro vescovile Antonio di Coredo a Sigismondo Thun di Castel Bragher nel 1466. Immediatamente dopo l'acquisto, il Thun riconcesse in locazione il terreno allo stesso Antonio. Il terreno aveva la caratteristica di insistere parte sul territorio di Coredo e parte su quello di Dermulo, per cui ritengo che si possa riconoscere nella zona a monte del Pra Comun, detta anche Pradaz. Siccome negli anni successivi questo terreno si ritrova aggregato al maso Guelmi, risultava plausibile un collegamento fra l'antico maso di Lenzono e il maso Guelmi. Il terreno nel catasto teresiano era nominato "ai Plani ossia a Pradazzo". E' interessante notare come il nome originario Palusele, sia stato dapprima storpiato in Palisole e poi a sua volta in Parissole.

[3] Nel documento Giacomo Mendini di Dermulo acquistava da Simone fu Simone Cordini e da Margherita vedova d Ercole Cordini, cognata del predetto Simone, il bosco alle Sort che fra i confinanti comprendeva Simone Guelmi a nome della moglie. Con questo, si capisce che il bosco formava un'unica entità, e che poi fu diviso fra le sorelle Margherita e Maddalena figlie di Ercole Inama.
[4] Nel conteggio delle superfici della sopra esposta tabella è presente anche la parte di esclusiva proprietà del locatario Bartolomeo Mendini, impossibile da distinguere da quella del maso che aveva in locazione.

[5]Fieno, paglia, strami, letame esistenti nella casa del maso, fieno da segarsi a Poz, altro da segarsi alla Ciaseta, al Ciapitel e broiletti intorno a casa, formentazzo, fagioli e sorgo in parte ledrati e in parte da ledrarsi nel fondo alla Ciaseta. L’orzo in paglia ancora da battersi. Assi tre e mezza oltre a quelle del maso e due sdrazzi da netare il grano. La metà del graspato e delle noci che proverranno dalla prossima raccolta nel maso.

 

[6] Qualche anno prima, il 21 gennaio 1943, con decreto governativo era stata sciolta la Fondazione famigliare De Widmann in Cortaccia, e le proprietà della Fondazione in Sanzeno, Coredo e Dermulo dove (P.T.113/II) passarono un quarto ciascuno a Alfonso, Enrico, Egberto e Ermanno Widmann. Le proprietà di Sanzeno e Coredo assieme ai terreni alla Casetta, e Audaral a Dermulo, saranno assegnate ad Alfonso, mentre gli altri terreni a Dermulo passeranno a Enrico, Egberto e Ermanno Widmann.


[7] Nel 1806 Giovanni Michele Gentili fu ucciso con un sasso nella sua casa a Sanzeno. (Tovazzi Diario 5, 1801-1809)

 

[8] Nella genealogia della linea Inama di Fondo secondo me, a causa di omonimie, si è ingenerata un po' di confusione nell'attribuire la paternità di Cristoforo (n. ca.1500), sia da parte di Hanns Inama-Sternegg, sia da Vigilio Inama. Nel dettaglio, erano in vita nello stesso periodo almeno due Cristoforo, uno figlio di Pietro e l'altro figlio di Filippo, ed entrambi, per diversi motivi, avevano ancora interessi a Dermulo. L'indizio che spesso, ma non sempre, ci fa distinguere i due Cristoforo citati nei documenti, è il nome Filippo, usato prima come patronimico e poi come soprannome. Filippo vivente nel 1523, come si evince dalla Tabella I di Inama-Sternegg, aveva tre figli, dei quali in vari documenti inerenti Dermulo, troviamo Matteo e Cristoforo. Entrambi erano spesso designati “Filippi”, anziché Inama, quindi “del Filippo”, esattamente come per Antonio Marini, che pur essendo di cognome Inama, era conosciuto con “del Marin”, cioè figlio di Marino. Matteo Filippi lo troviamo ameno due volte, una nel 1550 come confinante di un terreno alle Braide e l’altra nel 1554, come confinante e proprietario di una parte di casa n 2-3. Il nome Cristoforo Filippi appare almeno in tre occasioni, nel 1554, 1561 e 1567; nel 1572 troviamo anche il terzo fratello, Filippo Filippi in un documento estraneo a Dermulo. Un'altra citazione inequivocabile sulla funzione del nome Filippo, se la ritrova in un atto del 1569 in lingua tedesca, "Christofll Inama gennant Phillip", ossia "Cristoforo Inama detto Filip". Il documento più interessante però, che ci permette di capire senza equivoci come il maso di Dermulo fosse appartenuto a Cristoforo fu Filippo e non a Cristoforo fu Pietro, è del 1574, dove appare Floriano Filippi. Ciò sta a significare che Filippi alla stregua di Marini era inteso come un soprannome derivante dal capostipite Filippo. La confusione è nata perchè il nome Filippo, seguito dal nome Cristoforo, è stato considerato da Vigilio Inama, come secondo nome di Cristoforo anzichè come patronimico. E ciò, nonostante ci fossero gli altri esempi relativi ai suoi fratelli Matteo e Filippo (Matteo Filippi e Filippo Filippi). In contrapposizione a quanto sopra affermato, devo osservare che in un documento del 1550, Cristoforo appare inequivocabilmente come Cristoforo "Philip" figlio del fu Pietro. Andrebbero a cadere quindi, tutti i miei ragionamenti sulla paternità di Cristoforo da attribuire a Filippo. Filippo andrebbe quindi catalogato, come un soprannome riferito al casato della sconosciuta madre, oppure, ma con meno probabilità, allo zio Filippo. Sicuramente se fosse andata in questo modo si era creata una grande confusione, anche perchè, nel precitato documento del 1550, fra i confinanti di un terreno, viene citato Matteo "Philip", che secondo Inama-Sternegg, era però figlio di Filippo!

 

[9] Forse l'investitura risaliva alla metà del Seicento, quando ne fu destinatario Giovanni Battista Inama, visto che troviamo i suoi nipoti, figli di Michele e di Antonio. Nel 1741 Alberto acquistava da Marina un altro pezzo di terreno a Campolongo, presumibilmente confinante con quello che già possedeva. Il primo contratto di affitto perpetuale era stato stipulato con Giovanni Battista Massenza I, nonno di Marina.

 

[10] Anna Elisabetta aveva maritato Filippo Antonio Panizza appartenente ad un altro ramo della famiglia. Dopo la morte di Anna Elisabetta, il vedovo Filippo Antonio abbracciò la vita religiosa divenendo prete.

 

[11] Non essendo specificato è difficile dire se il Vittore in questione, fosse il figlio del fu Simone o del fu Giorgio. Vittore fu Simone Tamè compare di rado nei documenti; nel 1743 risultava essere "assente dalla patria" e forse già passato a miglior vita. Per tali motivi ritengo più probabile che il Vittore in parola, fosse figlio del fu Giorgio.

[12]  Nel conteggio delle superfici è presente anche la parte, non molto estesa ma non distinguibile, già posseduta dal conte Giovanni Vigilio Thun prima dell'acquisizione del maso Panizza.

[13] Un arativo vignato alla Cros, un arativo vignato al Bertusello, un pezzetto di prato al Capitello, nella villa di Dermulo con una nogara, un prato a Pradapont ossia Ischia, per un valore di 186 Ragnesi.

[14] Il padre e il nonno di don Pietro Panizza, rispettivamente Giovanni Antonio e Pietro, erano in possesso dalla metà del Seicento, del diritto di vicinato a Dermulo, dove disponevano di molti beni in proprietà. A questi si erano poi aggiunti altri beni ereditati dalla famiglia Cordini.